CESNUR - center for studies on new religions

CAMERA DEI DEPUTATI - XIV LEGISLATURA
Resoconto della I Commissione permanente
(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni)

I Commissione - Resoconto di martedì 14 dicembre 2004

Libertà religiosa e culti ammessi.
C. 1576 Spini, C. 1902 Molinari e C. 2531 Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame, rinviato da ultimo, il 23 novembre 2004.

Patrizia PAOLETTI TANGHERONI (FI), relatore, dopo le riunioni tenute in sede di Comitato ristretto sul provvedimento in titolo e l'intervento svolto dal

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Ministro dell'interno nella seduta del 23 novembre 2004, ritiene opportuno svolgere alcune considerazioni volte a chiarire in che termini, alla luce dell'ordinamento vigente, si pone oggi la questione della libertà religiosa in Italia, dando per acquisita la relazione svolta dal precedente relatore, il deputato Bondi. Fa presente in proposito che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose sono disciplinati dagli articolo 7 e 8 della Costituzione, il primo dei quali è esclusivamente dedicato ai rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, mentre il secondo, ai commi secondo e terzo, regola i rapporti con le confessioni diverse dalla cattolica. Quanto al primo comma del predetto articolo 8, in esso viene sancita l'eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge. In particolare, l'articolo 7 della Costituzione, oltre a definire la reciproca posizione istituzionale dello Stato e della Chiesa cattolica, che sono «ciascuno, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani», opera un esplicito rinvio ai Patti Lateranensi del 1929 ed alle loro successive modificazioni. Particolare rilievo, per il nostro discorso, assumono le disposizioni del Concordato, che riguardano le condizioni della religione e della Chiesa cattolica in Italia, e le modificazioni ad esso apportate dagli accordi del 1984. La disciplina contenuta nell'Accordo di modificazione e nel relativo Protocollo addizionale riguarda, fra gli altri temi: la libertà della missione della Chiesa, la libertà di comunicazione e corrispondenza dell'autorità ecclesiastica e quella dei cattolici in materia di associazione, riunione e manifestazione del pensiero, la libertà per l'autorità ecclesiastica di nominare i titolari degli uffici ecclesiastici, salvo comunicare all'autorità statale la nomina degli ufficiali che ricoprano uffici rilevanti per lo Stato, il regime degli enti ecclesiastici e la gestione del patrimonio di questi, il nuovo regime del riconoscimento civile del matrimonio canonico e delle sentenze ecclesiastiche di nullità del vincolo, il regime delle scuole cattoliche parificate e delle Università cattoliche, ivi compreso l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Pur se viene consensualmente ed espressamente superato, in quanto non conforme a Costituzione, il riferimento alla religione cattolica come «sola religione dello Stato italiano», il riconoscimento del particolare significato che la religione cattolica assume per il popolo italiano si riafferma come un dato giuridicamente acquisito in virtù del complesso della disciplina concordataria, oltre a trovar conferma in talune esplicite espressioni normative, quali ad esempio l'articolo 2, comma 4, che recita: «La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità», o l'articolo 9, comma 2, in forza del quale «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà a assicurare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche». Passando ad analizzare la questione delle confessioni religiose che hanno stipulato un'intesa, ricorda come il terzo comma dell'articolo 8 della Costituzione pone il principio secondo cui i rapporti con lo Stato delle confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze e rileva che in attuazione di tale disposizione, a partire dal 1984 lo Stato italiano ha proceduto a stipulare intese con alcune confessioni religiose. Le intese sin qui stipulate e recepite con legge riguardano le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese, l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del settimo giorno, le Assemblee di Dio in Italia, l'Unione delle Comunità ebraiche italiane, l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia e la Chiesa evangelica luterana in Italia. Le intese finora intervenute danno atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico e prevedono disposizioni per l'assistenza individuale nelle caserme, negli ospedali, nelle case di cura e di riposo e nei penitenziari, per il matrimonio, per il riconoscimento di enti con fini di culto, istruzione e beneficenza, per il regime

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degli edifici di culto, per i rapporti finanziari con lo Stato nella ripartizione dell'8 per mille del gettito IRPEF, per le festività e, ove previsto, il riposo sabbatico e per l'insegnamento della religione nelle scuole. A parte alcune disposizioni dirette a tutelare aspetti particolari, tipici di ciascuna confessione, le intese non presentano, tra loro, grandi differenze. Riguardo alla scuola pubblica, ad esempio, tutte le intese, con formulazione pressoché identica, riconoscono il diritto degli esponenti delle rispettive confessioni a «rispondere ad eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici» in ordine allo studio del fatto religioso, nell'ambito delle attività culturali previste dall'ordinamento scolastico; ovviamente non in alternativa all'ora di religione cattolica prevista e sancita dai Patti Lateranensi. Quanto invece alle altre confessioni religiose prive di intesa, ad esse si applica tuttora la normativa sui «culti ammessi», facente capo essenzialmente alla legge n. 1159 del 1929 ed alle disposizioni di attuazione approvate con il regio decreto n. 289 del 1930. La citata legge n. 1159 dispone, con una terminologia obsoleta sia nella forma che nella sostanza, che «sono ammessi nel Regno» culti diversi dalla religione cattolica, «purché non professino princìpi e non seguano riti contrari all'ordine pubblico o al buon costume», che l'esercizio, anche pubblico, di tali culti è libero e che è altresì pienamente libera la discussione in materia religiosa, né il godimento dei diritti civili e politici e l'ammissibilità a cariche civili e militari possono subire eccezioni in ragione della differenza di culto. Si stabilisce inoltre che la nomina dei ministri di culto è soggetta ad approvazione governativa, con la precisazione che «nessun effetto civile può essere riconosciuto agli atti compiuti da tali ministri se la loro nomina non abbia ottenuto l'approvazione», che il matrimonio celebrato davanti ad un ministro di culto approvato produce effetti civili, qualora vi sia stata l'autorizzazione dell'ufficiale dello stato civile secondo le norme previste dalla medesima legge, che gli istituti di «culti diversi dalla religione dello Stato» possono essere eretti in ente morale, con attribuzione della personalità giuridica, con «regio decreto» (oggi, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del ministro dell'interno, udito il Consiglio dei ministri. Non è più obbligatorio il parere del Consiglio di Stato). Il riconoscimento comporta una serie di vantaggi, tra cui la possibilità dell'ente di culto di acquistare e possedere beni in nome proprio e di avvalersi di agevolazioni tributarie. Lo Stato attraverso l'esercizio delle concessioni, può effettuare riscontri sulle attività degli enti riconosciuti. Attualmente, risultano dotati di personalità giuridica 33 enti di culto diversi dal cattolico, tra i quali il Centro islamico culturale d'Italia. Ritiene opportuno che la disciplina illustrata sia oggi riletta alla luce della Costituzione e dell'ormai consolidata giurisprudenza costituzionale in materia, con particolare riguardo, in primo luogo, all'articolo 8 il quale, oltre a sancire il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose, riconosce alle confessioni religiose diverse da quella cattolica l'autonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a condizione che questi non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. Occorre altresì tenere conto dell'articolo 19 che, indipendentemente dal riconoscimento e dalla stessa esistenza di una confessione religiosa organizzata, riconosce a ciascuno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa «in qualsiasi forma, individuale o associata» ponendo il solo limite del buon costume, nonché dell'articolo 20, che esclude qualsiasi restrizione legislativa o fiscale per le associazioni o istituzioni in ragione delle loro finalità di religione o di culto. Alla luce di tali considerazioni di ordine generale desidera quindi esporre le ragioni che, a suo avviso, giustificano l'adozione di una nuova disciplina legislativa in materia. A tale proposito, nel precisare che con l'intervento normativo in oggetto non si intende affatto modificare quanto statuito nel Concordato e nelle intese già stipulate, come viene escluso espressamente dallo stesso articolo 41 del disegno di legge, ritiene che la principale finalità del provvedimento

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risieda nella piena attuazione agli articoli 8, 19 e 20 della Costituzione, mediante la sostituzione della legge n. 1159 del 1929 con una nuova disciplina dall'impianto maggiormente compatibile con la Costituzione, anche al fine di fornire una base legislativa alla materia della stipulazione delle intese, finora affidata unicamente alla prassi, nonché per fissare regole certe in una materia estremamente delicata. In proposito, infatti, non si può non tenere conto dell'attuale contesto nazionale, che va rapidamente modificandosi, a causa dei fenomeni migratori, come ha ricordato lo stesso Ministro dell'interno nell'intervento già precedentemente richiamato. In tale contesto si rende sempre più necessaria una normativa di sicuro riferimento per gestire tutta una gamma di nuove situazioni che va dai sempre più numerosi matrimoni misti fino alla lotta contro il terrorismo. Il disegno di legge mira quindi a dare organica attuazione, per la prima volta in epoca repubblicana, a disposizioni che la Carta costituzionale include tra i suoi princìpi fondamentali, intervenendo su una materia che forma oggetto di numerosi atti internazionali, al cui rispetto il nostro Paese è vincolato. Rileva inoltre come la materia dei rapporti tra le confessioni religiose e lo Stato sulla base di intese, pur se coperta da riserva di legge, secondo la Costituzione, sia rimasta, a tutt'oggi, priva di una disciplina legislativa di ordine generale, che fissi requisiti e procedure, che eventualmente stabilisca criteri utili a porre limiti e ad offrire garanzie. Per le confessioni prive di intesa, la disciplina attualmente vigente è infatti quella dei «culti ammessi» nello Stato, di cui alla legge n. 1159 del 1929 ed al regio decreto n. 289 del 1930, il cui impianto essendo antecedente alla nostra Carta costituzionale, risulta parzialmente inadeguato. Inoltre, per chi professa religioni non facenti capo a confessioni i cui enti esponenziali siano riconosciuti, manca una disciplina organica ed aggiornata che, oltre a tutelare sia la libertà di professare la religione in forma singola e associata e sia gli altri diritti e libertà dell'individuo, se necessario anche nei confronti della stessa confessione religiosa di appartenenza, nel contempo fissi il punto d'equilibrio tra la libertà religiosa e tutti quegli altri diritti dell'individuo e delle collettività, che la Costituzione tutela. Ritiene peraltro estremamente chiaro e condivisibile quanto dichiarato dal Ministro dell'interno nella seduta del 23 novembre scorso, in ordine al riconoscimento della diversità religiosa quale componente sempre più rilevante delle dinamiche sociali del nostro Paese. A fronte di tale assunto, ritiene che si debba decidere di governare il fenomeno in termini conformi alla nostra Costituzione, trovando per via legislativa il giusto equilibrio tra le diverse libertà, individuali e collettive, che la Costituzione stessa tutela, anche al fine di assicurare l'integrazione culturale e la coesione sociale, laddove, invece, la mancata presa di coscienza del problema rischierebbe di farne perdere il controllo o di doverlo affrontare esclusivamente in termini conflittuali e da una posizione di debolezza perchè le scelte sarebbero compiute in un'ottica di emergenza. Si sofferma quindi sulle più rilevanti novità introdotte dal disegno di legge in esame rispetto alla legislazione del 1929, rilevando, in primo luogo, che, rispetto alla legge n. 1159 del 1929, il provvedimento riguarda le confessioni religiose prese in considerazione dall'articolo 8, terzo comma, della Costituzione. Per quanto riguarda le intese si colma un vuoto legislativo, atteso che le stesse sono state sino ad oggi negoziate, stipulate e, infine, ratificate secondo una procedura e in base a criteri definiti in via di prassi. Fa presente quindi che sia la legge n. 1159 del 1929 sia il disegno di legge di riforma prevedono l'attribuzione, su richiesta, della personalità giuridica alle confessioni religiose o ai loro enti esponenziali. La nuova disciplina proposta, oltre ad essere aggiornata ai tempi, appare, a confronto con quella vigente, più organica e dettagliata. Essa di fatto riduce l'ambito di discrezionalità del soggetto governativo, introducendo parametri di valutazione e «delimitazioni» più precisi. In particolare, quanto alla procedura di riconoscimento, si prevede espressamente non solo la deliberazione

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del Consiglio dei ministri, ma anche il previo parere del Consiglio di Stato, la cui obbligatorietà era venuta meno a partire dal 1997, e si forniscono indicazioni circa gli elementi che il Consiglio di Stato dovrà porre a base della sua valutazione. Sono inoltre indicati in maniera più puntuale e stringente i requisiti per il riconoscimento che devono emergere dallo statuto e dalla documentazione fornita e si prevede che la confessione o l'ente esponenziale debba aver sede in Italia, e che il suo rappresentante debba essere cittadino italiano, mentre, secondo la disciplina vigente, quest'ultimo elemento è solo eventuale. Si prevede poi espressamente la revoca del riconoscimento qualora vengano meno i requisiti per lo stesso previsti ed è obbligatoria l'iscrizione della confessione o dell'ente esponenziale nel registro delle persone giuridiche, disponendo che il regime degli acquisti è il medesimo previsto, in via generale, per le persone giuridiche. Dal punto di vista del trattamento tributario, mentre il Regio Decreto n. 289 del 1930 opera una generale equiparazione alle finalità di beneficienza e di istruzione, il disegno di legge in esame appare più puntuale, rinviando alla legge l'individuazione dei casi in cui si può procedere all'equiparazione e suggerendo i criteri per distinguere, agli effetti civili, tra attività di religione o di culto ed altre attività. Vengono inoltre ridotti i poteri di vigilanza, controllo e tutela attribuiti al Governo dalla disciplina attualmente vigente, comprendenti la possibilità di introdurre «norme speciali» nel decreto di erezione in ente morale. Quanto invece alla questione dei ministri di culto, rileva che già in base alla legge n. 1159 del 1929, indipendentemente quindi dalla stipulazione di intese e persino dall'avvenuta attribuzione della personalità giuridica alla confessione religiosa, i ministri di culto di confessioni diverse dalla cattolica possono compiere, nell'esercizio del loro ministero, atti ai quali sono riconosciuti effetti civili, primo tra i quali il matrimonio. L'articolo 3 della citata legge richiede tuttavia che le nomine dei ministri di culto siano notificate al Governo e da questo approvate, con decreto ministeriale. L'approvazione governativa è condizione non solo per la menzionata attribuzione di effetti civili, ma anche per l'esercizio di talune attività strettamente connesse all'esercizio della libertà di culto, come affiggere liberamente atti e pubblicazioni ovvero effettuare collette all'interno o all'ingresso degli edifici di culto, nonché per la, del tutto eventuale, dispensa dalla chiamata alle armi in caso di mobilitazione delle truppe. Il testo modificato dalla Commissione in sede referente richiede l'approvazione governativa per i ministri di culto di tutte le confessioni che non abbiano stipulato un'intesa, in ciò non differenziandosi sostanzialmente dalla legge n. 1159 del 1929, mentre la procedura di approvazione è rimessa a un futuro regolamento ministeriale. Poiché non tutte le religioni prevedono l'esistenza di «ministri di culto», la disciplina è estesa alle guide spirituali e alle figure equiparate. Una specifica disposizione è dedicata alla disciplina previdenziale per i ministri di culto delle confessioni diverse dalla cattolica. Quanto agli effetti civili del matrimonio celebrato davanti al ministro di una qualsiasi confessione non titolare di intesa, la cui nomina sia stata approvata dal Governo, gli stessi sono già previsti e disciplinati dalla legislazione del 1929. La relativa procedura, regolata in dettaglio, richiede la previa autorizzazione, di fatto un nulla osta, dell'ufficiale dello stato civile e contempla la lettura agli sposi, da parte del ministro di culto, degli articoli del codice civile relativi ai diritti e ai doveri dei coniugi. La disciplina recata dall'articolo 11 del disegno di legge in esame, a parte le differenze di formulazione, non presenza grandi e sostanziali diversità rispetto a quella testé ricordata. L'obbligo di dare lettura degli articoli del codice civile sui diritti e i doveri dei coniugi, che l'originario testo governativo affidava all'ufficiale dello stato civile, in base a un emendamento approvato in Commissione resta in capo anche al ministro di culto e, conseguentemente, tale lettura ha luogo due volte. Il Regio Decreto n. 289 del 1930 prevede inoltre che «i

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ministri dei culti ammessi nel Regno», a prescindere dal riconoscimento di personalità giuridica, possano prestare assistenza religiosa ai ricoverati nei luoghi di cura e di ritiro ed agli internati negli istituti di prevenzione e pena, ma subordina tale possibilità alla richiesta dei ricoverati o internati ed all'autorizzazione di chi ha la responsabilità amministrativa dei relativi istituti. L'assistenza religiosa dei militari acattolici è anch'essa prevista, ma solo in caso di mobilitazione delle forze armate e previa autorizzazione dell'autorità militare, che può stabilire norme e cautele al riguardo. Essa può essere prestata solo da un ministro di culto la cui nomina sia stata approvata dal Governo. Disposizioni di questo tenore non trovano riscontro nel disegno di legge di riforma. Esso prevede invece, per un verso, che i ministri di culto, e le guide spirituali o soggetti equiparati, «sono liberi di svolgere il loro ministero spirituale», e include tra le libertà delle confessioni religiose costituzionalmente tutelate «il diritto [...] di fornire assistenza spirituale ai propri aderenti»; per altro verso, reca uno specifico articolo volto a disciplinare l'esercizio della libertà religiosa e la pratica dei relativi culti in presenza di specifiche condizioni, quali la degenza in strutture sanitarie o assistenziali, la permanenza negli istituti di prevenzione e pena, l'appartenenza alle Forze armate, di polizia o a servizi assimilati. L'articolo condiziona l'esercizio di tali libertà all'assenza di oneri per le amministrazioni interessate e alla compatibilità (per le Forze armate e di polizia) con le esigenze di servizio. Le concrete modalità applicative sono rimesse a successivi regolamenti ministeriali. Rileva quindi che le disposizioni recate in materia scolastica dalla legge n. 1159 del 1929 e dal regio decreto del 1930, concernenti la dispensa dall'insegnamento religioso, il ritardo del servizio militare per gli studenti delle scuole teologiche e l'autorizzazione ad aprire scuole elementari per i fedeli di culti diversi dalla religione di Stato, appaiono, nel loro complesso, particolarmente datate e non più attuali alla luce sia dei princìpi costituzionali in materia di istruzione, sia del nuovo Concordato, sia della vigente disciplina di settore. Ciò premesso, ritiene che meriti forse menzionare la norma che, a determinate condizioni, consente ai «padri di famiglia professanti un culto diverso dalla religione dello Stato» di ottenere la disponibilità di «qualche locale scolastico per l'insegnamento religioso dei loro figli». Fa presente quindi che il disegno di legge di riforma reca due soli articoli, entrambi modificati in Commissione, afferenti alla materia scolastica, volti a garantire e a delimitare il diritto dei genitori ad istruire ed educare i figli in coerenza con la propria fede religiosa, nonché a consentire lo svolgimento, in conformità all'ordinamento scolastico, di attività didattiche, ovviamente in aggiunta all'ora di religione cattolica prevista dai Patti Lateranensi recepiti dall'articolo 7 della Costituzione. Fa presente quindi che il disegno di legge in esame reca altre disposizioni riferite a taluni specifici settori che la legislazione del 1929-1930 non contempla. A tale proposito, segnala gli articoli 14 e 22 in materia di edifici di culto e relativa attività edilizia, l'articolo 24, riferito alle associazioni e fondazioni con finalità di religione e di culto, diverse dalle confessioni in sé e dai relativi enti esponenziali, nonché l'articolo 23 relativo alla sepoltura dei defunti. Nell'invitare i componenti della Commissione a considerare questa semplice esposizione solo come il punto di partenza di un ampio dibattito sulle rilevanti questioni recate dal disegno di legge, fa presente che quest'ultimo rappresenta un tentativo, certo non facile, di affermare la laicità dello Stato accogliendo, come una legittima istanza dei cittadini, l'esigenza di esprimere liberamente le proprie idee e i propri sentimenti religiosi, laddove in altri Paesi sono state scelte strade diverse, orientate ad un laicismo esasperato che non riconosce legittimità a tale istanza.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

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