CESNUR - center for studies on new religions

XIV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 296 di giovedì 10 aprile 2003

Discussione del disegno di legge: Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi (2531) e delle abbinate proposte di legge: Spini ed altri; Molinari (1576-1902)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi; e delle abbinate proposte di legge di iniziativa dei deputati: Spini ed altri; Molinari.
La ripartizione dei tempi è pubblicata nel vigente calendario dei lavori:

Ddl n. 2531 e abb. - Libertà religiosa e culti ammessi

Discussione generale: 9 ore.

Relatore

30 minuti

Governo

30 minuti

Richiami al regolamento

10 minuti

Interventi a titolo personale

1 ora e 20 minuti (con il limite massimo di 16 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)

Gruppi

5 ore e 30 minuti

Forza Italia

45 minuti

Democratici di sinistra-l'Ulivo

1 ora e 26 minuti

Alleanza nazionale

38 minuti

Margherita, DL-l'Ulivo

1 ora e 1 minuto

UDC

34 minuti

Lega Nord Padania

32 minuti

Rifondazione comunista

34 minuti

Gruppo misto

1 ora

Comunisti italiani

13 minuti

Socialisti democratici italiani

12 minuti

UDEUR-Popolari per l'Europa

11 minuti

Verdi-l'Ulivo

9 minuti

Liberal-democratici,
Repubblicani, Nuovo PSI

8 minuti

Minoranze linguistiche

7 minuti

 

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2531)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Bondi.

SANDRO BONDI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il presente disegno di legge si propone di attuare i principi costituzionali in materia di libertà di coscienza e di religione e, parallelamente, abrogare la normativa del regime fascista degli anni 1929-1939.
Allorquando, nel marzo del 1947, l'Assemblea costituente entrò nel vivo della discussione sul testo della legge fondamentale della Repubblica, il cuore del dibattito, più ancora che sull'ordinamento statuale, fu rappresentato dagli articoli concernenti le libertà civili, sociali e religiose dei cittadini della nuova Repubblica. Ed era in fondo scontato e giusto che su ciò si appuntasse l'attenzione di chi era chiaramente, dopo oltre 20 anni di dittatura, chiamato a sostanziare nella carta fondamentale i diritti di libertà.
Ciò accadde a partire dall'articolo 7, che incorporava nella Carta costituzionale i Patti Lateranensi, che fu al centro di un dibattito a volte aspro, ma sempre e comunque alto. La storia ha dato ragione a chi allora metteva in evidenza come la sua approvazione non ledesse l'impianto laico


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della Carta. Ciò sostennero da sponde opposte l'onorevole Moro, l'onorevole Jacini e l'onorevole Togliatti. «Divisi da diverse intuizioni politiche, da diversi orientamenti ideologici» - disse Aldo Moro -, «tuttavia noi siamo membri di una comunità, la comunità del nostro Stato e vi restiamo uniti sulla base di un'elementare, semplice idea dell'uomo, la quale ci accomuna e determina un rispetto reciproco degli uni verso gli altri». Questa semplice idea dell'uomo si sostanzia inequivocabilmente nei principi sanciti dalla prima parte della Carta costituzionale.
L'articolo 3, comma 1, ribadisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Per l'articolo 19 inoltre «tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda, e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».
Mentre il comma 1 dell'articolo 21 sostiene che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Ebbe a dire l'onorevole Orlando che i costituenti si trovavano tra due mondi costituzionali: «il vecchio e il nuovo, quello dell'ottocento, che dura ancora, ma in gran parte modificato, e le nuove forme che sorgono sotto l'impulso dei grandi movimenti di massa».
Se ho richiamato un momento di questo dibattito altissimo, è perché anche oggi il legislatore si trova a dover riaffermare quella stessa idea di uomo, che percorre come un filo a volte sottile ma mai spezzato l'intera civiltà occidentale.
L'idea dell'uomo come portatore di diritti inalienabili, tra cui la libertà di coscienza e di religione è il primo, perché attiene alla sfera più intima e sacra di ogni persona. Ebbene, oggi il legislatore si trova, ancora una volta, sospeso tra due mondi: quello che si è sviluppato dal dopoguerra ad oggi, con un impetuoso sviluppo economico e sociale, che ha reso il nostro paese un paese prospero e libero, e quello rappresentato dalla presenza sul nostro territorio nazionale di etnie, culture, riti diversi; una pluralità di comunità che rivendicano il proprio diritto. E lo fanno proprio in nome di quell'idea di uomo che spesso nei loro paesi di origine manca del più elementare diritto di cittadinanza.
Un'idea di uomo comune a laici e cattolici, ad atei e credenti che costituisce la base della civiltà occidentale. Negandola, l'occidente negherebbe se stesso. E negherebbe se stessa l'Italia, culla del diritto e culla del cristianesimo. Oggi ci troviamo a percorrere uno stretto sentiero tra la cultura del dialogo e la difesa della nostra identità. Chi in questi anni ha interpretato nel modo più alto, a mio avviso, questa sfida, è stato proprio il Santo Padre Giovanni Paolo II, nell'ambito di un coraggioso ripensamento della storia stessa della chiesa cattolica.
Nel decalogo di Assisi per la pace si trova l'impegno a educare le persone al rispetto e alla stima reciproci, affinché si possa giungere ad una coesistenza pacifica e solidale fra membri di etnie, di culture e religioni diverse, ed inoltre a promuovere la cultura del dialogo, affinché si sviluppino la comprensione, la fiducia reciproca fra gli individui e fra i popoli, poiché tali sono le condizioni di una pace autentica.
Per quanto riguarda la libertà religiosa, il Concilio ha indicato come la profonda convinzione e l'aperta testimonianza della verità e del valore salvifico della propria religione possano limpidamente armonizzarsi con un atteggiamento di sincero rispetto, dialogo e collaborazione con i seguaci di altre religioni.
Anche per quanto riguarda il rapporto con le religioni non cristiane, il documento conciliare Nostra Aetate afferma che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti


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differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini».
Tutto ciò assume oggi anche in Italia un rilievo concreto per la presenza crescente di altre religioni, dovuta soprattutto all'immigrazione, e probabilmente acquisterà maggiore importanza nel futuro.
A questo proposito mi sia permesso aggiungere qualche considerazione sulla rilevanza di questa legge per i rapporti futuri con il mondo musulmano. In sintonia con quanto dichiarato dal ministro Giovanardi, anch'io ritengo che questo disegno di legge possa servire da premessa per qualsiasi intervento futuro sul rapporto tra Stato e religioni e su temi spirituali e religiosi in generale. Ma vorrei sottolineare anche come questo disegno di legge vada molto al di là dei confini specifici che lo determinano. Questa legge è pensata, nella sua essenza politico-culturale, con uno sguardo proiettato verso il futuro, in vista cioè degli sviluppi storici che l'Italia e l'Europa intera dovranno affrontare nei prossimi decenni. Infatti, esso getta le basi per normative più vaste che sono, sì, di competenza di altre Commissioni parlamentari, ma che sono tutte riconducibili ad un unico grande problema: come istituire nuovi e paritari rapporti tra l'Italia e i paesi musulmani in generale?
Per cogliere la complessità della questione, basti pensare alle molteplici implicazioni che tali rapporti suscitano: dalle politiche immigratorie a quelle energetiche, da quelle commerciali e quelle sui diritti umani. Ora, creando le condizioni per trovare un punto di intesa legislativa minima tra lo Stato italiano e la religione musulmana, l'Italia può ragionevolmente e legittimamente avanzare nei confronti degli Stati musulmani la pretesa, da sostenersi a tutti i livelli, che essi adottino una parità di trattamento nei confronti della religione cristiana e, più in generale, di tutte le fedi religiose.
Anche in vista del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, il Governo italiano, sulla base della legittimità e dell'autorevolezza che gli deriveranno anche dalla promulgazione di questa legge - almeno da parte della Commissione competente -, potrebbe farsi promotore - credo a buon diritto - di un progetto di normativa europea che preveda il principio della reciprocità con gli Stati musulmani, vincolando tutti i suoi rapporti socio-economici al rispetto di questo principio. Questo sarebbe anche un modo per contribuire, con intelligenza ma anche con fermezza, alla crescita dei livelli di libertà e di democrazia nel mondo musulmano e, in ogni caso, è sicuramente un criterio equanime e ragionevole al quale ispirare la politica italiana nei confronti della minoranza musulmana presente nel nostro paese.
Infine, se certi aspetti di questo disegno di legge hanno suscitato riserve e dibattiti, ciò è dovuto soltanto al fatto che esso ha dovuto pensare al di là della situazione contingente, giocando su un terreno non soltanto molto più ampio, ma anche pressoché sconosciuto, vale a dire il terreno dei futuri rapporti con l'Islam. E ciò doveva necessariamente implicare non soltanto estrema cautela legislativa, ma anche fermezza nella difesa e nella rivendicazione della nostra tradizione storica e religiosa e della nostra inalienabile identità. In questo disegno di legge è in gioco infatti non soltanto una questione di libertà individuale e di culto, ma anche l'interesse nazionale, che abbraccia appunto anche l'identità spirituale del nostro paese.
Per concludere, desidero ricordare ciò che ha dichiarato il ministro per i rapporti con il Parlamento, onorevole Carlo Giovanardi, rispondendo alla Camera ad una interrogazione dell'onorevole Valdo Spini, in merito alle intese con le confessioni religiose, in base all'articolo 8 della nostra Costituzione.
Il ministro Giovanardi ha citato il presente disegno di legge come una premessa - lo ripeto -, anche procedurale, ad ogni successivo intervento in materia di politica religiosa. È bene, infatti, ancora una volta, sottolineare che la libertà di professare liberamente la propria fede religiosa in


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qualsiasi forma, individuale o collettiva, riguarda la sfera più intima della coscienza individuale. Per tale motivo, il disegno di legge in questione si propone di garantire a tutte le confessioni religiose parità di trattamento, realizzando pienamente l'articolo 8 della Costituzione.
Ciò comporta la necessità di superare la legislazione sui culti ammessi che, per quanto emendata negli aspetti più negativi a seguito degli interventi della Corte costituzionale, esprime un'impostazione ispirata più ed una concessione sospettosa e avara che al pieno riconoscimento dei diritti originari delle persone e delle comunità religiose.
La stessa nozione di culto ammesso, come ha sostenuto monsignor Betori, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana durante l'audizione svoltasi dinanzi alla nostra Commissione, risulta stridente, sia con i principi costituzionali sia con i limpidi indirizzi della dichiarazione conciliare Dignitas humanae e del successivo magistero della Chiesa cattolica dai quali - come ho ricordato - emergere nettamente l'esigenza di non limitarsi alla dimensione della mera tolleranza e di procedere ad un pieno riconoscimento della libertà religiosa in tutte le sue dimensioni.
La Chiesa ha manifestato l'esigenza di non limitarsi alla mera tolleranza e di procedere al pieno riconoscimento della libertà religiosa. Lo stesso Pontefice ha ritenuto di esprimere un punto di vista, io ritengo, più laico rispetto a quello di diverse forze politiche quando, nel corso del suo discorso alle Camere riunite, ha ribadito che il terrorismo internazionale chiama in causa le grandi religioni le quali sono chiamate a far emergere il loro potenziale di pace; in un'altra circostanza ha ricordato che il dialogo ecumenico tra i cristiani e con le altre religioni costituisce il migliore antidoto alle derive del fanatismo e del terrorismo religioso.
Tali interventi aiutano a comprendere il contesto in cui si pone la disciplina in esame e le finalità di questo disegno di legge. Appare importante ricordare, a tal proposito, come anche il ministro dell'interno, in un suo recente intervento da tutti apprezzato, dopo un doveroso riferimento alla sicurezza del paese e alla necessaria lotta contro il terrorismo, abbia indicato la necessità di trovare, all'interno della comunità islamica italiana, interlocutori rappresentativi con l'obiettivo di arrivare ad un Islam italiano compatibile con le nostre leggi e con i nostri valori.
Il fatto che tutte le confessioni religiose siano considerate libere davanti alla legge non comporta, tuttavia, eguaglianza nel trattamento e diritto automatico al riconoscimento di una intesa. Infatti, in primo luogo, rimangono fermi il regime concordatario che conferisce un rapporto singolare alla Chiesa cattolica e diverse garanzie per le confessioni religiose differenti da quella cattolica, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 8 della Costituzione; in secondo luogo, il disegno di legge in esame non prevede - lo ripeto - alcun diritto automatico all'intesa.
Quest'ultima è, infatti, frutto di una valutazione discrezionale dello Stato, il quale decide sulla base di alcuni parametri oggettivi chiaramente indicati in questo disegno di legge. Si ricorda, infatti, che occorre in particolare che lo statuto della confessione religiosa che chiede l'intesa non sia in contrasto con l'ordinamento giuridico italiano, che rispetti i diritti fondamentali della persona garantiti dalla nostra Costituzione e che non vengano offesi i valori considerati parte integrante dell'identità nazionale, della tradizione storica, culturale e religiosa del nostro paese.
Per concludere, considerate la rilevanza e l'importanza storico-istituzionale dell'intervento legislativo che si propone, si auspica vivamente che in questa legislatura si possa, attraverso un impegno unitario di tutte le forze politiche, approvare finalmente una legge che è così necessaria per chiudere con i residui di un passato che non è stato sempre esaltante e per favorire una piena attuazione dei principi di libertà contenuti nella nostra Costituzione capaci, ancora oggi, di civilizzare uno sviluppo non privo di problemi umani dolorosi.


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PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo.

PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signor relatore, colleghi deputati, è molto importante che oggi, 10 aprile 2003, siamo finalmente riusciti ad incardinare in Assemblea la discussione generale di questo disegno di legge in materia di libertà di coscienza, di libertà religiosa e di (conseguente) abrogazione della legislazione fascista del 1929 sui culti ammessi tuttora vigente.
È un po' paradossale, però, lo dico con tono pacato, ma esplicitamente polemico, che ciò sia avvenuto sulla base di reiterate richieste delle forze dell'opposizione - le quali tengono all'approvazione di questo provvedimento e, coerentemente, dimostrano al riguardo un atteggiamento assolutamente positivo e costruttivo - a fronte di resistenze manifestate, in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, da parte di alcune forze della maggioranza.
Sono pervenuti al nostro esame tre progetti di legge abbinati: un disegno di legge d'iniziativa del Governo e due proposte di legge, una d'iniziativa del collega Spini e di altri, un'altra di iniziativa del deputato Molinari. In particolare, il disegno di legge del Governo reca le firme di Berlusconi, Scajola (allora ministro dell'interno), Prestigiacomo, Martino, Castelli (ministro della Lega), Moratti, Sirchia, Maroni (altro ministro della Lega), Buttiglione e Tremonti: mezzo Governo ha firmato questo disegno di legge! Ciò costituisce un fatto positivo - un fatto positivo - come ha ben rilevato il collega Bondi, relatore, le cui considerazioni ho molto apprezzato sia in Commissione, molti mesi fa, sia qui in Assemblea stamani.
Ebbene, malgrado mezzo Governo abbia sottoscritto il disegno di legge, per molti e molti mesi, da quando abbiamo iniziato l'esame in sede referente, nel maggio del 2002 - siamo arrivati ad aprile del 2003! -, ci siamo trovati di fronte ad un dichiarato ostruzionismo da parte di uno dei gruppi della maggioranza, la Lega nord Padania, che pure vanta due ministri tra i sottoscrittori del disegno di legge. A tale proposito, ricordo che, in occasione del cosiddetto decreto Biondi, ai tempi del primo Governo Berlusconi, il ministro dell'interno dell'epoca, Maroni, dichiarò che non aveva letto il testo, che pure aveva firmato: quel provvedimento, come ricorderete, diede luogo ad una particolare vicenda con il Colle, dopodiché fu ritirato. Comunque, un ministro dell'interno del Governo aveva sottoscritto un provvedimento che non aveva letto (così dichiaro: che non aveva capito se l'aveva letto). Mi auguro che non sia successa la stessa cosa in questo caso perché stavolta i ministri sono due: uno è lo stesso, sia pure in veste diversa, l'altro è addirittura il ministro della giustizia (com'è giusto che sia in questa materia).
Quindi, è francamente sconcertante quanto sta avvenendo in questi mesi su una materia così importante e decisiva, come molto bene ha fatto rilevare, poco fa, il relatore Bondi e come si evince, del resto, dalla lettura del testo. È sconcertante che un disegno di legge del Governo abbia suscitato l'ostruzionismo di un gruppo della maggioranza - i cui rappresentanti al Governo hanno firmato il disegno di legge - e che a chiedere insistentemente che il provvedimento giungesse all'esame dell'Assemblea siano stati i gruppi dell'opposizione!
Bene ha fatto il collega Bondi, poco fa, a richiamarsi al testo costituzionale. Questo è un disegno di legge ordinario che, tuttavia, in qualche modo, finalmente, sia pure tardivamente, attua la nostra Costituzione.
Non in contrasto, ma semplicemente a complemento di ciò che è stato detto, vorrei ricordare il quadro costituzionale nell'ambito del quale, sotto il profilo dell'attuazione,


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si colloca, giustamente, questo disegno di legge. L'articolo 3 della Costituzione, che è già stato citato, stabilisce: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Il successivo articolo 8 stabilisce: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».
Questo è l'articolo 8 della Costituzione. Aggiungo - ce lo ha citato giustamente, ripetutamente il Presidente emerito della Corte costituzionale, Giovanni Conso, uomo di grandissimo profilo giuridico (non voglio dargli etichette, lo conosco e lo stimo da molti anni, potrei definirlo un cattolico liberale, come impostazione culturale) - l'articolo 10: l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Infatti, in quelle norme, in quelle convenzioni internazionali, sono ricompresi quei diritti a cui fa riferimento giustamente questo testo di legge. Cito anche l'articolo 18, che non riguarda specificatamente la libertà religiosa ma quella di associazione: i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Cito, inoltre, l'articolo 19, che giustamente il relatore ha ricordato: tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda, e di esercitare in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Cito, ancora, l'articolo 20: il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività. Infine, l'articolo 21, come l'articolo 18 sulla libertà di associazione, riguarda tutti gli aspetti, non soltanto quello della libertà di coscienza e di religione, ma, appunto per questo, è molto importante: tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Presidente, colleghi, io ho letto un testo, la nostra Costituzione vigente, che è stato scritto nel 1947 in questa Assemblea e che è entrato in vigore il 1o gennaio del 1948. A leggere ad alta voce, a rileggere questo testo sembra - e non sembra soltanto, ahimé! - che i nostri padri costituenti, alcuni dei quali giustamente Bondi ha citato, avessero idee molto più aperte, molto più avanzate, molto più coerenti con la concezione liberaldemocratica dello Stato di diritto che non alcuni nostri colleghi nell'anno di grazia 2003.
Abbiamo risentito in Commissione - e temo che risentiremo questa mattina anche in quest'aula (ovviamente ascolteremo con attenzione) - toni, atteggiamenti, impostazioni culturali che, per un credente come sono io, al pari credo del collega Bondi, sono semplicemente e banalmente preconciliari. Ma non è questo che rileva in quest'Assemblea, anche se lei è stato costretto - lo dico tra virgolette - a citare Papa Giovanni Paolo II, a citare la dichiarazione sulle libertà religiose del Concilio Vaticano II, che anch'io apprezzo moltissimo, la Dignitatis humanae, l'enciclica Nostra aetate, a citare le dichiarazioni del rappresentante della Conferenza episcopale italiana.
Tutto questo è giusto, ed è apprezzabile che il relatore lo abbia fatto, ma è paradossale che noi, nell'Assemblea della Camera dei deputati, in un'aula laica, quindi, anche per i credenti, di un Parlamento e di uno Stato costituzionale di diritto, per avvalorare la giustizia di un disegno di legge che vede una convergenza tra maggioranza ed opposizione (perché si tratta dell'attuazione degli articoli della Costituzione che ho ricordato), siamo costretti - lei sia stato costretto, ma mi associo a questo (non la sto criticando ma sto rilevando l'aspetto paradossale) - a citare


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l'autorità del Pontefice che ha parlato il 14 novembre scorso in quest'Assemblea, a citare i testi conciliari, a citare le encicliche papali. È paradossale, perché questo vuol dire che, per convincere qualcuno - e non lo convinceremo, ci scontreremo, collega Bondi, purtroppo lei l'ha già visto; non noi due, ma ci scontreremo con chi non vuole questo provvedimento -, dobbiamo ricordare ai colleghi che, in nome di una concezione integralista, intollerante, io dico anche evangelica, della stessa religione cristiana, nella quale io stesso come fede mi riconosco (ma qui parlo da laico), siamo costretti a citare i testi del Pontefice, i testi del Concilio Vaticano II, i testi della Conferenza episcopale italiana. Bene, quei testi sono positivi, li condivido, è bene che risultino anche nel resoconto stenografico della nostra discussione, ma è francamente paradossale. Io non ho molto tempo e quindi so che devo concludere, Presidente.

PRESIDENTE. Non ne ha proprio più, onorevole Boato, però le lascio ancora un po' di tempo.

MARCO BOATO. Cerco di concludere brevemente.
Evidentemente, non sono andato negli aspetti tecnico-giuridici che pure sono importantissimi.
Io solleverei soltanto un problema, per quanto concerne quanto ho sentito citare, ed è la questione della cosiddetta reciprocità. La reciprocità esiste per molti aspetti, e noi dobbiamo batterci affinché la libertà religiosa sia rispettata in tutto il mondo, e dunque anche nei paesi integralisti dell'altro versante (in questo caso, i musulmani, e non tutti per fortuna), in cui la libertà religiosa non è rispettata. Ma noi in Italia non abbiamo questo vincolo per attuare i principi costituzionali, ed abbiamo il dovere di attuare sia l'articolo 3 della Costituzione, sia tutti gli altri che ho citato, a prescindere da ciò che avvenga di negativo e di condannabile - ed è giusto condannarlo ed è altresì giusto battersi affinché cambino le situazioni - in quei paesi.
Noi abbiamo un dovere rispetto alla nostra coscienza, al nostro ordinamento costituzionale e ai patti internazionali che abbiamo liberamente sottoscritto. È questa la ragione per cui mi dispiace che il testo del provvedimento, nel corso dell'esame in sede referente, anche se ha subito alcune modifiche positive, abbia prevalentemente subito modifiche di carattere restrittivo, basate su una sorta di paranoia della cultura del sospetto. Mi dispiace che ciò sia avvenuto, tuttavia ho voluto personalmente mantenere un atteggiamento di dialogo e di confronto, poiché attribuisco più importanza all'impianto complessivo di questo disegno di legge che a un singolo aspetto - che si può ancora correggere -, frutto di un'obiettiva situazione - signor Presidente, non voglio offendere nessuno - di «ricatto».
Infatti, se dal maggio dell'anno scorso il provvedimento è arrivato in aula il 10 aprile di quest'anno, ciò è avvenuto perché vi è stato un ricatto all'interno della Commissione affari costituzionali, che ha costretto, con molta correttezza, da ultimo, il presidente della stessa ad applicare quei criteri che obbligassero la I Commissione a varare un testo, altrimenti ciò non sarebbe avvenuto.
Do atto pubblicamente della sua correttezza, ma intendo denunciare questo ricatto che si è verificato e la necessità di non impedire quel largo confronto tra maggioranza e opposizione che è giusto avvenga su un tema fondamentale per lo Stato costituzionale e di diritto. Tale confronto può avere luogo, e può portarci tutti insieme, a larghissima maggioranza, a votare questo provvedimento, anche se c'è chi ha interesse ad impedire ciò, e manifesterà il suo intento anche in quest'aula. Noi abbiamo il dovere di battere il disegno ostruzionistico di coloro che vogliono impedire l'approvazione di questo provvedimento, che riguarda i principi fondamentali della dignità della persona, e dunque, laicamente e liberamente, con il confronto ed il rispetto reciproco, abbiamo il dovere di proseguire il lavoro che abbiamo iniziato.


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Concludo il mio intervento ringraziando il relatore, il presidente della I Commissione e tutti i colleghi che hanno partecipato al lavoro positivo che finora abbiamo svolto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri, al quale ricordo che ha dieci minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, in che paese viviamo? Viviamo forse in un paese dove manca la libertà, o dove forse manca la tolleranza e il rispetto dei diritti soggettivi a professare le proprie credenze religiose? Ascoltando il collega che mi ha preceduto, sembrerebbe di sì. Vi è forse oggi la necessità di ribadire che questo è uno Stato tollerante, e che difende la concezione che dell'uomo possono avere le persone ospiti di questo Stato? Non mi sembra. È forse possibile affermare che il nostro non sia uno Stato laico?
Ritengo che dall'approvazione di questo disegno di legge nasceranno delle conseguenze; certo, le intenzioni sono buone: chi discute delle intenzioni di professare la libertà religiosa o la libertà di coscienza? Ma di buone intenzioni, diceva Dante, è lastricata la strada per l'inferno.
Ricordo semplicemente alcuni grandi tragedie: il nazionalsocialismo nacque come idea di difendere la nazione e ad altri principi; il fascismo e il comunismo nacquero con intenzioni in qualche modo condivise dalla popolazione, ma sappiamo come è andata a finire; nel campo della medicina, l'eroina nacque, per opera della Bayer, come un farmaco antitosse, e le pubblicità dicevano: «mamme, date eroina ai vostri bambini»! Ebbene, con il disegno di legge al nostro esame, ammantato di buone intenzioni, noi propiniamo una medicina letale, ed andiamo, in qualche modo, a ledere tutta l'impostazione del legislatore.
Possiamo equiparare la libertà di religione e di coscienza? Si tratta di due cose ben diverse, ed anche perché la libertà di religione attiene anche alla religione come corpo storico e sociale. Vi è, dunque, la necessità di affermare il diritto individuale alla libertà di coscienza? Non credo. Dobbiamo mandare a monte un regime instaurato e consolidato dal legislatore e dai padri costituenti?
Onorevoli colleghi, l'articolo 7 e l'articolo 8 della Costituzione hanno tracciato un processo ben preciso. L'articolo 7 dà rango costituzionale ai Patti Lateranensi, mentre l'articolo 8 sancisce che tutte le religioni sono libere anche se non eguali, fissando, così, un principio, un metodo di confronto e di riconoscimento con le singole religioni.
Onorevole relatore, con questo progetto di legge mandiamo a monte questo processo di libero riconoscimento. Si può tollerare e ci deve essere il dialogo, ma deve esserci anche il reciproco riconoscimento. In questo modo, invece, buttiamo a monte l'atto di riconoscimento, di dialogo, ed affermiamo, con un atto giurisdizionalista, che è possibile il riconoscimento di tutto e di chiunque, iniziando dalle sette. Difatti, chi deciderà se una determinata religione o confessione è una setta oppure è una religione? Chi discriminerà tra sette di satanisti o di scientologi - fra l'altro proibite anche nella democratica Francia - e le religioni che, come diceva l'onorevole Bondi, portano qualcosa ai diritti dell'uomo e alla concezione dell'uomo? Questo potrà farlo il Consiglio di Stato?
Io ritengo che sia la politica a dover fare questo processo di riconoscimento. Inoltre, ritengo che si debbano portare all'aperto le religioni. Perché la religione islamica non si confronta in modo chiaro ed inequivocabile con lo Stato italiano? Perché la religione islamica non può riconoscere lo Stato italiano. Perché la religione islamica non può riconoscere altra legge, altra fonte di diritto al di là di quello che è la sharia, al di là di quello che sancisce il «libro». Conseguentemente, nel dialogo, nel riconoscimento, occorre essere in due soggetti. Il dialogo avviene se una persona si presenta: noi quando conosciamo una persona ci guardiamo negli occhi, ci stringiamo la mano, dimostriamo che non siamo armati, dopo di che dialoghiamo.


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In questo modo, invece, noi evitiamo il dialogo, evitiamo ad una religione di presentarsi al nostro Stato e di dire chi è, e che cosa essa voglia fare, e che progetto apra al nostro paese. Noi apriamo le porte a dei rivolgimenti anche nel diritto di famiglia; potremmo avere dei diritti di famiglia completamente diversi da quelli previsti, tenuto conto dell'andamento di questo paese. Così come potremmo avere il riconoscimento nei luoghi di lavoro della festività del venerdì, oppure del diritto, ad esempio, di porre un'immagine in fabbrica o quant'altro e di fermare i lavori dedicando ad essi il tempo necessario.
Io sfido il Presidente Casini, al termine dell'iter di questo provvedimento, ad impedirmi di piegarmi per tre volte al giorno nella direzione che più riterrò opportuna; egli, in spregio al Parlamento e a quello che è un uso consolidato della nostra tolleranza, dovrà consentirmelo.
Noi stiamo abusando e svendendo un principio democratico di tolleranza e di dialogo che fino ad ora ci ha onorato. Noi dimostriamo, con questo principio, di essere, ancora una volta, il ventre molle della società occidentale e di non avere il coraggio necessario ad imporre il rispetto delle regole della democrazia. In questo modo, i frutti di un processo di secoli di laicizzazione e di conquista dei diritti umani sono regolarmente gettati alle ortiche con una pseudotolleranza e con uno pseudoinvito al dialogo che tanto ha del masochismo, ma ha poco dell'invito a dialogare serenamente con le persone che vivranno in Italia.
Questo non vale, evidentemente, soltanto per gli extracomunitari, ma - lo ripeto - anche per altri progetti che nulla hanno a che vedere con le nostre regole di democrazia.
Pertanto, parlando di dialogo, meglio avremmo fatto ad insistere maggiormente sul riconoscimento. Ricordiamoci anche che la tolleranza non è un esercizio infinito, ma presuppone un limite ben chiaro che deve essere fissato nell'esercizio del dialogo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Montecchi. Ne ha facoltà.

ELENA MONTECCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 6 gennaio 1941 il Presidente americano Roosevelt parlò all'Unione di un mondo futuro fondato su quattro libertà: la libertà di parola, di religione, dal bisogno e dalla paura. I diritti degli uomini di ogni razza, diffusi e resi popolari tra la gente, divennero un punto di forza in una fase drammatica per la storia del mondo e segnarono in termini popolari la dicotomia e l'inconciliabilità tra la democrazia ed i regimi autoritari che impedivano la piena realizzazione, in particolare, della libertà di parola e della libertà dal bisogno e che reggevano le società sulla paura e sulla violenza, senza liberare i cittadini dal bisogno.
In quegli anni, un grandissimo illustratore, Norman Rockwell, dipinse la libertà di religione con membri di diverse religioni intenti a pregare, ciascuno a suo modo, ma tutti insieme nello stesso dipinto. Questo è un altro patrimonio popolare diffuso, anche se quell'ingenua ma fedelissima interpretazione dei principi ispiratori della libertà di religione si infranse nella rappresentazione pittorica della libertà dal bisogno ovvero della prosperità, che fu rappresentata da una famiglia raccolta intorno ad un tavolo di fronte ad un tacchino per festeggiare il giorno del Ringraziamento.
Qualche anno più tardi, Rockwell stesso, rammentando la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, disse che non avrebbe più dato quell'immagine della prosperità, perché se la libertà dal bisogno è universale e riguarda tutti gli uomini del mondo, essa non può essere rappresentata da una festa appartenenti, sì, alla tradizione americana ed alla storia dei padri fondatori, ma di forte sapore religioso, di una religione in cui non si riconoscono nemmeno tutti gli americani.
È relativismo? No, è il riconoscimento che la libertà religiosa dà il senso dell'autonomia delle singole religioni e della loro coabitazione e questo senso per la vita civile sta in uno spazio comune di reciproco


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riconoscimento che è la democrazia con le sue regole, quelle regole che consentono agli uomini di essere liberi e responsabili, di essere liberi nelle manifestazioni della loro coscienza e della loro fede religiosa.
Il collega Polledri ha rappresentato un'idea autoritaria dello Stato, ma uno Stato deve essere autorevole. Egli ha rappresentato l'idea che vi è una sorta di ufficio patenti che decide quale tipo di religione è congrua e quale non lo è.
Vorrei ricordare al collega Polledri, che ha richiamato il consenso popolare della nascita del nazionalsocialismo più che dei comunismi dei paesi dell'est, che l'ingiuriosa teorizzazione della diversità e dell'inconciliabilità con il cuore dell'Europa costruita sull'elaborazione e l'intreccio tra razza e religione ebraica portò non solo alle violenze di uno Stato totalitario, ma anche alla shoah. Occorre prestare attenzione quando si brandiscono concetti fondativi che riguardano lo spazio comune della democrazia. La storia dell'Europa, con il crollo rovinoso del nazismo e la tragedia della shoah, fu la principale maestra per la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Quelle efferatezze si compirono nel cuore dell'Europa.
L'Europa, con la sua storia, fu anche la grande protagonista dell'atto finale della conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa di Helsinki nel 1975. In quella conferenza si iniziò a creare, proprio sui diritti e sulle libertà, il tessuto comune di una futura Unione. Ad Helsinki la Chiesa di Roma agì con un consenso vastissimo; le Chiese si trovarono a difendere i diritti e le libertà per tutti. D'altro canto, le Chiese dei paesi europei occidentali grazie anche ad intellettuali di grandissima levatura - come ricorda uno storico delle religioni, il professor Alberto Melloni - scelsero, nella ricostruzione post bellica, il metodo democratico, accettarono i diritti della coscienza, riconobbero i diritti dell'uomo anche come metri sui quali ponderare la repressione antireligiosa nei paesi a dominio comunista.
L'Europa degli anni novanta e dell'inizio del millennio, dopo il trattato di Maastricht e la carta di Nizza, e soprattutto, per quanto riguarda lo specifico mondo delle religioni, dopo la preghiera di Assisi del 1986, porta con sé il tema della prospettiva di pluralismo religioso, già fortemente presente in Europa nell'esperienza quotidiana delle persone. Si tratta di un tema che necessita il ripensamento per chi ha responsabilità pubblica sulle forme di relazione tra gli Stati e le confessioni religiose, tra l'Unione europea ed il pluralismo religioso in Europa.
L'Europa si accinge a varare la propria costituzione e, con la proposta avanzata pochi giorni fa dal presidente Giscard d'Estaing, che ha trovato larghissimi consensi, riconosce il ruolo specifico delle Chiese, delle associazioni o delle comunità religiose rispettando, altresì, lo statuto delle organizzazioni filosofiche non confessionali. È un grande passo in avanti per il nostro spazio comune, per la coesione e per la possibilità di una nuova cittadinanza europea più ricca e più rappresentativa dei mille volti degli europei, compresa la dimensione immateriale. Altro che relativismo!
Siamo di fronte ad un tema immane. Noi, nella nostra modesta funzione di legislatori, dobbiamo avere il senso della portata di ciò che cerchiamo di fare, con modestia, con responsabilità, ma evitando di agitare le clave dell'ideologia, le clave della certezza che portano all'ignoranza ed alla cecità.
La risposta da dare anche alla dimensione immateriale è un tema che non riguarda nessuna funzione e nessuna tentazione di stampo statalista nello svolgersi della dimensione religiosa in quanto tale. Altri sono i compiti degli Stati, delle forme di controllo degli Stati; ben altri sono quei compiti e devono avere precisi confini.
Questo è importante che ce lo diciamo con franchezza perché poi, nel dispiegarsi dell'articolato del disegno di legge del quale stiamo discutendo, emerge un dato che non sottovalutiamo, ma che tutti osserviamo con qualche preoccupazione: il rischio dei fondamentalismi, perché questo tema c'è. Ma qual è l'equilibrio da adottare per evitare l'accentuazione dei fondamentalismi:


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uno Stato occhiuto? Una commissione autorizzativa che censuri le singole commissioni? Credo proprio di no.
Noi dobbiamo dare una risposta ad una questione posta, tra le altre, da un editoriale di Civiltà cattolica dell'aprile del 2002, dove tra l'altro si sottolineava che gli Stati membri dell'Unione europea e la Convenzione dovevano affrontare seriamente e senza pregiudizi di sorta il problema del rapporto tra le esigenze poste dal fattore religioso, presenti in molta parte della popolazione europea, ed il corretto rispetto che si deve alla laicità delle istituzioni pubbliche.
L'assunzione di responsabilità che c'è ad esempio nell'articolo proposto dal Presidente Giscard D'Estaing, che ha ascoltato il mondo politico e il mondo delle religioni, impegna non poco le classi dirigenti europee ed ogni singola nazione. Impegna, in primo luogo, a ridefinire entro nuovi equilibri la laicità degli Stati, laddove la laicità rappresenta un riferimento indispensabile, un patrimonio da difendere, per società così differenziate anche sul piano spirituale. Impegna l'Europa a non assecondare le spinte confessionalistiche che emergono nei paesi ortodossi, così come le pressioni isolazionistiche di taluni riformati del nord Europa. Impegna l'Europa ad utilizzare lo spazio politico e della mediazione per comporre conflitti interreligiosi presenti in Europa. Impone di assecondare lo sviluppo di un islamismo moderato di tipo europeo, ripeto: di tipo europeo! Impegna l'Europa a non tacere che ancora all'interno dell'Unione vi sono paesi come la Grecia, dei quali si deve occupare la Corte di Strasburgo, chiamata a decidere se commetta reato un sacerdote di una religione non cristiana nel fare il proselitismo. L'Europa non deve tacere che vi sono paesi candidati ad entrare nell'Unione, nei quali i cattolici e i protestanti sono ostacolati nelle loro manifestazioni religiose, perché il rapporto stretto, l'intreccio tra Stati e chiese ortodosse è vissuto ed usato politicamente nell'illusione di rafforzare l'identità nazionale dei popoli balcanici e slavi.
Non possiamo essere ciechi di fronte a queste realtà, fortemente lesive dei diritti degli uomini e che minano alla base la possibilità di uno spazio comune europeo, dove tutti i cittadini siano uguali.
Dunque, la laicità degli Stati oggi non è più rappresentabile solo nella composizione o nella mediazione fondamentalmente esercitata tra soggetti cattolici e agnostici (e in quest'ambito di confronto si definiva lo spazio residuale per le minoranze). Sto dicendo che questo è il quadro concettuale e con ciò è evidente che nessuno pensa di mettere in discussione il regime concordatario. Tuttavia vorrei che riflettessimo su questo punto. Ecco perché noi condividiamo profondamente il testo equilibrato proposto dal Governo, proprio perché apre questo spazio di dialogo civile, che riguarda le minoranze di questo paese.
Si tratta di un esercizio democratico equilibrato e allo sviluppo del dialogo interreligioso spetta un ambito nel quale lo Stato non deve entrare. Pensate, ad esempio, quanto è stato fatto - anche in questi mesi - sul piano del dialogo interreligioso di fronte alla dramma della guerra da Giovanni Paolo II, l'uomo della preghiera di Assisi. Ciò è stato posto in essere da tanti vescovi, da tanti sacerdoti; le loro invocazioni di pace e di pacificazione fra le regioni hanno aiutato milioni di uomini e di donne nel mondo.
In Italia, quel dialogo, quelle parole, ripetute anche modestamente in piccolissime parrocchie di periferia, sono state fondamentali anche al fine di evitare rischi sociali e politici. Quelle parole hanno dato speranza a tanti onesti credenti musulmani, rasserenando la loro vita quotidiana nel paese nel quale vivono e lavorano.
Tra gli schiamazzi, non si iscriva il Papa a questo o a quel partito. Tuttavia, chi ha una responsabilità politica pubblica ha il dovere di cogliere cosa accade tra credenti di religioni diverse se si fanno le guerre in nome di Dio. Infatti, agli Stati, alla politica, spetta il compito di cogliere gli spazi possibili di agibilità per le diverse religioni, affinché escano dai rischi di minorità settaria perché perseguitate, dimenticate e relegate ai margini inospitali


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della società. Agli Stati, alla politica, spetta il compito di temperare gli ardori missionari, affinché quegli ardori siano più disponibili alla tolleranza, più miti e disponibili a comprendere l'esistenza di altre forme di trascendenza.
Si tratta di un cammino verso la moderazione che è già avvenuto nella storia dello spirito delle crociate, passato dal massacro degli infedeli al pacifico e solidale impegno missionario. Servono spazi pubblici unitari, pazienti e dialoganti, ma anche assai fermi e autorevoli, per evitare che la religione sia pretesto e causa di tante violenze pubbliche.
I pericoli rappresentati dalle fonti religiose - siano esse le Milizie di Cristo, gli ispiratori dell'assassinio di Rabin e del terrorismo sionista, lo sceicco Yassim, capo spirituale di Hamas, o Osama Bin Laden - sono gravi e tanto più gravi sono le coperture politiche che i singoli partiti forniscono ai fondamentalisti nelle democrazie occidentali e in Israele nonché le coperture che i singoli Stati islamici danno al terrorismo.
La politica deve distinguere senza bandire la complessità del proprio lessico e non può sottacere che, dopo l'11 settembre, si è accentuato un pregiudizio ideologico, che produce odio e paura verso tutto l'islam e che, dopo lo scoppio dell'Intifada Al-Aqsa, si è alimentata un'altra difficoltà a filtrare gli stereotipi del vecchio antisemitismo rimessi acriticamente all'interno di un giudizio politico sul conflitto mediorientale.
I pregiudizi, gli interessi entro orizzonti limitati, l'idea che le proprie convinzioni spieghino il mondo sono esiziali per chi ha responsabilità pubbliche, essendo chiamato a decidere se la legislazione del proprio paese sia adeguata e sufficiente a garantire uguaglianza per tutti, vale a dire agli uomini e alle donne che hanno una fede e a coloro che non l'hanno.
Il Governo italiano, presentando il disegno di legge in discussione, ha compiuto una scelta che giudichiamo adeguata innanzitutto perché cancella la legislazione fascista e coglie, con grande equilibrio, principi fondamentali per la libertà e la dignità dell'uomo. In questa fase è necessario mandare questi messaggi!
Le audizioni che si sono svolte in Commissione ci hanno fornito utili suggerimenti e sostanziali incoraggiamenti per lavorare, pur con le correzioni necessarie, sul solco tracciato dal Governo. Tuttavia, la discussione in Commissione è stata caratterizzata da una tenace opposizione, in particolare da parte dei deputati della Lega nord, che hanno rappresentato ciò che, in forma più elaborata e assai sciagurata, è stato teorizzato da Samuel Huntington: lo scontro tra civiltà. Naturalmente, l'Islam è nel mirino, con tutto il corollario di luoghi comuni che serpeggiano in Europa dalla metà del quattrocento.
Cosa induce a considerare una legge sulla libertà religiosa pericolosa per i nostri modelli di vita, i nostri diritti individuali, le leggi che dovrebbero essere uguali per tutti, i diritti delle donne? Cos'è? Francamente, è molto difficile rispondere, almeno razionalmente. Razionalmente, si può dire che si cerca di affermare la superiorità orgogliosa di un'esperienza di civiltà, alla quale tutti noi apparteniamo. C'è chi è stato minoranza in questa storia di civiltà. C'è chi è stato maggioranza. C'è chi, anche qui fra noi, è stato minoranza nella sua storia familiare, per ragioni di appartenenza ad un'altra religione. Però, tutti apparteniamo a questa storia. E ne siamo orgogliosi. È una storia che difendiamo e che sapremo ancor meglio difendere, se sarà inclusiva, nei suoi punti cardini, se saprà, dai suoi punti di forza - i diritti, la democrazia - e dal suo ordinamento giuridico, accogliere anche chi è diverso. Altrimenti, ci saranno i nuovi ghetti o le repressioni dei riformati. Ci saranno i cittadini di serie A e di serie B. È una storia che l'Europa ben conosce, al di là del dramma della Shoah, nei fatti, nell'isolamento, nell'emarginazione, nelle leggi razziali, nel non riconoscere il contributo dato alla storia del nostro paese, per esempio, dai riformati, tutto qui. Riflettiamo su questo. È molto recente questa storia.


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Da qui si vede la forza di una nazione. E l'Italia ha questa forza, se c'è uno sforzo comune, se si guarda in faccia, nel confronto politico in quest'aula più che nello schiamazzo, un po' più l'interesse di prospettiva e non, invece, l'ennesima bassa mediazione. Chi ci guarda su questo provvedimento - e ci guardano in molti - ci chiede di includere nella vita civile, economica e sociale, attraverso un particolare aspetto - le regole che riguardano la libertà religiosa -, molte persone che fanno parte del nostro panorama civile e sociale.
Vorrei ricordare che, in particolare per la seconda religione italiana, l'Islam, queste molte persone, in larghissima misura, non hanno diritto di parola nella vita pubblica. E, allora, come si affermano quelle libertà fondamentali, se non comincia un processo di inclusione per via religiosa? È ciò che ha individuato lucidamente - molto lucidamente, a mio parere -, in occasione di interviste e anche di discorsi pubblici, il ministro dell'interno Pisanu.
Ho cercato di spiegare le ragioni per cui sosteniamo l'impianto di questo testo, anche se vi sono ragioni tali per cui non siamo convinti di alcune parti del testo approvato in Commissione. Infatti, esso risente dell'impostazione politica che ho cercato di richiamare: un'idea eccessivamente pervasiva dei sistemi di controllo; si accentuano le funzioni, peraltro indesiderate o comunque che non appartengono all'esperienza del Ministero dell'interno, con una logica che anche in questo caso risente di un'irrazionalità, della libertà vigilata per chi è una minoranza. Tutto ciò, beninteso, facendoci noi pienamente carico di problemi molto seri, che riguardano le forme di controllo che non spettano a questa legge, le forme repressive, con l'uso strumentale di qualunque religione a fini di incitamento all'odio politico. Peraltro, il Governo aveva già indicato le modalità di controllo entro i limiti previsti dai nostri ordinamenti. In sostanza, noi abbiamo delle obiezioni da rivolgere e presenteremo degli emendamenti; in ogni caso, come dicevo, il nostro impianto è questo.
Infine, ho apprezzato la relazione del relatore Bondi, così come ho apprezzato il lavoro che il Governo ha svolto in Commissione. Mi auguro che, quando saremo chiamati al voto su questo provvedimento, si possa svolgere una discussione che abbia presente i necessari passaggi - in questa fase, credo che il passaggio più utile sia quello di mantenerci nell'ambito dell'impianto di questa legge - tra i quali vi è quello che riguarda il futuro dell'inclusione nel nostro paese. Questo passa attraverso quei segnali, che già vengono dati nelle piccole comunità, di grande esperienza interreligiosa, di solidarietà materiale. Ad altri spetta l'approfondimento sul dialogo interreligioso, non spetta ad un Parlamento a cui, invece, spetta darsi dei tavoli, delle regole, in sintonia con l'indirizzo e con l'attività dei singoli paesi europei. In questo caso, penso alla recente costituzione del tavolo con la religione islamica del Governo francese, appunto, presso il Ministero dell'interno.
Insomma, spetta a tutti noi tentare di fare uno sforzo guardando al futuro, guardandolo con occhi attenti, vedendone anche i tratti problematici di contraddizione e di paura, ma non utilizzando le paure degli italiani per creare nuove guerre di religione. Sarebbe un problema insanabile, un dramma politico e anche un po' una vergogna di cui si macchierebbero alcune forze politiche, che tendono ad aprire i varchi in un'Italia già molto ferita e problematica (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, colleghi, confesso che nell'affrontare questo dibattito interessante provo un senso di imbarazzo per un tema delicato come questo che coinvolge, prima che le posizioni politiche di ognuno di noi, la coscienza di ognuno di noi. Si tratta di un


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imbarazzo dovuto anche a certezze assolute che ho sentito in questa sede, pur mascherate da abili confronti dialettici, che io non ho. Sembra quasi che un sentimento politically correct, come si dice, pervada quest'aula e debba condizionare il dibattito, senza la dovuta attenzione alle ragioni degli altri. Si tratta di un sentimento che in nome di una giusta valutazione di uguaglianza tra tutte le religioni, di rispetto della dignità delle persone, dimentica quella che è la realtà attuale e i tentativi di molti di noi di confrontarsi, di migliorare un determinato testo, come quello che stiamo affrontando, all'insegna proprio di quelle valutazioni di fondo e di quelle opzioni che qui tutti i relatori intervenuti hanno richiamato.
Proprio gli interventi che mi hanno preceduto mi hanno confermato - lo ripeto, al di là di valutazioni che condivido, di un sincero sforzo di analisi della realtà odierna e della prospettiva del nostro paese in un'Europa che sta cambiando velocemente - mi hanno confermato però la netta distinzione nell'approccio a questo tema che ci caratterizza.
Sento il dovere di dire ciò proprio perché ho apprezzato la profondità e l'acutezza che il collega ed amico, onorevole Bondi, ha espresso nello svolgere la sua relazione. Anche oggi in aula, ma soprattutto in Commissione - le cui riunioni sono state gestite con equilibrio dal presidente -, è stato evidenziato il tentativo di farsi carico dei problemi più significativi ed emergenti della società italiana; ciò adeguando la legislazione in materia di confessioni religiose, di rapporto sostanziale fra Stato e Chiesa - o Chiese - ad una società ormai multietnica ed interconfessionale.
Siamo tutti consapevoli che occorre adeguare questa normativa e prendere atto che la nostra non è una società che vive di schemi fissati per sempre, ma che deve evolversi rispetto alla naturale evoluzione dei tempi.
Peraltro, desidero ribadire che i criteri fondamentali - su questo dovremmo aprire un serio dibattito in sede di analisi degli emendamenti - sanciti nel presente provvedimento sono già pienamente presi in considerazione dall'attuale normativa, quindi non sono così sicuro della necessità di un'altra legge per meglio definirli. Infatti, credo che, a questo punto, occorra un chiarimento riguardo al principio relativo al rispetto della dignità della persona, a qualunque razza o religione appartenga. Non desidero fare un processo alle intenzioni, ma ritengo che questi valori, questi concetti siano così profondi e sacri che non possano essere fatti oggetto di mistificazione. In realtà, le questioni non pienamente risolte dal presente provvedimento prima di essere affrontate necessitano di un confronto con alcune domande che pongo a me stesso e all'intera Assemblea.
Partendo dalla constatazione dell'attuale situazione vi è veramente bisogno di questo provvedimento o, accanto alla volontà di meglio normare situazioni delicatissime (irrisolte per secoli e che non possono, peraltro, definirsi solo con alcune affermazioni di taglio illuministico fondate su concezioni esasperatamente ottimiste riguardo allo sviluppo della società), si vuole, in realtà - non nego questa volontà, questa necessità - da parte di alcuni settori, della sinistra e non solo, porre in essere un'opera di contenimento della tradizione cattolica del nostro paese attraverso la generica, ed a tratti pericolosa, introduzione di norme che liberalizzino ogni forma di attività religiosa, senza un'analisi concreta ed effettiva delle medesime? Ovviamente non mi riferisco al relatore, il quale mi pare abbia anche illustrato in una parte della sua relazione il concetto fondamentale di difesa di un'identità, di una tradizione. In ogni caso, alcune osservazioni che ho sentito e letto in questa sede - e, più che altro, in Commissione - mi confermano questo sospetto.
Si badi, non intendo minimamente contestare l'importante principio relativo alla libertà di religione ed alla libertà della persona; chi mi conosce sa che la tradizione culturale dalla quale provengo ha rafforzato in me la fiducia nella dignità


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della persona e circa la necessità che quest'ultima possa manifestare ogni forma di espressione religiosa.
Mi pare importante, però, coniugare meglio questo principio alla luce della realtà quotidiana che è estremamente complessa, variegata e, forse, non sufficientemente fatta oggetto di meditazione, e ciò anche in questa sede.
Colleghi, islam, buddismo, sette di vario tipo rappresentano diversi fenomeni di quell'universo che costituisce la religione, o meglio, il sentimento religioso. In questo contesto siamo davvero sicuri che il rimedio al male - e male vi è in alcune situazioni che si sono verificate in questi ultimi anni e che continuano a sussistere, ad esempio, in alcuni paesi dell'Europa orientale - non diventi poi peggiore del male medesimo?
Confesso che sono molto turbato dall'entusiasmo di alcuni settori dell'opinione pubblica nell'abbandonare, con voluto compiacimento, ogni riferimento alla tradizione cristiana in molti settori della vita civile del nostro paese, quasi che rinnegare - perché di questo si tratta, cari colleghi - la propria storia ed il senso di appartenenza ad una tradizione culturale, che, piaccia o meno, è inscindibilmente legata al cristianesimo o meglio alla sua espressione giudaico-cristiana, costituisca un segno di progresso o di modernità.
Immagino già, ad onor del vero (le ho già sentite anche in Commissione) le grida scandalizzate di coloro che tacciano questi sentimenti quasi fossero sinonimo di intolleranza, di oscurantismo, in sostanza di pericoloso integralismo confessionale. Vorrei citare un'affermazione che mi ha preoccupato, quando si è fatto riferimento alla paranoia della cultura del sospetto (non credo di essere paranoico perché porre certi problemi significa affrontarli sotto il profilo del bene comune): asserzione che mi ha estremamente preoccupato. Non si tratta né di oscurantismo né di pericoloso integralismo confessionale, se è vero che anche il Parlamento europeo ha recentemente affrontato e discusso, con intensa passione civile (basta leggersi la documentazione inerente al dibattito nello stesso), il tema dell'inserimento nella Costituzione europea di un preciso riferimento alla tradizione cristiana dell'Europa.
Pertanto, non credo vi sia qualcuno in quest'aula, tanto meno il sottoscritto ed i colleghi del gruppo di Forza Italia ovviamente, del quale faccio parte, che neghi la realtà visibile ogni giorno e sempre più in divenire di una società multietnica che debba prevedere in termini espliciti ad ogni livello - lo dico con forza perché ci credo - il diritto all'accoglienza, il rispetto della persona in quanto tale, l'idea di un uomo comune a laici e credenti che costituisce la base della civiltà occidentale (mi è piaciuta moltissimo quest'affermazione dell'onorevole Bondi che condivido e desidero citare in questa sede), ma anche il principio del rispetto delle tradizioni culturali e religiose di un paese.
Recentemente, il comune di Bologna ha approvato la carta della convivenza, un documento che fissa in alcuni principi determinati elementi di base per la convivenza fra laici, cattolici ed islamici presenti nel territorio comunale (chi vi parla l'ha sottoscritto volentieri, a dimostrazione che, da parte mia, non vi è alcuna intolleranza) e nel quale sono stati ribaditi, in termini espliciti, l'ancoraggio di quella comunità ad una tradizione e quel senso di appartenenza che l'ha qualificata nel corso dei secoli, la consapevolezza del quale ha permesso a quella comunità di Bologna di avviare un dialogo con altre religioni presenti nel territorio, con altre culture e con altre etnie.
Ritengo che il presupposto essenziale di una corretta convivenza debba essere la volontà di confrontarsi con l'altro, partendo però dal radicato convincimento delle proprie ragioni culturali (e ciò non significa essere arroganti, non volere il dialogo o essere integralisti, dobbiamo dirlo con estrema franchezza e chiarezza, colleghi della sinistra o del centrosinistra) che non possono essere svendute, in nome di un dialogo fine a se stesso che parifica ed omologa tutte le tradizioni culturali in nome di un generico umanitarismo o sincretismo fine a se stesso.


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Questa forma di dialogo non mi interessa, cari colleghi. Ritengo che abbiamo un certo diritto-dovere in questa sede, venendo meno anche ad un politically correct che permea un po' questa atmosfera perché se si affermano certe cose, si rischia di essere interpretati come passatisti, come reazionari, come persone che ovviamente mirano ad un ritorno della società ad epoche che non possono più rivivere. Anche l'accenno fatto dai non credenti ai documenti conciliari mi lascia molto perplesso.
Sarebbe molto interessante sviscerare in questa sede documenti della chiesa conciliare e dei vari episcopati. Non è questa la sede e credo che non sia nemmeno il caso di cimentarsi nella esegesi dei documenti pontifici. Valutiamo l'identità del nostro paese alla luce anche della nostra storia.
In questo senso, ritengo onestamente che il Parlamento e la maggioranza, starei per dire tutte le forze politiche, abbiano il dovere di riconoscere e tutelare ad ogni livello della società italiana in senso laico il valore culturale della nostra identità cristiana, nel senso che ho prima ricordato, ovvero, come senso di appartenenza ad una storia comune che ci qualifica come italiani. Ricordare a coloro che sono venuti nel nostro paese per cercare lavoro che l'Italia è tale perché debitrice alla nostra civiltà, la cristiana, degli aspetti più alti della sua cultura, non vuol dire obbligare a conversioni forzate chicchessia, bensì dare un senso ed una dignità, in quest'epoca di smarrimento, alla nostra storia ed al nostro impegno attuale.
Credo che, ad esempio, il riferimento alla scuola si imponga necessariamente, dal momento che questa ha il compito primario di educare le giovani generazioni. Ma come si possono educare le giovani generazioni quando in molte delle nostre istituzioni educative si privilegia un sincretismo che deliberatamente omette ogni riferimento alla nostra tradizione culturale e cristiana in nome del rispetto per altre fedi o religioni? Dobbiamo dircelo, onorevoli colleghi! Si rischia, nel dibattito che concerne questa legge ed in genere nelle discussioni riguardanti tematiche culturali, educative o religiose, di penalizzare volutamente o no - non lo so - quella che è la base della nostra identità. Insisto molto su questa identità, intesa sia in senso culturale, sia in senso religioso per chi ci crede; in ogni caso essa è alla base dell'identità del nostro paese e dell'Europa.
Voglio fare un ultimo riferimento: questo è un aspetto della legge che mi preoccupa, pur non trattandosi di una cattiva legge. Il relatore Bondi è stato chiaro su alcuni punti, ma ve ne sono altri, e sono molti, che devono essere migliorati. D'altra parte, si tratta del nostro ruolo di legislatori per cui non possiamo in quest'aula prendere o lasciare in nome dell'adesione o meno a certi principi. Ci siamo battuti in Commissione ed in aula verificheremo e ci confronteremo su questi presupposti.
Per quanto riguarda la scuola, io credo che per l'educazione delle giovani generazioni, sia importantissimo far comprendere a queste generazioni il rispetto dell'altro. Torno a insistere sul rispetto dell'altro, del diverso che presuppone il rispetto della propria storia e la conoscenza della propria identità. Quando vedo che vi sono realtà regionali, come l'Emilia-Romagna, la mia regione, che in nome del rispetto del diverso finanziano corsi di lingua e cultura islamica e negano il finanziamento ed il diritto allo studio alle scuole cattoliche, io, cari colleghi della sinistra, non credo più a questo obiettività e a questo giudizio.

PIETRO FONTANINI. Bravo, bravo!

FABIO GARAGNANI. Ritengo che invece si voglia deliberatamente interpretare questa legge in senso punitivo per chi non la pensa come voi o che si rifà ad una tradizione culturale che, piaccia o meno, si vuole espungere dal nostro paese. In questo senso io ritengo che le proposte che formuleremo anche in questa sede devono essere interpretate in senso migliorativo; proprio perché non abbiamo le certezze di qualcuno, riteniamo di doverlo fare.
Ora è francamente paradossale l'intolleranza di qualcuno e la sottovalutazione


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di fenomeni esistenti come l'aspetto integralista dell'Islam. L'islam è la seconda religione d'Italia: è vero! Ma come si può venire a dire che l'Islam o gli aderenti a questa religione non hanno diritto di parola nella vita pubblica? Chiunque sia cittadino ha diritto di parola; fino a quando non saranno cittadini non potranno avere diritto di parola. Questo riguarda qualsiasi confessione religiosa e qualunque cittadino.
Non confondiamo quindi due aspetti che sono profondamente diversi: la politica dell'accoglienza, la libertà di espressione religiosa riconosciuta per tutti, la libertà di educazione, con aspetti che non hanno nulla a che fare e che riguardano tematiche politiche, ad usum Delphini, ad uso di una parte politica e che rischiano proprio di destabilizzare dalle fondamenta l'impianto di una legge che si dice di condividere. Credo allora che la si voglia condividere per obiettivi politici ben precisi.
In questo senso, ritengo di respingere - e insisto su questo - la pretesa culturalmente arrogante di alcuni settori della sinistra o del centrosinistra di dire, anche in questa sede, ciò che è giusto e ciò che non è giusto, ciò che è
politically correct e ciò che non lo è, quasi vi siano i buoni e i cattivi da distinguere in modo netto. Confrontiamoci veramente sui vari articoli della legge, su alcune affermazioni in essa contenute che possono lasciare perplessi.
Se è vero, com'è stato detto, che lo Stato laico non può essere - ovviamente, poiché laico - confessionale, è altrettanto vero che uno Stato non può essere indifferente al proprio avvenire religioso e culturale, non può basarsi su un relativismo etico che lo rende indifferente o agnostico di fronte a tutti i fenomeni spirituali. Credo che, in questo contesto, si giustifichino anche alcune osservazioni che ritengo di dover fare su alcuni articoli della legge, osservazioni, ripeto, molto temperate dalla relazione del collega Bondi, il quale ha riaffermato alcuni punti fermi che per molti di noi sono essenziali per una serena valutazione di questo testo.
In primo luogo, quando nel vecchio testo - ma è una constatazione che, come è stato detto, percorre tutto l'impianto legislativo - si faceva riferimento alle credenze non religiose, non vorrei che implicitamente si volesse riaffermare una confessione agnostica - ce ne sono già tante -, si volessero riaffermare chissà quali diritti che sono già consacrati nella Costituzione e che in ogni momento privilegiano la vita di ogni cittadino. Le ripetute affermazioni, la ridondanza delle medesime, a mio modo di vedere, fa sorgere questo sospetto. Pertanto, vi è anche qui la necessità di eliminare, di attenuare certe affermazioni già presenti nel testo costituzionale o in altri testi, che sono implicite in ogni settore della nostra vita sociale.
Credo vi siano altri punti che meritano un'attenta riflessione. Innanzitutto, come ho già detto, l'articolo 12, che riguarda la scuola, afferma in modo estremamente chiaro che l'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado è impartito nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità senza distinzione di religione. Mi pare un'affermazione esattissima, che non necessita di alcuna correzione, accanto però ad un riferimento preciso a quella che è la tradizione culturale del nostro paese che, non a caso, la legge di riforma della scuola superiore - la legge delega che il Parlamento ha votato - ha perentoriamente ribadito in ben due passi, e che io ritengo opportuno inserire in questa sede, alla luce dell'importanza che ha l'educazione delle giovani generazioni. Dobbiamo educare le giovani generazioni certamente al rispetto reciproco, ma anche alla conoscenza della propria storia ed identità, a maturare questo senso di appartenenza ad una collettività, proprio nel momento in cui siamo sempre più integrati in Europa, poiché esso è l'unico senso di appartenenza che aiuta a maturare un franco e sincero dialogo con gli altri. Credo allora sia importante precisare questo punto.
Allo stesso modo, nel secondo comma, dobbiamo precisare che le attività integrative in materia religiosa possono e debbono


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essere svolte nel rispetto delle normative, sia nazionali che regionali, ma soprattutto nel rispetto del dialogo franco e sincero, proprio perché siamo in presenza di fenomeni di intolleranza che non arrivano dalla maggioranza cattolica nelle scuole, ma spesso arrivano da una minoranza che rischia di interpretare a senso unico una certa normativa, come rivendicazione di un proprio diritto che molto spesso penalizza quello della maggioranza. Dico questo sia in riferimento all'esposizione di simboli religiosi, sia in riferimento all'orario curricolare, sia in riferimento alla manifestazione del proprio pensiero durante lo svolgimento delle lezioni.
Accanto a ciò, vorrei segnalare soltanto la necessità di essere più guardinghi con riferimento all'articolo 9 del provvedimento che disciplina la libertà religiosa nei luoghi di lavoro. Anche tale affermazione è del tutto condivisibile, pleonastica, ma se non è corretta e riaffermata dovrebbe essere lasciata alla libera contrattazione. Rischia, anche con riferimento al lavoro domestico, di creare paradossalmente problemi dove non ce ne sono; rischia - direbbe un mio collega - di creare problemi in Italia che, in altri paesi dell'Islam, non esistono affatto (mi riferisco sia ai luoghi di lavoro sia al lavoro domestico). Non avverto la necessità di precisare ulteriormente ciò. Infatti, già il nostro paese vive un'esperienza di collaborazione nel lavoro domestico fra varie persone che non richiede assolutamente interventi legislativi. Rischiamo di essere, come minimo, ossessivamente burocratici nel prescrivere certi fenomeni.
Credo, inoltre, che una migliore precisazione del diritto di libertà nelle forze armate (forze di polizie e via dicendo) sia opportuna nell'interesse della collettività. Dobbiamo evitare che, per un malinteso senso di eguaglianza, si impedisca allo Stato di esercitare il suo ruolo fondamentale, ossia garantire e difendere i cittadini. Si tratta, dunque, di prescrizioni minuziose che ovviamente oggi posso essere utilizzate anche da minoranze interessate per boicottare, per ostacolare il funzionamento del nostro apparato di polizia, di pubblica sicurezza e di difesa. Dobbiamo evitare ciò. Da qui l'invito al relatore, a tutto il Parlamento, a rimeditare la formulazione di questo articolo che pure è significativo ma che va attentamente esaminato come anche i requisiti per il riconoscimento giuridico delle varie confessioni ed una serie di riferimenti che coinvolgono la responsabilità e l'intervento dei comuni. Stiamo attenti anche in questo caso. I comuni sono già oberati di oneri significativi, a volte anche impropri, in una situazione economica difficile. Se stabiliamo, per legge, il diritto a determinati interventi (basta soltanto accennare ai cimiteri) nei piccoli comuni o, per altri, il diritto di avere propri luoghi in cui celebrare culti religiosi, rischiamo di paralizzare l'attività di questi enti. Ciò non significa negare ciò a queste persone, ma tenere atto delle condizioni realisticamente possibili. Non ritengo che una legge debba fissare in assoluto principi senza curarsi della loro applicazione pratica, senza fotografare la realtà che abbiamo di fronte. Fare queste affermazioni, colleghi, significa essere razzisti? No, significa semplicemente porre alcuni problemi di convivenza che, se non vengono affrontati anche in questa sede, rischiano di fare esplodere quei fenomeni di razzismo e di xenofobia che, a parole, tutti diciamo di voler combattere e che vogliamo combattere. Si tratta di essere realisti, nella consapevolezza che questa politica del confronto e dell'accoglienza si deve misurare con ciò che possiamo fare, con ciò che lo Stato italiano, nella sua interezza (Stato, regioni, comuni e province), può attuare, in aiuto alle comunità e a coloro che vengono nel nostro paese per cercare lavoro, difendendo la nostra storia e la nostra tradizione.
Mi pare - l'ho detto precedentemente e lo ribadisco - che vi sia un eccesso di buona fede e di speranza nel futuro che non ci cala a sufficienza nella realtà quotidiana.
Credo anche che certi requisiti di sicurezza, di garanzia fissati nel provvedimento si impongano perché abbiamo a che fare con tradizioni religiose che ovviamente


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non hanno la nostra storia e che soprattutto non hanno maturato la necessaria distinzione tra Stato e religione (ormai ne accennano tutti e lo faccio anch'io). Non è l'Islam in quanto tale, ma il fatto che in tale cultura (così come in altre) non è stata definito una distinzione di ruoli - al riguardo, vi è una miriade di pubblicazioni - tra lo Stato e la religione. Il rapporto con la donna, il rapporto con il matrimonio, come è previsto nella legislazione italiana, la scuola, la cultura e l'insegnamento sono aspetti che devono essere attentamente osservati ed analizzati, nel rispetto degli altri, ma anche - me lo si consenta - della maggioranza del popolo italiano che non può vedere frustrate o disattese certe sue tradizioni, aspirazioni ed identità in nome di questo dialogo con tutto e con tutti che rischia di non affrontare i problemi di fondo.
In questo contesto, credo che non possiamo negare cosa abbia prodotto un certo estremismo religioso, quale utilizzo anomalo si faccia, nel nostro paese, delle moschee, luoghi religiosi strumentalizzati per fare opera di propaganda politica, e quale sia l'atteggiamento di molti enti locali, soprattutto in alcune regioni, i quali, poiché stiamo per approvare una legge, disinvoltamente prescindono dalla normativa in vigore o la disattendono (ad esempio, proprio in fatto di moschee, concesse gratuitamente in comodato o locate a prezzi irrisori a comunità islamiche), senza alcuna garanzia e senza vincoli di alcun genere, mentre la legislazione italiana fissa paletti precisi anche con riferimento alla religione cattolica, che pure, in quanto religione tradizionale degli italiani, beneficia di una legislazione concordataria che, di fatto definisce vari aspetti della convivenza tra Stato e Chiesa. Queste cose, cari colleghi dobbiamo dircele! Siamo d'accordo che dobbiamo favorire un Islam europeo, come è stato detto; però, dobbiamo anche misurarci con la realtà.
Non parlo, poi, della realtà delle confessioni cristiane tradizionalmente minoritarie o dell'ebraismo. Mi pare che la legge definisca, per loro, una situazione ampiamente maturata e già da tempo accettata dalla comunità italiana. Non c'è settore della vita civile che veda discriminazioni sotto questo profilo. Ritorna, allora, la domanda che ho posto all'inizio: cosa si nasconde dietro quest'enfasi nel volere una legge che ribadisca perentoriamente certi principi? Il desiderio sincero di riaffermare i medesimi o quello di punire, di penalizzare e di costringere in un ambito più ristretto la confessione largamente maggioritaria nel popolo italiano?
Questi sono alcuni dei problemi che ho voluto porre senza avere, al riguardo, certezze assolute e, quindi, in termini dubitativi: avendo una consapevolezza ed una convinzione profonda, ma disposto a confrontarmi.
Colleghi, dobbiamo abituarci ad affrontare anche temi scomodi che si pongono in rotta di collisione con alcune nostre visioni ideali della società, delle religioni e della convivenza reciproca. In caso contrario, saremmo legislatori teorici, ma pessimi governanti! Credo che dobbiamo conciliare i diversi punti di vista, che possono apparire distanti, ma che, in realtà, possono contribuire, tutti, a configurare una prospettiva migliore per il nostro paese.

PRESIDENTE. Onorevole Garagnani...

FABIO GARAGNANI. Una seria percezione della realtà ed un'analisi della storia del nostro paese possono aiutarci a contemperare la prospettiva ideale - che deve essere sottesa ad ogni posizione politica e ad ogni testo di legge - con la consapevolezza che la realtà, a volte, presenta sfaccettature diverse, drammaticamente diverse, che richiedono da tutti noi uno sforzo ulteriore di comprensione.
Porgendovi queste considerazioni, ringrazio ancora il relatore per le sue ottime riflessioni e confermo che, come gruppo di Forza Italia, tenderemo, con spirito costruttivo, a migliorare il provvedimento e non a penalizzarlo, proprio alla luce delle preoccupazioni che spero di avervi esposto con chiarezza. Grazie (Applausi del deputato Bondi).


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PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Garagnani.
È iscritta a parlare l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, in una materia come la libertà religiosa una legge non può fare altro che attuare i principi costituzionali, imperniati sugli articoli 8, 19 e 20 della Costituzione, nonché quanto è stato già sancito in accordi e convenzioni internazionali come la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
In tali testi viene sancito, nella sua più completa e più piena accezione, il diritto alla libertà religiosa. La formulazione dei documenti che ho menzionato è tale da evitare, anche sul piano linguistico, formulazioni ambigue o limitanti, in una materia nella quale, più che in altre, vale il principio secondo cui ciò che non è vietato è pienamente lecito.
A questo proposito va rilevato che l'unica limitazione alla libertà di professare una fede religiosa esplicitamente affermata dalla nostra Costituzione riguarda gli atti contrari al buon costume (l'articolo 19, appunto). Altre limitazioni non sono date da specifiche normative riguardanti la religione, ma semmai dai principi generali dell'ordinamento validi per tutti gli ambiti della vita collettiva. Nessuna legge dunque potrebbe restringere questa formulazione ampia e inequivocabile della libertà religiosa, pena la sua incostituzionalità.
Esistono però, come sopra accennato, dei motivi che spingono nella direzione della semplificazione e concretizzazione dei principi costituzionali. Sono argomenti già richiamati in quest'Assemblea (anche dalla relazione del relatore) che sono da ricondurre, dal mio punto di vista, a tre origini di ragioni.
In primo luogo, la presenza del Concordato nella Costituzione - l'articolo 7 - e la conseguente previsione nell'articolo 8 di intese con le confessioni diverse dalla cattolica: tale doppio regime ha portato, nella sua successiva attuazione, a rapporti diversificati tra Stato e singole confessioni, alcune dotate, altre no, di intesa. Ciò stride obiettivamente nei suoi effetti pratici con l'uguaglianza dei diritti davanti alla legge per tutte le confessioni, come dice l'articolo 8 della Costituzione. La legge sulla libertà religiosa potrebbe invece costituire la base giuridica per tutte le successive intese con le confessioni che non hanno ancora concluso tali accordi con lo Stato.
Seconda questione: il panorama sempre più variegato dei culti presenti in Italia come conseguenza dei processi di globalizzazione dei flussi immigratori pone nuovi problemi e sfida le istituzioni democratiche ad assicurare anche ai nuovi residenti, che divengano o no cittadini italiani, pari libertà religiosa rispetto a quanto garantito agli aderenti alle confessioni storicamente già presenti nel nostro paese. Non si tratta di una concessione, ma di un preciso obbligo costituzionale. La terza questione che io credo vada considerata, al pari delle due precedenti, riguarda la nuova percezione di sé dei soggetti in epoca postmoderna.
Rispetto ad una tradizionale concezione dogmatica e statica dell'identità individuale e collettiva - in parte, alcuni richiami che sono stati fatti, purtroppo, poco fa penso possano essere collocati all'interno di questa visione statica e dogmatica - oggi invece si assiste ad una diffusa percezione di tale concetto come ricerca e sperimentazione di sé, in una accezione fluida e mutevole delle appartenenze. Lo Stato democratico non ha il compito di formulare giudizi su tale realtà, né quello di difendere una identità nazionale o europea permanente o immutabile. Questi sono obiettivi da Stato etico, di mussoliniana memoria; lo Stato democratico deve limitarsi a difendere la possibilità di chiunque di esprimersi nelle forme più libere, comprese quelle del cambiamento di religione o della mancanza di religione.
Una legge come quella in discussione, dunque, può essere l'occasione non per regolamentare ma per riconoscere e tutelare anche le forme di nomadismo religioso o lo sviluppo di nuovi culti nella


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prospettiva della costruzione di una società pluralista e tollerante, che è anche il migliore antidoto ad ogni fondamentalismo.
Gli strumenti da adottare per raggiungere questi obiettivi a noi paiono la piena attuazione di quanto previsto in materia dal dettato costituzionale, la delineazione di un quadro di riferimento coerente per le future intese con i culti non cattolici, l'abolizione della legge fascista dei culti ammessi per quanto concerne la sua residua vigenza, l'eliminazione di qualsiasi residuale potere discrezionale di organi amministrativi in questa delicata materia.
La nostra posizione si fonda dunque sul riconoscimento dei due versanti in cui si articola la libertà religiosa: quello positivo, basato sulle norme che garantiscano la libertà, quella di azione, di espressione, di propaganda di ogni culto presente in Italia, e quello negativo, fondato sulla difesa, per ogni culto o anche per chi si professa ateo o agnostico, della libertà da ingerenze o sopraffazioni da parte di aderenti ad altri culti oppure da parte di organi amministrativi o politici. Questa si definisce libertà di coscienza, cioè tutela del soggetto da violazioni della propria vita interiore.
Questa nostra impostazione - presente nel complesso anche nella formulazione originaria del testo presentato dal Governo, sul quale abbiamo espresso un giudizio positivo - ci sembra quella più idonea a delineare il discrimine tra gli aspetti del provvedimento che corrispondono ad effettivi avanzamenti nelle garanzie della libertà religiosa e le sue possibili modificazioni che, implicitamente o esplicitamente, possano prefigurare ingerenze nella vita dei singoli o delle confessioni religiose.
Ribadisco, a questo proposito, che non si dà libertà religiosa se non è garantita, al contempo, anche libertà di chi non si riconosce in alcun culto. In tal senso, non abbiamo apprezzato, ed abbiamo criticato le modifiche introdotte al testo originario proprio sull'abolizione del termine «credenze», che è il termine che invece ritroviamo, non a caso, all'interno della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, laddove si recita: «Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, come libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente (...)» (e successivamente continua sulla parte relativa alla scuola e alla salute). Questi stessi concetti sono ripresi dall'articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, e poi vi è il documento finale della Conferenza consultiva internazionale sull'educazione scolastica in relazione con la libertà di religione e credenza, tolleranza e non discriminazione, organizzata dall'ONU a Madrid nel novembre 2002, nel quale si precisa che: «(...) con l'intesa che la libertà di religione o credenza include convinzioni teistiche, non teistiche ed atee, così come il diritto di non professare alcun credo o religione (...)». È su questa base, dunque, che credo si debba lavorare sul testo che si accinge ad essere discusso in quest'aula.
La nuova legge, in effetti, ha un curioso e ambivalente destino: garantirà quanto espresso dal suo titolo, vale a dire la libertà religiosa, oppure, nella pretesa di regolamentare ciò che, invece, va solo riconosciuto e tutelato, si convertirà in una forma oppressiva e burocratica di discriminazione delle minoranze? Nel caso del disegno di legge oggi in discussione, tale rischio è reale. Infatti, sono state già introdotte modifiche al testo originario, ma numerose altre proposte emendative sono state presentate in Commissione, ed immagino che saranno ripresentate anche in aula, già in parte anticipate dagli interventi che anche questa mattina abbiamo ascoltato.
Si tratta di concetti che ha giust'appunto ripreso l'onorevole Garagnani in modo molto diffuso e articolato; al riguardo, ho in mente una delle sue proposte emendative, la quale si richiamava alla necessità che la libertà delle confessioni religiose fosse limitata al rispetto della storia, della tradizione e dell'identità della comunità nazionale che si è manifestata, nel corso dei secoli, secondo la


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tradizione giudeo-cristiana. Si tratta di una tesi che, ancora una volta, egli ha voluto sottolineare ed articolare, con motivazioni assolutamente rispettabili, ma che ritengo non sia in grado di garantire effettivamente gli obiettivi dichiarati, anche nella relazione introduttiva al testo, di questo disegno di legge.
Devo dire che, anche rispetto a questa tesi che è stata sollevata, dal momento che ci troviamo in una sede legislativa, prima ancora che considerazioni già svolte sul piano teorico più complessivo, sul piano culturale e su quello dei princìpi e dei diritti, sarebbe il caso di porsi domande forse più pragmatiche. Ad esempio, a chi si affiderebbe il compito di definire i casi in cui tale rispetto sarebbe violato? All'autorità giudiziaria o a quella di polizia? Su una denuncia di parte, vale a dire dei fedeli delle confessioni cristiane o di quella israelita, oppure d'ufficio, da parte di qualche sezione specializzata della magistratura? Quali sarebbero le sanzioni da comminare agli eventuali trasgressori di un divieto tanto vago quanto insidiosamente ambiguo?
Io penso che l'unico effetto certo sarebbe la pesante manomissione della libertà di espressione, in genere, e non solo, quindi, di coscienza e di religione.
Abbiamo ascoltato, però, argomentazioni meno nobili e anche che un po' più discutibili persino dal punto di vista della legittimità di poter fare determinate affermazioni; mi riferisco, in particolare, a determinati dibattiti svoltisi in Commissione.
Desidero, inoltre, soffermarmi su alcune valutazioni effettuate dai colleghi della Lega nord Padania che, forse ignari del dettato costituzionale, propongono che, essendo le religioni diverse, esse siano regolate differentemente in rapporto alla specificità di ognuna di esse. A queste, e ad altre consimili proposte, rispondiamo facendo riferimento all'articolo 8 della Costituzione laddove si stabilisce che tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge. È scritto proprio così: ugualmente libere! Ricordiamo anche l'articolo 20 della Costituzione secondo cui il carattere ecclesiastico di un'associazione o istituzione non può essere causa di speciali limitazioni legislative.
A chi, tra i deputati della maggioranza, ha proposto emendamenti di questo tenore, noi ribadiamo che lo Stato democratico non regola alcuna confessione religiosa ma garantisce a tutte la libertà. Difatti, la nostra Costituzione regola soltanto il rapporto di ciascuna di esse con lo Stato; e ciò avviene su basi di uguaglianza. Va, dunque, superato il concetto di libertà religiosa come mera espressione di tolleranza verso le minoranze dal momento che siamo in presenza piuttosto di un diritto fondamentale e universale: il diritto individuale alla libertà e all'identità. Noi, quindi, dobbiamo garantire ad ognuno di poter essere se stesso; pertanto, non è lecito, non è possibile, non è legittimo, da tutti i punti di vista, affermare un modello e chiedere a tutti di riferirsi ad esso, ma, il contrario, tanto più che i diritti alla religione e i diritti di religione - così intesi - rilevano la stessa natura di quei diritti sociali che richiedono i doveri degli Stati.
È quasi sconfortante, dunque, dover aggiungere che eventuali ed ulteriori - io spero impossibili - modificazioni, del tenore che prima citavo, di questo provvedimento avrebbero come sicuro effetto solo quello di alimentare nel nostro paese la triste logica dello scontro di civiltà, oggi così drammaticamente attuale.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 11,07)

GRAZIELLA MASCIA. La collega Montecchi ha fatto nel corso del suo intervento una serie di richiami non soltanto alle esperienze di altri paesi europei che vanno in tutt'altra direzione e che costituiscono un punto di riferimento a cui guardare in maniera positiva, ma ha fatto anche un richiamo al ministro Pisanu che, nella veste di ministro dell'interno, guarda alla necessità di affrontare il problema del terrorismo. Noi, il ministro Pisanu, lo abbiamo contestato così come contestiamo


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tante cose che lui ha proposto; tuttavia, da tutti sono venuti plausi quando lo stesso ministro ha espresso la necessità di predisporre una piattaforma programmatica di Governo che nasca dalla consapevolezza che la sicurezza e l'antiterrorismo non possono essere affrontati soltanto in chiave repressiva ma è necessario che queste problematiche abbiano anche una chiave culturale e politica. Pertanto, sulla base di ciò, è necessario trarre tutte le opportune conseguenze. Il provvedimento in esame costituisce proprio uno dei modi per instaurare un rapporto positivo con quello che il ministro Pisanu ha definito come Islam moderato.
È evidente, che qualsiasi ulteriore peggioramento del testo in discussione, che andasse nella direzione proposta da alcuni colleghi della Lega nord Padania, darebbe vita ad un provvedimento assolutamente incostituzionale dato che lo stesso sarebbe in contrasto con quanto sancito dall'articolo 8 della Costituzione e in violazione palese di tutte le convenzioni internazionali che trattano il tema della libertà religiosa.
Sottolineo che questi principi sono esplicitamente e giustamente richiamati proprio nell'introduzione al testo di legge.
Per quanto riguarda gli emendamenti che proporremo in Assemblea, abbiamo inteso sottolineare tre questioni fondamentali. La prima è quella di garantire la pari dignità e libertà di tutti i culti ed anche il diritto di chi non crede a non essere molestato dalle altrui ingerenze, con l'ovvio corollario che lo Stato democratico non può, nemmeno a livello formale, fare suoi i principi o i simboli di una confessione particolare, nemmeno di quella maggioritaria.
La seconda questione è quella di assicurare, in questo quadro, che la scuola, già violata nella sua laicità dall'ora confessionale cattolica, sia pure di apertura alle fedi di tutti anche sul piano culturale e didattico; bisogna garantire che nessuno si senta estraneo in una scuola pubblica.
Il terzo obiettivo è quello di garantire, in armonia con l'articolo 20 della Costituzione, che anche sul piano fiscale si assicuri a tutti i culti un eguale regime; le deduzioni fiscali, di cui proponiamo l'allargamento a tutti i culti, dovrebbero comunque, nella prospettiva da noi sostenuta, divenire in breve un'opportunità anche per le associazioni filosofiche non confessionali o altre associazioni aventi finalità analoghe e paragonabili a quelle religiose.
In questi tristi giorni in cui il paese più forte dell'Occidente crede di poter determinare le sorti del mondo usando la sua immensa forza militare e affidandosi a parole d'ordine caratterizzate dalla più terribile retorica integralista e conduce le sue guerre preventive ed infinite, riteniamo che anche un provvedimento come questo in discussione possa costituire una forma di resistenza alla logica bellicista e intollerante che permea il capitalismo globalizzato. Esso può, infatti, contribuire a creare una società più tollerante e, dunque, più sicura, più pacifica, più rispondente al disegno costituzionale.
Naturalmente, auspichiamo che vada in questo senso il lavoro dell'Assemblea, teso ad un ulteriore miglioramento del testo che ci accingiamo ad esaminare, superando le modifiche che sono state introdotte nei lavori in Commissione e cercando, con un confronto sereno, pacato ma anche molto esplicito - come già fin qui è stato fatto - di produrre un testo molto atteso dalla popolazione italiana e da coloro che abitano il nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

ANDREA GIBELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, mi rendo conto che sia un po' irrituale intervenire sull'ordine dei lavori nel corso della discussione sulle linee generali, ma avevo fatto presente al Presidente di turno Fiori una questione. Mi trovo in aula dalle ore 9 e vorrei che rimanesse agli atti un problema importante, dal momento che


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dovrò intervenire nella discussione sulle linee generali e, contestualmente, è stata convocata la Giunta per il regolamento. Mi auguro che il Presidente della Camera tenga conto di questo aspetto. Naturalmente, non voglio intralciare i lavori di altri gruppi e dei colleghi che si trovano legittimamente all'interno della Giunta per il regolamento, ma mi auguro che in quella sede non vengano tratte conclusioni e che si affrontino solo provvedimenti di natura interlocutoria.
Signor Presidente, ritengo che la discussione sulle linee generali - ci tengo che ciò rimanga agli atti - non dovrebbe essere mai meccanica. La mia presenza in aula è dovuta proprio al fatto che ritengo utile ascoltare anche gli interventi dei colleghi. Infatti, avrei potuto assentarmi ed essere presente in aula solo per gli 11 minuti che mi sono stati assegnati per il mio intervento nella discussione sulle linee generali; tuttavia, non l'ho ritenuto rispettoso nei confronti dei colleghi, soprattutto trattandosi di questa materia. Anche se parliamo di libertà religiosa, poiché non ho il dono della divisione, non posso partecipare contemporaneamente alle due discussioni.
Vorrei, quindi, che rimanesse agli atti questa condizione, anche perché lei ed il Presidente di turno che l'ha preceduta siete testimoni del fatto che mi trovo in aula, insieme ai colleghi, dalle ore 9 e mi risulta difficile partecipare contemporaneamente all'esame di entrambi i provvedimenti.
Quindi, non vorrei che tale condizione penalizzasse un mio contributo nell'altra sede. Ritengo che la sensibilità del Presidente Casini faccia considerare la riunione, non per me ma per il rispetto di questo lavoro, una discussione di carattere interlocutorio che mi consentirà di recuperare in altri momenti secondo i programmi che riterrà più opportuni.
Mi rendo conto che ciò è irrituale, ma sono in questa sede a lavorare, nel senso pieno del termine. La mia assenza in Giunta non è dovuta ad impegni extraparlamentari o ad altro: ci tenevo che rimanesse agli atti. Confido nella sensibilità che ha sempre dimostrato.

PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, il Presidente della Camera è stato informato del fatto che lei sia in questa sede a seguire un provvedimento importante: credo non vi sia dubbio alcuno, tanto più ora che le sue dichiarazioni sono agli atti. Lei sa che, spesso, i nostri lavori sono complicati. Combinare gli orari di discussioni sulle linee generali con quelli delle sedute delle Commissioni e delle Giunte senza che si crei mai una sovrapposizione non sempre è un'impresa facilissima. Tuttavia, prendo atto delle sue dichiarazioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, questo disegno di legge ci vede assolutamente contrari, a cominciare dal suo impianto relativista, illuminista, che porta inevitabilmente all'indifferentismo religioso, che porta avanti il principio molto caro ai massoni che tutte le religioni sono uguali e, di conseguenza, nessuna è quella vera, cancellando tutte le profonde differenze che vi sono tra di esse. Tale principio, chiaramente giacobino, tende inevitabilmente a far perdere la profonda matrice religiosa che ci lega strettamente alla nostra cultura, alla nostra storia, alla nostra tradizione.
Tutto ciò cancellerà per sempre quei principi identitari che ci legano al nostro passato, servirà a tagliare per sempre quel cordone ombelicale che ci lega ai simboli ed ai valori che per millenni sono stati parte integrante della nostra civiltà. Col tempo, inesorabilmente, non avremo più una religione di riferimento. Arriveremo ad avere uomini senza un'identità propria, senza valori da difendere e, dunque, deboli, indifesi, in grado di essere giostrati e manipolati dai grandi poteri. Avrà valore solo la televisione, la pubblicità, vinceranno le logiche della globalizzazione sfrenata.
Solo per tale motivo il disegno di legge in esame dovrebbe essere immediatamente


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fermato. Purtroppo, i danni che produce non si limitano a questi. Il provvedimento andrà a riconoscere sette, pseudoreligioni, credenze varie, satanisti, clonatori. In particolar modo, darà diritti a tutti gli islamici, anche quelli fondamentalisti, presenti nel nostro territorio.
Cambieranno, poi, usi, consuetudini, modi di vivere che da sempre regolano la vita e gli equilibri delle nostre comunità. Nelle mense di ospedali, carceri e caserme dovrà essere garantito l'adempimento delle prescrizioni religiose in materia alimentare. Dunque, nei suddetti luoghi dovremo prevedere regimi alimentari conformi ai dettami religiosi. Nel periodo del ramadan, ad esempio, le mense dovranno aprire alle 4 di mattina e, poi, riaprire la notte perché durante il giorno non si può mangiare. Inoltre, gli islamici mangiano la carne secondo la macellazione tradizionale. Si tratta di cose incompatibili ed inconciliabili con i nostri usi e costumi.
Anche nei contratti collettivi di lavoro dovremo garantire i doveri essenziali di culto. Dunque, quando un islamico sarà assunto da un nostro imprenditore chiederà di pregare cinque volte al giorno e l'imprenditore sarà costretto a concedergli il momento di preghiera o, magari, di astenersi dal lavoro il venerdì che, per l'islamico, è giorno di preghiera.
I ministri di culto o le guide spirituali potranno sposare liberamente con matrimoni religiosi, che hanno anche immediato valore civile, gli appartenenti alle loro sette.
L'insegnamento nelle scuole, se non passeranno i nostri emendamenti di principio, dovrà essere impartito nel rispetto della fede religiosa di ogni singolo alunno. Dunque, innanzitutto i crocifissi, che vanno a ledere la sensibilità degli alunni musulmani, dovranno essere tolti. Non potremo più fare, ad esempio, i presepi nelle nostre scuole, così come non si potranno più fare i canti di Natale (come già purtroppo si sta verificando in molte scuole nel nostro paese, perché questa è la tendenza che si sta delineando). Ma non solo: quando gli insegnanti delle scuole italiane dovranno insegnare parti importanti della storia (pensiamo alle crociate, pensiamo a quando dovranno illustrare la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, quando dovranno spiegare il Canto dell'inferno, nel quale Dante mette appunto all'inferno Maometto), lo dovranno fare senza ledere la sensibilità dell'alunno e senza discriminarlo dal punto di vista religioso, quindi in maniera asettica. L'insegnamento della storia non rappresenterà più i principi e l'identità propria della nostra gente.
I nostri sindaci saranno poi costretti a prevedere aree per costruire luoghi di culto, come le moschee, così come saranno costretti, con i soldi dei contribuenti italiani, a finanziare la costruzione di tali moschee nel nostro paese. Si dovranno prevedere cimiteri appositi e dunque cambieremo veramente
in toto usi e costumi, ma non solo: trasformeremo i nostri paesi anche nell'edilizia propria e quindi nel concetto di vivere la vita nei nostri paesi, che da sempre ha regolato la vita comune nelle nostre comunità. Addirittura imam, bonzi, shamani, santoni vari, avranno diritto di accedere al nostro sistema previdenziale: daremo la pensione a queste persone!
Credo che già solo questo, ma non solo purtroppo, dovrebbe veramente far riflettere un po' tutti e far sospendere l'intenzione di andare avanti nell'esame di questo provvedimento, anche se è chiaro che tutta la sinistra - purtroppo alleata, in questo caso, con molti colleghi della Casa delle libertà - ha deciso di andare avanti con questo disegno di legge che distruggerà l'identità della nostra gente.
Ma come saranno riconosciute queste religioni? Qual è il principio, ipocrita evidentemente, presente all'interno di questo disegno di legge, che garantirà, una volta riconosciute tutte queste religioni, tutti questi diritti che prima ho menzionato? Queste confessioni religiose dovranno presentare degli statuti e questi dovranno essere conformi ai dettati costituzionali e dopodiché potranno essere riconosciute. È chiaro che nessuna associazione islamica potrà, ad esempio, inserire negli statuti i propri principi religiosi,


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perché questi sono chiaramente in contrasto con i nostri dettami costituzionali. E dunque dovranno produrre degli statuti che sono palesemente falsi, di facciata, che però saranno riconosciuti! È questa la cosa grave! Facciamo alcuni esempi, che sono importanti: per esempio, questo disegno di legge prevede che venga garantito il diritto di mutare credenza religiosa (articolo 2) oppure il diritto di recedere da essa (articolo 6). Noi sappiamo che per l'islam l'apostasia non è possibile; addirittura viene punita con la morte, in alcuni paesi islamici.
Dunque, chi può credere davvero che l'islamico veramente credente e ortodosso rispetti i nostri dettami costituzionali? Leggiamo alcuni versetti e sure del Corano: gli uomini sono superiori alle donne perché Allah diede loro il predominio sopra di esse; i mariti che abbiano a soffrire la loro disobbedienza possono castigarle e abbandonarle. Ed ancora, leggiamo altre sure: vi è imposta la guerra anche se ciò possa spiacervi; uccidete gli idolatri dovunque li troviate; catturateli, assediateli, fateli cadere nelle imboscate; ammazzateli. E poi ancora altre sure recitano: sia che voi andiate incontro alla morte, sia che vi ammazzino, verso Dio sarà certamente il vostro ritorno; non tentennate, non cedete, non invocate pace, mentre siete i più forti.
Questi sono i dettami del Corano e dunque chiaramente un islamico che crede nel Corano è in netta contrapposizione con i nostri dettami costituzionali; noi però li riconosceremo lo stesso! L'islam è una religione pericolosa: lo si evince dai versetti e dalle sure che ho appena letto, così come lo si evince dalle cronache sui giornali, che vedono terroristi islamici presenti nel nostro paese arrestati quasi quotidianamente, ma lo si evince anche dalle dichiarazioni del ministro Frattini, il quale dice che l'Italia è un luogo di reclutamento dei mujaheddin e dunque dei terroristi fondamentalisti.
Sappiamo che nelle nostre moschee non si va solo a pregare, ma si fa formazione al terrorismo, reclutamento al terrorismo. Queste sono cose gravi, in quanto si attribuiscono diritti a chi ha dimostrato per primo di non rispettare le nostre leggi.
Per fortuna non siamo soli in questa battaglia. C'è tanta gente nel nostro paese che è contraria a questa legge, che nessuno ci chiede. Anche molti vescovi e molti sacerdoti della Chiesa cattolica si sono detti contrari a questa legge. Ricordiamo quanto affermato dal cardinale Biffi riguardo agli islamici, quando invitava i politici a non farli entrare nel nostro paese. Il cardinale Biffi disse testualmente che i musulmani sono troppo diversi da noi, mangiano in modo diverso, hanno un diritto incompatibile con il nostro ma, soprattutto, una visione integralista della vita pubblica. I cristiani devono piantarla di dire che bisogna andare d'accordo con tutte le idee, così è per chi non ha nessuna idea. Ciò affermava il cardinale Biffi.
Visto che sono stati citati alcuni documenti del Concilio Vaticano II è giusto anche precisare la posizione che, da sempre, la Chiesa ha tenuto nei confronti delle altre religioni. I Salmi parlano chiaro:
omnes dii gentium daemonia (tutti gli dei delle genti sono demoni: è il Salmo 95, versetto 5). Nell'enciclica Quanta cura - un documento emanato l'8 dicembre 1864 ex cathedra, dunque infallibile - Pio IX affermava che è empio ed assurdo il principio secondo il quale il progresso civile dello Stato esige che la società umana sia governata senza nessun riguardo della religione o, almeno, senza far nessuna differenza tra la vera e le false religioni.
Nell'enciclica
Mirari vos, invece, Gregorio XVI aveva condannato l'indifferentismo religioso e definito delirio la libertà di coscienza.
Pio XI, nell'enciclica
Mortalium animos del 1928, a proposito degli incontri e dei convegni interreligiosi, si pronunciava con un giudizio estremamente tranchant, affermando che «i cattolici non possono in nessuna maniera appoggiare tentativi come questi, i quali suppongono essere tutte le religioni più o meno buone e lodevoli. Chi, dunque, tien mano a codesti tentativi ed ha di queste idee con ciò


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stesso, per conseguenza manifesta, si allontana dalla religione rivelata da Dio».
Lo stesso Giovanni Paolo II, nel messaggio per la ottantesima Giornata mondiale del rifugiato, il 27 luglio del 2001, ha affermato che «il dialogo interreligioso, come è scritto nella lettera apostolica Novo millennio ineunte, non potrà essere fondato sull'indifferentismo religioso, il dialogo non deve nascondere ma esaltare il dono della fede».
Giovanni Paolo II, in una lettera memorabile al cardinal Antonio Mario Javierre Ortas, in occasione del milleduecentesimo anniversario dell'incoronazione imperiale di Carlo Magno, il 16 dicembre 2000, affermava che l'opera di Carlo Magno è la grandiosa sintesi tra la cultura dell'antichità classica prevalentemente romana e le culture dei popoli germanici e celtici, sintesi operata sulla base del Vangelo di Gesù Cristo, cioè ciò che caratterizza il poderoso contributo offerto da Carlo Magno al formarsi del continente. Infatti, l'Europa, che non costituiva un'unità definita dal punto di vista geografico, soltanto attraverso l'accettazione della fede cristiana divenne un continente che, lungo i secoli, riuscì a diffondere quei suoi valori in quasi tutte le altre parti della terra.

PRESIDENTE. Onorevole Bricolo, la invito a concludere.

FEDERICO BRICOLO. Al tempo stesso - e concludo, Presidente -, non si può non rilevare come tutte le ideologie, che hanno causato fiumi di lacrime e di sangue nel corso del XX secolo, siano uscite da un'Europa che aveva voluto dimenticare le sue fondamenta cristiane. E con questa legge stiamo facendo proprio questo, in quanto stiamo dimenticando la nostra identità, le nostre radici che ci collegano con il passato.
Dunque - ricordando che abbiamo contestato fortemente questo provvedimento sin dall'esame in Commissione -, presenteremo diversi emendamenti di merito al fine di stravolgere questa legge che non ci piace.
La Lega nord, quando bisogna difendere l'identità e le tradizioni della nostra gente, non è disposta a nessun compromesso (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la libertà religiosa è una libertà fondamentale. Direi che non esiste libertà nel senso pieno del termine se non esiste libertà religiosa. E credo che ciò si sia avvertito e sia maturato nell'evoluzione della tradizione cristiana quando si è messa in evidenza la frase dell'apostolo Paolo: la verità vi farà liberi. Dunque, ritengo che i cristiani non abbiano bisogno di particolari sostegni o di particolari privilegi, in quanto credo che essi possano tranquillamente essere contenti della loro fede e della loro coscienza.
Ma, se questo è vero per i cristiani, direi che ci sono importanti aspetti del pensiero laico che non possono essere esposti come ha appena fatto l'onorevole Bricolo. Credo si debba ancora ricordare, con compiacimento, quanto affermava Voltaire: io non ho la tua opinione; io non credo in quello in cui tu credi, ma sono pronto a morire per difendere la tua libertà di credere. Credo sia ancora uno dei principi della civiltà moderna e credo che vada ricordato a questo proposito.
Quanto all'onorevole Bricolo, non voglio più citarlo, non voglio farne bersaglio del mio discorso. Però, vorrei dargli un consiglio. Onorevole Bricolo, se fosse stato per Pio IX, che lei ha abbondantemente citato, forse, oggi non sarebbe qui. Perché non sarebbe qui? Perché avremmo ancora il potere temporale dei papi. Quindi, lo inviterei a qualche riferimento più moderno e più confacente.

FEDERICO BRICOLO. Starei molto meglio! Quando i Papi avevano il potere temporale in Veneto c'era la repubblica serenissima.

VALDO SPINI. Probabilmente non potrebbe essere in quest'aula, a meno che


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non avesse vestito una veste talare, cosa che non so se lei fosse disponibile a fare.
Venendo al nostro tema, vorrei dire che oggi stiamo discutendo di alcuni progetti di legge: per esempio, quello che mi onoro di aver presentato (la proposta di legge n. 1576) con altri 40 deputati dell'Ulivo, tra cui l'onorevole Maccanico, che è qui presente e parlerà dopo di me, e quello del Governo (il disegno di legge n. 2531). Forse, non è incongruo ricordare le firme del disegno di legge del Governo, contro cui molti si sono scagliati qui, anche all'interno di vari partiti della maggioranza. Il disegno di legge è presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi, di concerto con il ministro dell'interno Scajola, con il ministro per le pari opportunità Prestigiacomo, con il ministro della difesa Martino, con il ministro della giustizia Castelli, con il ministro dell'università, dell'istruzione e della ricerca Moratti, con il ministro della salute Sirchia, con il ministro del lavoro Maroni, con il ministro per le politiche comunitarie Buttiglione e con il ministro dell'economia e delle finanze Tremonti. Apprendo ora dalle parole di alcuni esponenti della maggioranza, spero minoritari, che tutte queste illustri personalità, con i loro gabinetti, con i loro uffici studi, con i loro uffici legislativi, all'improvviso ci starebbero proponendo una legge che mette in causa l'identità del nostro paese o, addirittura, la capacità di convivenza civile e che ne minaccia l'avvenire.
Devo dire, francamente, che ciò non depone molto a favore della situazione della maggioranza, perché le affermazioni che abbiamo sentito qui non sono di poco conto. Sono affermazioni di radicale contestazione nei confronti di un disegno di legge che porta le firme di ministri appartenenti a tutti i partiti della maggioranza. Quindi, prima di dare a tutti questi illustri signori, in qualche modo, una patente di avventurismo per questa proposta, forse è bene studiarla, è bene pensarci un attimo, è bene dedicarle una considerazione più attenta.
Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, qui si tratta di applicare la nostra Costituzione, che è frutto anche di una stratificazione storica nel rapporto tra lo Stato e le chiese. Direi che gli articoli fondamentali sono il 7, l'8, il 19 e il 20.
L'articolo 7 si riferisce alla Chiesa cattolica che, forse, è un po' la prima stratificazione di questa disciplina. I rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica, come è noto, sono regolati addirittura da un trattato internazionale: i Patti lateranensi, che sono convenuti con lo Stato Città del Vaticano e, quindi, non sono modificabili unilateralmente, non sono sottoponibili a referendum, hanno una particolare collocazione. Naturalmente, questo avviene anche dopo che, nel 1984, il Concordato è stato innovato, specialmente - vorrei citare soltanto un aspetto - eliminando la dizione della religione cattolica come religione ufficiale dello Stato. Tuttavia, quelli che cercano di additare, in questo dibattito, una specie di pericolo che correrebbe la Chiesa cattolica, quando i rapporti con essa sono addirittura regolati da un trattato internazionale, francamente mi sembra che usino argomenti estremamente deboli e estremamente fragili.
Vi è, poi, un secondo strato: la Costituzione, all'articolo 8, dopo avere proclamato molto giustamente che «tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», sancisce che le confessioni che lo desiderino e che abbiano i requisiti - vale a dire alle quali lo Stato riconosca i requisiti - possono arrivare all'intesa, secondo l'articolo 8 della Costituzione. Le intese in essere in questo momento riguardano alcune confessioni protestanti e l'Unione delle comunità israelitiche.
Poi, c'è il terzo piano di cui stiamo parlando oggi: chi non vuole - c'è anche chi non vuole - raggiungere un'intesa, perché la ritiene una violazione del principio separatista - ci sono dei separatisti assoluti - o chi non può. Per esempio, nel caso dei musulmani, ci sono stati tentativi di cominciare le trattative per l'intesa; tuttavia, sia il Governo precedente sia quello attuale, a mio parere giustamente, hanno ritenuto di non procedere, trovandosi


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di fronte ad un pluralismo di domande e di rappresentanze che avrebbe posto lo Stato italiano in questa situazione: o sceglierne una - e con quali criteri e in che modo? - oppure procedere in contemporanea con tutti, il che sarebbe stato altrettanto incongruo, perché avrebbe provocato una sorta di scavalcamento.
Quindi, noi siamo oggi di fronte alla necessità di applicare la Costituzione per il terzo piano: ossia, per chi non ha il Concordato e chi non ha l'Intesa. Tuttavia, non si può ammettere che chi non ha il Concordato o l'Intesa sia in questo momento regolato dalla legislazione del 1929-1930, la legislazione dei culti ammessi. Si tratta di una legislazione concepita in un contesto storico, politico, istituzionale del tutto diverso, un contesto in cui i partiti e i sindacati erano stati aboliti ed in cui, appunto, vigeva un Concordato che dichiarava, a differenza dell'attuale, la religione cattolica come religione dello Stato.
Certo che nel tempo la vicenda dell'attuazione della Costituzione nei confronti di chi non ha né Concordato né Intesa si sia evoluta. Infatti, all'inizio questo problema riguardava poche confessioni protestanti, che avevano un atteggiamento separatista. Oggi certamente riguarda l'emigrazione, quindi i musulmani, o anche nuovi culti, buddisti o altro, che si sono diffusi. Tuttavia, direi che è un elemento di coerenza dello Stato verso se stesso quello di riuscire ad applicare la Costituzione. Oppure dovremmo concludere con qualcuno degli autorevoli colleghi che hanno parlato prima di me per cui, visto che lo Stato italiano non riesce a reggere il fenomeno dell'immigrazione, deve modificare i suoi principi democratici e costituzionali? Sarebbe veramente una dichiarazione e un'acquisizione di assoluta inanità e di incapacità da parte dello Stato. Al contrario, quello che si fa con i provvedimenti di cui stiamo parlando (e anche con questo stesso testo, sia pure in alcuni punti a mio parere infelicemente modificato dalla Commissione) è di riuscire ad offrire un'occasione di integrazione dal punto di vista religioso - perché no? Anche sociale -, emarginando l'integralismo e il fondamentalismo. Qui a volte si evocano fantasmi che non hanno ragione d'essere. Si dice che così i musulmani potranno sposarsi. Cosa sta avvenendo oggi, praticamente? Credo che non esista una legge, né sarebbe concepibile, che impedisca a una ragazza italiana, se innamorata, di sposare un musulmano: non credo si pensi a una cosa del genere. Oggi avviene che questi matrimoni sono spesso celebrati in luoghi di culto delle ambasciate estere e quindi, nel caso che il matrimonio fallisca - a volte può succedere -, come tutti i giornali mettono in evidenza, ci sono grossi problemi per l'affidamento dei figli. Quando sarà approvato questo disegno di legge, il codice che verrà applicato sarà il codice civile italiano. Vi sembra un progresso per la difesa delle donne italiane o un regresso? A me sembra un progresso.
È stato messo in evidenza che oggi le moschee spesso godono di una sorta di extraterritorialità: pensiamo a quella di Roma. Questo è frutto di un accordo tra ambasciatori. Il giorno in cui avremo un'organizzazione giuridica italiana riconosciuta, vi sarà un rapporto con gli italiani, secondo le leggi italiane. Questa specie di evocazione di fantasmi, di gravissimi pericoli, è assolutamente incongrua ed è, al contrario, lasciando le cose in questa situazione magmatica e non regolata che si crea una condizione di difficoltà per la convivenza civile del nostro paese. Ma se un'organizzazione musulmana si dota di uno statuto democratico ed alcuni suoi responsabili si presentano con nome, cognome e indirizzo al Ministero dell'interno, chiedono di poter essere ricevuti, si manifestano e si impegnano ad adempiere alle leggi e ai regolamenti che sono stati stabiliti, è questo un vantaggio o uno svantaggio per lo Stato italiano? Sono stato sottosegretario all'interno, sia pure con deleghe un po' laterali: è chiaro che è un vantaggio per lo Stato italiano conoscere i suoi interlocutori ed avere degli impegni sul mantenimento e sull'adempimento di determinati principi democratici, coerenti col nostro ordinamento costituzionale.


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Oppure si preferisce, appunto, una situazione, come dicevo prima, del tutto disordinata e magmatica, in cui gli impegni non vengono presi, non si sa chi è e così via? È evidente che chi è ispirato da filosofie, da credenze o da religioni fondamentaliste non può prendere questi impegni, ma è evidente che, offrendo invece un'occasione di confronto e di interlocuzione a chi invece li vuol prendere, noi creiamo delle condizioni per potere gestire il tema dell'emigrazione in forme e in modi assai più importanti, consapevoli e anche di garanzia nei confronti della nostra società, nei confronti del cittadino italiano. È vero: sono stati citati passi del Corano; certamente domani si potrebbero citare passi di intolleranza anche nella storia dell'evoluzione del cristianesimo. Lo sappiamo tutti e non a caso c'è stato chi, volta a volta, ha chiesto perdono - così è stato - per degli errori fatti nel passato.
Voglio dire però che vi sono anche altri documenti che, forse, andrebbero presi in considerazione. Si pensi, ad esempio, alla Dichiarazione islamica universale dei diritti dell'uomo depositata all'Unesco - Parigi 19 settembre 1981 - dal Segretariato generale del Consiglio islamico per l'Europa. In questo atto è stabilito che ogni persona ha il diritto di esprimere i suoi pensieri e le sue condizioni e che il principio coranico - secondo cui non vi è costrizione nella regione - governerà i diritti religiosi di tutte le minoranze non musulmane. Inoltre, in tale dichiarazione si stabilisce anche che ogni persona ha diritto alla libertà di coscienza di culto in conformità con le sue convinzioni religiose e che ogni persona ha il diritto di partecipare, a titolo individuale e collettivo, alla vita religiosa, sociale, culturale e politica delle sue comunità. Per come è organizzato l'islam so benissimo che questi principi non lo regolano nella sua interezza, anche se credo si tratti di principi ed atteggiamenti da incoraggiare se si vuole andare in una certa direzione. Questa dichiarazione ha una certa sua solennità perché è stata consegnata ad una delle agenzie - l'Unesco - delle Nazioni Unite.
Quindi il mio invito è a non prendere sottogamba questi argomenti; capisco che in questo momento, in presenza di una determinata situazione mondiale, vi può essere anche qualche partito il quale può pensare che attaccando i musulmani in senso generico - una realtà così vasta e multiforme ed anche così poco conosciuta - si possano produrre voti, e mi sembra che qualcuno in quest'aula abbia dimostrato indulgenza verso questa tendenza. Comunque bisogna fare attenzione perché stiamo trattando una materia molto delicata che concerne la convivenza sociale nel nostro paese. Non mi risulta che, per esempio, gli imprenditori padani del nord abbiano questo atteggiamento nei confronti dei loro lavoratori musulmani. Sappiamo tutti che ormai in certe aree del paese non si trova più l'operaio specializzato e che sono le stesse associazioni imprenditoriali che, spesso, facilitano, promuovono, la venuta di personale extracomunitario - che, in molti casi, può osservare una religione di carattere musulmano - e organizzano forme di convivenza.
Quindi su questo tema cercherei di evitare l'uso di forme di demagogia elettoralistica e mi atterrei alla serietà circa l'avvenire dell'Italia, dell'Europa e del mondo.
Come è stato ricordato bene dall'onorevole Montecchi, è vero che in questo momento la Convenzione europea sta discutendo l'articolo 37 della nuova Costituzione che riconosce la libertà delle Chiese, la potestà di ogni ordinamento nazionale di organizzare i rapporti tra Stato e Chiesa secondo le deliberazioni proprie di ciascuna nazione e postula anche il dialogo fra le istituzioni europee, le Chiese, le confessioni religiose e le organizzazioni filosofiche non confessionali. Tant'è che lo stesso Presidente della Commissione Prodi, senza aspettare la Costituzione, si è già dotato di due nuclei di esperti di funzionari che, di fatto, già svolgono la funzione di esercitare quello che viene denominato «dialogo strutturato». Questi due nuclei riguardano l'uno il dialogo interculturale e l'altro i valori e i principi.


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Noi abbiamo promosso nell'ambito della Commissioni esteri e della Commissione affari comunitari consultazioni sulla Convenzione europea. Una delle persone audite ha una certa autorevolezza: si tratta infatti di monsignor Betori, Segretario della CEI. Nella sua introduzione - agli atti della Camera - egli non ha trascurato di ricordare che la CEI è favorevole a questo tipo di legge; è favorevole ad essa anche l'Unione delle comunità israelitiche. In questo caso si sta cercando di fare una sorta di gioco al rialzo che, semmai, dovrebbe trovare contrari gli ebrei e i cattolici italiani, i quali, invece, si sono dichiarati assolutamente favorevoli nei confronti di questa chiesa. Certo, vi può essere questo o quel vescovo che la pensa diversamente, ma potrei citare anche i nomi di altri vescovi - incontrati durante i miei viaggi in Italia - che, invece, si congratulavano e mi invitavano a proseguire nel mio intento: comunque credo che ciò che conta sia la pronuncia in generale.
È vero, bisogna ammetterlo, confessarlo: noi nel passato non abbiamo sostenuto con sufficiente vigore e coerenza i diritti delle minoranze cristiane in paesi in cui questi diritti non venivano assicurati. In qualche modo, a volte, si è pensato che essi riguardassero i paesi occidentali, mentre negli altri paesi si dovesse accettare un'affermazione di diritti più limitata.
Credo, invece, che sia giunto il momento (il mondo si sta via unificando) di essere più rigorosi, più chiari nella richiesta, con riferimento a tutte le vicende internazionali, nelle organizzazioni internazionali, nelle dichiarazioni di principi, nei vari accordi, di un'osservanza vera della tolleranza e della libertà religiosa in ogni paese ed in qualsiasi parte del mondo, ma certo lo si fa con più autorevolezza se noi italiani sappiamo conformarci a ciò. Credo che tutti noi abbiamo abbastanza discernimento da capire che non è conculcando i diritti degli altri nel nostro territorio che possiamo chiedere con più autorevolezza di osservare i diritti delle minoranze cristiane o di altre minoranze in altri paesi, in altre nazioni, in altri Stati. Al contrario, mostrando coerenza con la nostra Costituzione, assicurando la possibilità dell'integrazione a chi lo desidera, saremo più autorevoli a livello internazionale, nei rapporti con le altre nazioni, nella richiesta di analogo rispetto, di analoghi diritti. È un grande, grandissimo tema del nostro mondo che certo non si affronta in questi termini.
Proprio nel momento in cui si mette in evidenza che l'intervento militare angloamericano in Iraq è stato diretto contro una dittatura e non contro un popolo o tanto meno contro una religione, in Italia l'approvazione di un disegno di legge di attuazione degli articoli 8, 19 e 20 della Costituzione in materia di libertà religiosa verso tutti e, quindi, anche verso i musulmani, sarebbe un segnale politico di grande rilevanza; un segnale una volta tanto bipartisan, considerato che i due testi originari, quello del gruppo dell'Ulivo, di cui mi onoro di essere primo firmatario (atto Camera n. 1576) ed il disegno di legge del Governo (atto Camera n. 2531) che, su proposta del relatore Bondi, è stato scelto come testo base per la discussione in Commissione, erano così vicini l'uno all'altro (poche erano le differenze perché, tra l'altro, si richiamavano al lavoro compiuto unitariamente in Commissione nella precedente legislatura) che ci hanno veramente fatto sperare, almeno in merito a questo punto di attuazione della Costituzione, in un solido importante impegno bipartisan. Purtroppo, i profondi dissensi emersi nella stessa maggioranza non fanno ben sperare nella sollecita approvazione di un provvedimento che definisco giusto, saggio ed urgente, considerato che, nella carenza di attuazione della Costituzione, è tuttora vigente la legislazione fascista del 1929 e 1930 sui culti ammessi.
Noi diamo atto del lavoro svolto non solo al relatore Bondi, ma anche al presidente della I Commissione Bruno, nonché ai rappresentanti del Governo che si sono alternati su tale argomento, ma il nostro appello, la nostra sollecitazione alla maggioranza di Governo è che si mantengano gli impegni, che ci si ispiri ad uno spirito
bipartisan, con riferimento ad un provvedimento di attuazione costituzionale,


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rifiutandosi di snaturare lo stesso testo governativo (onestamente, le proposte di modifica, ad esempio, dell'onorevole Garagnani costituirebbero uno snaturamento del testo governativo), nonché di accettare ricatti minoritari perché non si può bloccare la volontà della grande maggioranza del Parlamento italiano. Mi auguro, pertanto, che lo spirito bipartisan di partenza sia mantenuto.
Certamente, come ho affermato prima, ci muoveremo perché l'esame del provvedimento non venga ritardato, perché al termine della sua discussione sulle linee generali vi sia la sua votazione finale e perché vi siano autorevoli chiarimenti - il Governo non mancherà di farlo - in merito ad una serie di punti e di equivoci emersi in questa sede.
Vorrei aggiungere una considerazione che, forse, non risulta abbastanza chiara. L'Europa è molto pluralista e l'Italia non ci guadagna dal non esserlo; al contrario, la sua capacità di presenza in Europa deve essere misurata alla sua capacità di presenza pluralista. Lo dico perché, alle volte, si avvertono alcune sensazioni o impressioni non realistiche.
Questo è il motivo per cui l'Europa sta provvedendo a redigere articoli della Costituzione nel senso della libertà. Personalmente, mi riservo di proporre un emendamento nella Convenzione europea che aggiunga alla libertà religiosa del singolo, così ben definita nella carta fondamentale dei diritti europei, anche la menzione alla libertà delle chiese. Penso che sarebbe bene proporlo (lo dico per comunicazione, non perché sia una materia su cui è sovrana in questo momento l'Assemblea). Vorrei comunque ricordare che la Convenzione europea, con ogni probabilità, inserirà nel suo preambolo un richiamo ai valori religiosi; non sarà un richiamo escludente, ma includente che permetterà a tutti di sentirsi cittadini di serie A. È evidente che se vi sono radici in qualche modo affermate, chi si riconosce in queste è cittadino di seria A, mentre se vi sono radici disconosciute, chi si riconosce nelle suddette sarebbe un cittadino di serie B.
Io credo invece che la laicità dello Stato e la libertà religiosa siano sinonimi estremamente connessi ed inestricabili. Non vi è la laicità dello Stato senza libertà religiosa, non vi è vera libertà religiosa senza laicità dello Stato. Vedete, onorevoli colleghi, ho avuto l'onore di prendere la parola quasi vent'anni fa sia nella discussione sul nuovo Concordato sia su quella relativa alle prime intese. Era il 1984: per attuare quella parte della Costituzione ci sono voluti 34 anni.
A quasi 20 anni di distanza, siamo vicini al traguardo dell'attuazione del disposto costituzionale sul piano relativo ai rapporti con le confessioni che non rientrano nel concordato né nell'ambito delle intese.
Mi sembra, signor rappresentante del Governo, che di tempo ne sia passato abbastanza dal 1948 e che sia nostro dovere e compito, come parlamentari, attuare la Costituzione anche in questo grande e delicato settore. Nella scorsa legislatura non è stato possibile e credo che questo sia un motivo di rammarico, anche se dobbiamo ricordare l'appassionata opera dell'onorevole Maselli che tanto si adoperò per arrivare a quel risultato. Nella scorsa legislatura fu approvato un testo in Commissione nel febbraio 2001, un mese o poco più prima dello scioglimento delle Camere.
Oggi, abbiamo il tempo a disposizione per approvare questo importante provvedimento nel corso di questa legislatura. In qualche modo, noi come opposizione potremmo stare a guardare e vedere come se la cavi la maggioranza; tuttavia vogliamo impegnarci ed offrire il nostro contributo.
Saremmo certamente soddisfatti se in questa legislatura si addivenisse a tale traguardo, approvando un provvedimento così qualificante. Certo, ciò deve avvenire proprio nello spirito della capacità di integrazione, tolleranza e convivenza che rappresenta la migliore sicurezza per i cittadini italiani nel XXI secolo e nel terzo millennio. Intolleranza, sopraffazione e disconoscimento dei diritti equivarebbe a prepararci da soli un pessimo avvenire.


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Con questo spirito, quindi, io sono intervenuto per dire che il testo licenziato dalla Commissione è ancora largamente accettabile, anche se su alcuni aspetti ci proponiamo, come ha ricordato l'onorevole Montecchi, di riproporre il testo del Governo, che ci sembrava francamente più adeguato. Oltre non è possibile andare, perché, ove si snaturasse ulteriormente il testo, saremmo costretti a richiamare quello dell'Ulivo perché non sarebbe accettabile peggiorare la situazione attuale.
Spero, tuttavia, che prevalga quello che la grande maggioranza Parlamento italiano condivide su un tema di questa delicatezza ed importanza in modo da scrivere una bella pagina storia di questo Parlamento repubblicano (Applausi dei deputati del gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gibelli. Ne ha facoltà.

ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli interventi dei miei colleghi hanno anticipato la posizione del movimento, rilevando alcune questioni che vorrei che il collega Bondi cogliesse pienamente. Se la legge verrà licenziata con questo testo, onorevole Bondi, sarà un massacro! Un massacro costituzionale poiché la Costituzione verrebbe considerata come un contenitore indefinito e senza limiti culturali. Ne abbiamo già parlato in Commissione! Se lo spirito è quello sottolineato dal collega Spini, che citava Voltaire, ricorderà egli volentieri all'Assemblea, che proprio Voltaire, che aveva introdotto un metodo che doveva essere il più oggettivo possibile per l'indagine della storia, quando si riferiva al cristianesimo, non sapeva dire, per quanto riguarda il caso specifico della genealogia di Gesù Cristo, che una serie di ilarità, prendendo in giro l'altro, quello che crede, perché se fa questo è legato ad una visione stupida, antistorica del progresso. Proprio Voltaire si poteva citare come esempio per affrontare i temi che intendevo sviluppare.
Ho ascoltato in quest'aula citare ministri; è vero: il Governo ha prodotto una serie di iniziative, compresa questa, e vi sono ministri che hanno sottoscritto tale iniziativa. Non possiamo negarlo! Ma sempre è venuta dalla sinistra la volontà di considerare sovrana l'Assemblea del Parlamento e quindi legittima ogni azione da parte di ogni gruppo, di maggioranza e di opposizione, tesa a non ritenere ogni provvedimento come un atto immodificabile, quasi un dogma, bensì di essere migliorabile attraverso il confronto.
Dato che ho sentito il ministro degli interni che giustamente - giustamente in senso ironico - ha parlato di una volontà di apertura al mondo musulmano, soprattutto alla parte moderata, vorrei far presente all'onorevole Valdo Spini e a tutti i colleghi del centrosinistra alcune questioni, che non fanno parte del patrimonio del movimento che rappresento, ma di un dibattito approfondito che non riesce ad individuare la distinzione tra musulmani moderati e musulmani e radicali, sia nei numeri che nei contenuti. In un summit tenuto a Beirut nel gennaio 2002, a cui hanno partecipato oltre 200 ulema sunniti e sciiti provenienti da 35 paesi, è stato sancito - lo dice Samir Khalil Samir in una sua recente pubblicazione -: le azioni del martirio dei mujaheddin sono legittime e trovano fondamento nel Corano e nella tradizione del profeta.
Quando lei citava la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, non doveva ripetere le enunciazioni di principio, dal momento che su di esse tutti siamo d'accordo; è quando si va un po' oltre che nascono le contraddizioni! Ad esempio, quando all'articolo 1 del provvedimento si fa riferimento al diritto internazionale generalmente riconosciuto, abbiamo già chiesto al relatore e al Governo: a quale diritto internazionale generalmente riconosciuto si fa riferimento? Perché fino ad oggi era chiaro; non è chiaro dal 1990, onorevole Valdo Spini! Ben 171 paesi, dal 1948 in poi, hanno firmato la Carta dei diritti dell'uomo, fino a quando i paesi a maggioranza musulmana hanno deciso di scriverne una loro, di cui lei giustamente ha citato le enunciazioni di principio. Però leggiamo nei dettagli le questioni che


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hanno indotto questi paesi musulmani a non sottoscrivere la Carta dei diritti dell'uomo. C'era un motivo: essa era in contrasto con il Corano e con i 1400 anni di storia - aggiungo io - militare dell'islam. Mi accingo pertanto a specificare tali questioni e le ripeterò durante l'esame degli articoli. E quando dico che sarà un massacro, onorevole Bondi, sarà un massacro per questo.
Dalle enunciazioni generali si passa ad alcune applicazioni specifiche, ci si imbatte in affermazioni che sembrano andare in direzione opposta a quello che diceva lei. Per esempio, si sostiene che il padre - e non la madre o entrambi i genitori - ha la responsabilità dell'educazione fisica, morale e religiosa della prole, in conformità alle sue credenze e alla sua stessa legge (articolo 19). Ad esempio, si sancisce - come giustamente lei citava - il diritto per uomini e donne, nei paesi musulmani, a sposarsi senza che vi sia alcuna restrizione per quanto riguarda la razza, il colore e la cittadinanza. Evidentemente, lei interpreterà le cose come un passo in avanti; peccato che non viene menzionata anche la religione, perché la sharia vieta alle donne musulmane di unirsi in matrimonio con un uomo non musulmano! Queste omissioni derivano tra l'altro dal fatto che, mentre le due versioni di questa carta in francese e in inglese sono appetibili per l'occidente, la versione in lingua araba - che non è pubblicata in occidente - specifica esattamente questi aspetti. Bisogna leggere le carte internazionali nei termini completi in cui esse si presentano.
Il pericolo, quindi, non è quello di limitare la libertà religiosa, ma di evitare che si realizzi quanto lo sceicco libanese Mohammed Hussein Fadlallah, parlando ad una televisione di Beirut, nel corso di un incontro con alcuni esponenti cristiani, ha sostenuto: che il sistema democratico vigente in Europa rappresenta la migliore opportunità per la diffusione dell'Islam nel continente, un canale attraverso il quale può transitare più agevolmente il messaggio del profeta. E questo apre un discorso legato a tutto quanto è stato detto riguardo al dialogo. È abbastanza singolare leggere i resoconti dei dialoghi islamo-cristiani; al di là delle condizioni di principio, è interessante vedere a che punto siamo.
Vorrei citare un'altra pubblicazione dell'avvocato Stefano Nitoglia, che, le assicuro, non è iscritto alla Lega nord, secondo il quale: in realtà, dietro la parola dialogo, si cela il mito irenico, relativistico ed hegeliano secondo il quale non esiste alcuna verità assoluta. Per questo mito, il massimo bene è la pace, anche a costo di sacrificarvi la verità e la giustizia. La pace irenica non si riduce alla mera inesistenza di guerre termonucleari o convenzionali, di rivoluzioni o guerriglie. Essa è dottrina, è uno stile di vita in cui tutti gli elementi di attrito sono sostenuti da una coesistenza cordiale e dialettica, dalla tesi all'antitesi, da una continua collaborazione in vista della sintesi.
Maurice Borrmans, docente al Pontificio istituto di studi arabi in Roma, ha ammesso: mille segni confermano ancora che i responsabili ufficiali dell'Islam non vogliono - lo ripeto - non vogliono assolutamente sentir parlare di dialogo organizzato con le organizzazioni rappresentative di altre religioni monoteiste. La parola «dialogo» è molto ambigua. Più che di dialogo, fino ad oggi, abbiamo assistito a due monologhi.
Quando monsignor Giuseppe Bernardini, arcivescovo di Smirne ha chiesto, nel corso della seconda assemblea speciale per l'Europa del sinodo dei vescovi svoltosi in Vaticano dal 1o al 23 ottobre 1999 - ciò ha messo in luce, nella seduta del 13 ottobre, le enormi difficoltà del dialogo con l'islam - agli esponenti (a cui noi daremo il patentino, con effetti giuridici, attraverso questo provvedimento), ai responsabili delle comunità islamiche per quale motivo non organizzavano loro stessi, per una volta, un incontro per un dialogo cristiano, essi riposero (la risposte è stata pubblicata su
L'Osservatore Romano il 15 ottobre 1999): perché dovremmo farlo? Voi non avete nulla da insegnarci e noi non abbiamo nulla da


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imparare. Onorevole Valdo Spini, questo giornale non è La Padania ma L'Osservatore Romano.
Per tornare alle questioni affrontate in seguito, sempre Samir Khalil Samir ricorda che rimane sempre colpito, quando va in Inghilterra, dalle enormi scritte sui muri della moschea di Birmingham che incontra sulla strada per l'aeroporto: leggi il Corano, l'ultimo testamento (intendendo con questo l'unica verità rivelata che non può essere contestata attraverso un dialogo che ammette altri punti di vista). Se questi sono i nostri interlocutori, torniamo alla nostra Costituzione.
È abbastanza singolare vedere che si fa riferimento, ad esempio, alla libertà religiosa nei luoghi di lavoro. Se dobbiamo fare un discorso legato al problema dell'Islam, dovremmo ammettere le cinque preghiere rituali. Perché no? Peccato che nei 45 paesi musulmani, a parte l'Arabia Saudita, non c'è alcuna legge che ammetta questa condizione! Gli altri hanno risolto culturalmente, al loro interno, il loro problema! Prevedendo questa possibilità con una legge italiana si dà adito a posizioni più radicali rispetto a posizioni più moderate! Ammettiamo di più in Italia rispetto a quanto è ammesso nel loro paese!
Rappresenterà il banco di prova, quando, negando le origini della nostra cultura laica attraverso un percorso culturale giudaico-cristiano, si contraddirà - e lo vedremo - quanto il Presidente ed il Vicepresidente del Consiglio fanno in Europa. Noi, in Italia, non facciamo la stessa cosa! Sarà un banco di prova!

PRESIDENTE. Onorevole Gibelli...

ANDREA GIBELLI. Mi avvio a conclusione, Presidente, citando un riferimento che non è certamente legato ad una posizione filoleghista.
Nella nota pastorale La città di san Petronio nel terzo millennio, del 2000, il cardinale Giacomo Biffi afferma: «Il caso dei musulmani va trattato con particolare attenzione. Esso ha una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diverso diritto di famiglia incompatibile con il nostro».
Quindi, quando regoliamo questa materia, vediamo l'Islam con i nostri occhi e pensiamo che possa adattarsi alle nostre condizioni.
Saltando le intese - questo è grave - si ottiene una scorciatoia che ammette tutto ed il contrario di tutto, in una visione massonica e relativista che non fa onore alla storia ed alle tradizioni di questo paese che ha saputo dividere la sfera laica da quella religiosa, ma che, in questa condizione, costruirà, attraverso gli statuti, una serie di diritti paralleli che mineranno alla base la nostra identità.
Il banco di prova per tutto ciò sarà offerto dall'esame degli articoli e delle proposte emendative che ad essi saranno presentate
(Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maccanico. Ne ha facoltà.

ANTONIO MACCANICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è certamente un fatto positivo e molto significativo che inizi oggi, in Assemblea, la discussione del disegno di legge sulla libertà religiosa.
È un fatto che definirei doppiamente significativo: innanzitutto perché, a conclusione di un lungo travaglio e di un faticoso processo elaborativo, si raggiunge, finalmente - dopo mezzo secolo! -, il traguardo delle norme di attuazione dell'articolo 8 della Costituzione repubblicana, che sancisce, appunto, i principi della libertà religiosa; in secondo luogo, perché questa normativa viene ad incidere in una realtà sociale, economica e politica assai diversa rispetto a quella del periodo dell'Assemblea costituente, caratterizzata com'è da forti flussi migratori e dalla graduale costruzione di una comunità multietnica e multiculturale nella quale il pluralismo religioso diventa sempre più marcato e presente e l'esigenza di regole adeguate sempre più pressante.
Devo dire subito che questa normativa è del tutto idonea sia a soddisfare le storiche esigenze di una legislazione laica e liberale in questa materia sia a regolare


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i nuovi fenomeni sociali, in campo religioso, di una comunità nazionale aperta a nuove presenze, a nuovi flussi, a nuove culture.
Questo progetto di legge ha, dietro di sé, una lunga storia.
Anche se molte sentenze della Corte costituzionale avevano eliminato dal nostro ordinamento alcune delle peggiori norme della legge del 1929 sui culti ammessi, quest'ultima era ancora formalmente in vigore quando il primo proposito di una legge quadro in materia fu pubblicamente espresso, dal Governo Craxi, in occasione della stipula, nel 1984, della prima intesa con una confessione religiosa.
Il riferimento riguardava, soprattutto, quelle confessioni religiose che non volevano stipulare un'intesa, perché volevano enfatizzare la natura essenzialmente spirituale e personale del credo religioso, e quelle confessioni religiose che non potevano avere un'intesa, perché sprovviste di un minimo di organizzazione giuridica.
Una sentenza della Corte costituzionale che affermava il rispetto dei diritti degli aderenti sia a confessioni con intesa con lo Stato sia agli aderenti a confessioni senza intesa, senza riconoscimento e senza organizzazione rese ancora più pressante l'esigenza di una legge quadro. I Governi De Mita e Andreotti tentarono di elaborarla senza riuscirvi.
Credo che abbia pesato su quella paralisi decisionale un orientamento divaricato delle varie confessioni religiose, alcune delle quali volevano perseguire la via delle intese e consideravano la legge quadro come un'alternativa ad esse (e, quindi, la temevano) ed altre insistevano, invece, per la legge quadro, perché non volevano percorrere la via delle intese.
Fu il Governo Prodi, nella scorsa legislatura, a sottrarsi a questo dilemma paralizzante: mentre dette impulso alle intese (cominciarono, allora, le trattative con i Testimoni di Geova e con l'Unione buddhista), predispose anche il primo disegno di legge quadro presentato in Parlamento.
Un merito indubbio del progetto governativo al nostro esame è stato quello di riprodurre quasi integralmente il testo che fu predisposto nella scorsa legislatura, dopo uno scrupoloso e lungo esame in Commissione affari costituzionali, dal relatore onorevole Maselli, al quale ritengo sia giusto vada il sentimento della nostra gratitudine per l'eccellente lavoro svolto, che non arrivò in porto con l'approvazione definitiva della legge perché la fine della legislatura lo impedì.
Comunque, questo è un esempio di quanto fecondo può essere il lavoro del Parlamento anche nel passaggio da una legislatura all'altra, quando esso è ispirato alle esigenze genuine di risolvere grandi problemi e non è strumentale a fini di parte. La stessa via ha seguito l'amico e collega Valdo Spini con la sua proposta di legge che è stata abbinata al disegno di legge governativo.
Onorevoli colleghi, la libertà religiosa è la madre di tutte le libertà, come ben sapevano i padri pellegrini che si imbarcarono sulla Mayflower per difendere il diritto alla libertà di coscienza e di culto e che fondarono le colonie dalle quali nacquero gli Stati Uniti d'America. Essi portavano con sé il seme della democrazia moderna. Lo sapeva anche un deputato e ministro della sinistra storica, di quella che De Sanctis chiamava la scuola democratica; alludo a Pasquale Stanislao Mancini, mio conterraneo, che nel lontano 1871 fece approvare dal Parlamento italiano un ordine del giorno in favore della piena uguaglianza di tutte le confessioni religiose.
I tre capi nei quali si articola il testo al nostro esame, quello sulla libertà di coscienza e di religione, quello sulle confessioni-associazioni religiose e quello sulla stipula delle intese, ai sensi dell'articolo 8 della Costituzione, offrono una normativa organica che merita apprezzamento. Nel corso dell'esame in Commissione sono state introdotte modifiche approvate e formulazioni non tutte accettabili e condivisibili; presenteremo proposte emendative a questo riguardo.
Sappiamo benissimo che nella maggioranza vi sono diffuse riserve ed avversioni al testo in esame e ne abbiamo avuto un saggio anche in questa discussione, ma noi


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confidiamo ed esprimiamo l'auspicio che una larga maggioranza dia al nostro paese finalmente una normativa esemplare in tutto degna del modello occidentale di libertà religiosa quale è definito dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, dalla Convenzione europea degli anni cinquanta e dalla Carta europea dei diritti (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, di Forza Italia e Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

 

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2531)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Bondi.

SANDRO BONDI, Relatore. Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, il progetto di legge che è al nostro esame, così com'è stato più volte ricordato, costituisce una forma di adeguamento del nostro ordinamento ai principi costituzionali e anche a quelli del diritto internazionale in materia di diritti di libertà religiosa e di coscienza.
Nella Costituzione l'articolo 8 afferma che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge; il terzo comma afferma che i rapporti di queste confessioni religiose con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Vi è poi un'ultima possibilità costituita da quelle confessioni religiose che non intendono ovvero non possono avere un rapporto pattizio con lo Stato e per queste ultime, pertanto, troverà applicazione unicamente una legge di carattere generale. Anche per queste confessioni deve però valere una legge sulla libertà religiosa che sia coerente e consona al messaggio costituzionale. Per dette confessioni, allo stato attuale, risulta ancora vigente la legislazione del 1929-1930 sui culti ammessi, o meglio, quella parte di legislazione, come è stato ricordato, rimasta in piedi dopo gli interventi della Corte costituzionale.
L'accennata disciplina venne infatti adottata allorquando la religione cattolica era espressamente considerata religione di Stato, ed è frutto, pertanto, di un sistema politico e culturale diverso da quello da cui ha tratto origine il nostro dettato costituzionale. In questo quadro, il primo passo da compiere per garantire l'attuazione della Costituzione in tema di libertà religiosa è proprio l'approvazione del presente disegno di legge, oggi nuovamente sottoposto all'esame del Parlamento.
Nell'odierna società, e ancor più in un prossimo futuro, ove già si registrano presenze articolate e complesse di diverse realtà religiose, lo Stato deve porsi come pieno assertore e difensore dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciute dalle supreme Carte - oltre che dalla Suprema corte -, tra cui,
in primis, quella della libertà religiosa. È necessario, in altri termini, sviluppare una politica religiosa che non ci faccia trovare impreparati ad affrontare la sfida del pluralismo multiculturale e multireligioso, in termini di integrazione ai fini di una convivenza civile e armonica. L'approvazione del suddetto progetto normativo, dunque, si pone come necessaria premessa per ogni successivo intervento in questo settore.
Occorre pertanto assicurare alle confessioni religiose, purché siano tali, un sostrato comune di norme, in modo da attribuire ad esse il diritto di essere trattate in modo conforme al disposto della nostra Carta costituzionale. L'impianto del provvedimento, sul quale, peraltro, sono state espresse numerose valutazioni positive anche da parte di esponenti del mondo della cultura e di insigni giuristi (vorrei ricordare, al riguardo, che si sono svolte numerose audizioni in Commissione affari costituzionali), si pone come uno strumento di garanzia delle libertà fondamentali


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sancite a livello costituzionale, ed attraverso l'enunciazione dei diversi diritti, finisce per snodarsi in concrete disposizioni procedimentali poste a tutela sia dello Stato, sia delle stesse confessioni religiose.
In quest'ottica, dando precipuo rilievo e tenuto conto di quanto affermato in proposito nelle varie sedi internazionali, anche in materia di ordine e sicurezza pubblica, si è inteso apprestare una serie di garanzie e di controlli, positivamente normando - quando, naturalmente, tale disegno di legge sarà approvato definitivamente - altresì alcuni aspetti ed alcune fase procedurali già esistenti nella prassi. È stata confermata l'assoluta bontà della scelta del riferimento al parere preventivo del Consiglio di Stato, essendo stata sempre apprezzata la meritoria opera svolta dal suddetto organo consultivo nel valutare la compatibilità dei princìpi professati dalle varie confessioni religiose, contenuti nei loro statuti, con il nostro ordinamento giuridico.
Credo che, in ogni caso, sia stata riaffermata, anche nel corso del dibattito in Commissione, l'esigenza di un controllo da parte dello Stato e del Governo e, segnatamente, del Ministero che ho l'onore di rappresentare. Tale possibilità di controllo è stata inoltre estesa anche allo stesso Parlamento: come abbiamo visto, infatti, tutto l'iter propedeutico alla stipula delle intese è stato, a mio avviso giustamente, punteggiato da una serie di momenti di controllo, che coinvolgono lo stesso Parlamento e le sue Commissioni di merito.
Ritengo, pertanto, che il provvedimento che il Governo ha presentato, sostiene e segue attentamente nel corso della discussione parlamentare - e concordo interamente con i principi enunciati dal relatore, l'onorevole Bondi - stia veramente procedendo in un dibattito complesso e lucido, del quale ringrazio, naturalmente, tutti i componenti della Commissione, e segnatamente il presidente, il quale ha gestito in maniera molto puntuale le varie audizioni, le sedute in sede referente ed il dibattito sulle proposte emendative presentate.
Credo altresì che l'iter del provvedimento proseguirà in quest'aula sempre nell'ambito di una discussione approfondita e civile. L'obiettivo finale è rappresentato da una norma di attuazione, e non di enunciazione, in modo che forse sarà possibile espungere dal testo alcune dichiarazioni meramente di principio, oppure alcuni riferimenti o rinvii a normative di settore (come ad esempio quella sull'istruzione scolastica), e spero che alla fine venga approvato in maniera largamente condivisa, dall'intero Parlamento, un provvedimento (che ricordo essere stato presentato non solo dal Governo, ma anche da parlamentari di diverse forze politiche) che ci conduca ad avere una normativa più moderna sia in tema di libertà religiosa, sia di riconoscimento degli effetti civili degli atti di alcune confessioni religiose.
Il Ministero dell'interno segue da sempre con grande puntualità questa tematica e posso assicurare che lo ha fatto con grandissimo rispetto di quei principi superiori che sono la tutela dell'ordine pubblico e l'aderenza ai nostri principi costituzionali siano essi riferiti a tutto l'impianto della legislazione in termini di sicurezza e di ordine pubblico siano essi riferiti all'impianto del nostro diritto di famiglia.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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