Anche le dark lady hanno un’anima

 

eva kantLa madre Caterina fu l'unico conforto di un'infanzia solo apparentemente, e per breve tempo, protetta. Presto la tragedia di una famiglia disgraziata infranse i suoi sogni. Rodolfo, un padre debole e debosciato, canna al vento senza la dignità di Blaise Pascal, finisce alcolista e morto ammazzato. Lo zio, Lord Anthony Kant, è un puzzone grande così, con la faccia da Mefistofele. La sua lordship di facciata è una fogna senza nemmeno la drammaticità dell'impero alla fine della decadenza. Morirà com'è vissuto, da infame, con una fine da contrappasso dantesco. Se la merita e se la tiene. Il resto è angoscia, che inizia con l’assurdo suicidio (un po’ Romeo e Giulietta) dell'unica sua vera amica, la mamma. Poi gli anni forzati al "collegio" femminile di correzione di Morben, una specie di Alcatraz dove la sadica direttrice, la signora Luger, riesce magistralmente a trasformare in sterco (anche del demonio) il guano umano che le viene affidato. Delitti, corruzione, violenza, prima della fuga fortuita in Sudafrica… nelle mani della criminalità organizzata. Rocambolesche avventure e Lord Anthony che ricompare per maturarsi l'epilogo di una vita di sciagure, secondo un concetto di giustizia retributiva freddo e spietato. Su tutto regnando l'avidità della gloria mondana, dell'apparire e dell'avere senza essere; e il mito dell'eredità, reificata in quell'accidenti di diamante rosa di famiglia, più catalizzatore di sventura che gioiello. La bellezza di quella gemma è infatti solo speciosa, luciferina, male sub specie boni. Bene sub specie mali è invece lei, vittima di un destino apparentemente rio. Bellissima, affascinante, conturbante. Eva, che alla fine riuscirà a strappare alla vita ciò che le spetta di diritto e di nascita (e che invece la crudeltà del mondo le ha troppo a lungo strappato): il titolo di Lady Kant.

Eva è stupenda, gemma (ella sì) nascosta sotto il letame di una vicenda scioccante. Sarà per un caso fortuito (o per mano del destino, in realtà affatto avverso?) che questa storia sepolta nelle pieghe più recondite della sua mente tornerà allo scoperto. Lancinante, improvvisa e per lungo tempo esorcizzata con successo. Il tempo cura le ferite, certo, ma un sozzo diamante rosa può farle riaffiorare in un istante, abbattendo con un soffio le potenti mura di cinta erette a difesa della coscienza tormentata e arrovellata.

Diabolik, l'amore di una vita, ha scoperto ciò che invece doveva rimanere nascosto. Involontariamente, ma tagliente come quei pugnali che maneggia con mano assassina da artista. Credeva di compiere un gesto sublime, ha solo rivangato un passato che doveva passare. Alla fine delle 196 pagine di Eva Kant. Quando Diabolik non c'era tutti sapranno cosa nasconde il passato della sua bionda metà. Tutti i lettori, tutto il mondo, tranne lui, Diabolik. Rimarrà all'oscuro, non chiederà le ragioni del turbamento, sarà capace solo di rispetto. Supremo, profondo, generoso com'è capace solo un cuore ricolmo di amore. E il diamante rosa, oggetto di brama spasmodica, pietra apparentemente preziosissima, farà la fine che merita, la stessa dell'Anello di Tolkien. Perché, come l'Unico Anello, appartiene solo al Male.

Nel 2002 Diabolik, creato nel 1962 dalle sorelle Angela e Luciana Giussani, ha compiuto quarant'anni e il compleanno è stato celebrato con la pubblicazione di Diabolik visto da lontano (Astorina, Milano): dodici storie, a cura di Daniele Brolli e prefate da Sergio Bonelli, con cui alcuni dei maggiori autori del fumetto italiano propongono libere interpretazioni del volto del grande ladro. Il 2003 segna invece l'anniversario del primo incontro fra Diabolik e la bella Eva, otto lustri esatti anche in questo caso. Tanti ne sono passati, infatti, da quel lontano albo n. 3 delle avventure del Nostro — L'arresto di Diabolik, marzo 1963 —, quando il principe dei ladri conobbe la sua bionda compagna, inammorandosene all'istante, proprio nel tentativo di rubarle quel maledetto e famoso diamante rosa. Il loro primo abbraccio è un Diabolik che stringe alle spalle Eva, il coltello minaccioso puntato alla gola. Per festeggiare quell'incontro tanto originale le edizioni Astorina hanno affidato a Sandrone Dazieri (soggetto), a Tito Faraci (sceneggiatura) e a Emanuele Barison e Giuseppe Palumbo (disegni) il racconto mai raccontato, appunto Quando Diabolik non c'era.

Al fascino del prequel non sfugge nessuno, ma questo special è davvero bello. La memoria e il destino, l'odio e l'amore, il male che torna a colpire quando pensavi di averne guarite le ferite. E poi l'uscita da quel nero tunnel che sembrava infinito. Ma nessuno è mai happy happy, figuriamoci una storia di Diabolik. La serenità è una conquista ardua e quella del cuore è sempre una pace armata. Diabolik – e soprattutto la storia nascosta degli anni giovanili di Eva Kant – sono un formidabile antidoto al manicheismo, che è sempre un tarlo della mente, un vizio dello spirito.

Ma c'è di più. Dazieri, giallista e direttore editoriale dei "Gialli Mondadori", firma una sorta di prefazione, Donne pericolose. Storie di dark lady del fumetto: fatali, seducenti, vedove nere e mantidi religiose, vipere sinuose e velenose. Il trionfo fumettaro di eros-thanatos. Una rassegna di eroine negative da fuggire e da temere, ma attraenti come solo il lato oscuro della Forza — maledettamente — è. Forza di ragno del peccato che costringe al centro della rete coloro che ben sanno come lo spirito sia pronto, ma la carne debolissima. Ovvero tutti. Uno sfacelo, una tragedia senza soluzione, la dannazione eterna senza scampo. Eppure.

Eppure le «dark lady di carta diventavano buone». Modesty Blaise (che «aveva un suo codice d'onore, quello sì, ed era generosa e tenera con gli amici»); poi Dragon Lady — «la supercattiva di Terry e i Pirati di Milton Caniff» —, Breathless Mahoney — «la donna perduta di Dick Tracy» —, «le mille dark lady dell'Agente Segreto X9 creato da Dashiell Hammett»; infine Narda, la principessa che prima tentò di assassinare Mandrake e poi se ne innamorò divenendogli fedele quanto e più del fido Lothar. Hanno tutte trovato autori, soggettisti, sceneggiatori e disegnatori che, raccattandole dalle strade e dai vicoli dove si crogiolavano nelle scelleratezze, ne hanno fatto delle signore. Dazieri se ne duole e parla di rammollimento. Forse è solo che, dàgli quanto vuoi, a un certo punto il male fine a sé stesso stanca; e l'uomo che sta dietro alle matite e agl'inchiostri finisce per riscoprire, per quanto relegato in un cantuccio, quel lumicino che ancora fumiga, il ricordo di essere stato pure lui fatto nel bene, fatto per il bene, fatto bene. E giù, quindi, anche di nuvole parlanti.

Addirittura l'aliena succhiasangue Vampirella, creata da Forrest J. Ackerman e Tom Sutton, trova «uno scienziato savio» che «inventò per lei del sangue sintetico, di modo che potesse nutrirsi senza fare male a nessuno». Persino Satanik: la fattucchiera che, come tutte le vere donne della sua specie, cela il volto putrefatto della cattiveria sotto le sembianze glamour della fatalona intrigante, il reggicalze che sbuca dalle gonne con la rapidità, la pericolosità e l'effetto-sorpresa di una colt a tamburo estratta dalla fondina di Clint Eastwood. Ma la biologa Satanik – la "rossa del diavolo" creata nel 1964 da Magnus e da Max Bunker – «si trasforma in una vera e propria strega (naturalmente avvenente e svestita) per vendicarsi, con la magia nera, del borioso mondo scientifico», come osservano Stefano Gorla e Franco Luini nel volume Nuvole di carta. Viaggio nel mondo del fumetto (Paoline, Milano 1998). Satanik, sottolineano Gorla e Luini, appartiene al «filone nero, spesso ingiustamente confuso con il filone sexy/porno» e alla fine — così Dazieri — la si è vista «trasformarsi in una giustiziera al servizio della legge».

Ed Eva Kant? L'ultima intrigante e impenitente sopravvissuta delle femme fatale, capaci di dare la morte con una tartina al caviale e l'oblio in una coppa di champagne? La narrazione dei suoi burrascosi trascorsi racconta un'altra storia. Che lascia, se non proprio presagire, certamente liberi d'immaginare altro, ben altro. Del resto, pure il capostipite del fumetto nero italiano, Diabolik, «ha gradualmente ammorbidito il proprio carattere». Nato «come un nuovo Rocambole o Fantomas», da «cattivo e sanguinario che era, lo spietato ladro si è trasformato in un moderno Arsenio Lupin». Certo «è ancora pronto a tutto pur di raggiungere il proprio scopo, ma è anche capace di insospettabile generosità. Si è costruito, inoltre, una fama di compagno fedele e puritano» di Eva Kant. E «può essere considerato il polo di un unico personaggio al cui opposto c'è l'ispettore Ginko. Anche se eterni rivali, grande è il rispetto, e forse la stima, che nutrono l'uno per l'altro» (Gorla e Luini).

Diabolik ed Eva Kant: dietro un grande criminale c'è una grande delinquente, dietro un grande re una grande regina, dietro un grande santo una grande santa. Patroclo e Achille, lo scudiero e il cavaliere. Per un gesto di amore, quanto verrà perdonato. Forse anche a Diabolik, per merito di e al contempo nonostante Lady Kant, di nome (omen?) Eva. Ce n'è sempre per tutti, anche per i fumetti.

Marco Respinti

m_respinti@hotmail.com

eva kant 

Versione originale e completa dell’articolo pubblicato in forma abbreviata e con il titolo
Anche le «dark ladies» hanno un’anima
in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale,
anno LII, n. 104, Roma 3-05-03, p. 17

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