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L'ultimo passo per ridare pace all'Algeria

di Massimo Introvigne (il Giornale, 22 giugno 2004)

L’uccisione domenica sera in uno scontro a fuoco con l’esercito algerino di Nabil Sahraoui, alias Mustapha Abou Ibrahim, leader del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento segna probabilmente la fine della guerra civile algerina: ma non necessariamente del terrorismo.
La situazione algerina si è incancrenita dopo il successo del partito fondamentalista Fis (Fronte islamico di salvezza) nel primo turno delle elezioni nel dicembre 1991 e il successivo colpo di Stato dell’Esercito del gennaio 1992, che ha impedito il secondo turno elettorale. Alla messa al bando del Fis ha fatto seguito un’estrema frammentazione del mondo fondamentalista islamico, da cui è emersa l’ala ultra-fondamentalista del Gia (Gruppo islamico armato) contrapposta all’Ais, Esercito islamico di salvezza, che deriva più direttamente dal Fis. Il Gia si è impegnato in un’autentica guerra, più che decennale, contro il regime di Algeri, nel corso della quale sono morte circa 150mila persone.
Dal 1995, il terrorismo radicale si frammenta in decine di sigle che spesso si combattono fra loro con la stessa ferocia con cui si oppongono al governo. Nel 1997, lo sterminio di interi villaggi composti da musulmani innocenti porta alcuni dei principali dirigenti del Gia, fra cui Sahraoui, a denunciare le forme indiscriminate di violenza e a formare un’organizzazione separata, il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc). Quest’ultimo è tutt’altro che un gruppo non violento: in effetti, nel complesso scenario algerino, il Gspc appare la formazione più legata a Bin Laden e ad Al Qaida, che del resto aveva condannato come inutili e controproducenti gli eccessi delle frazioni più brutali del Gia. Nel frattempo un’amnistia offerta alla guerriglia dal presidente Abdelaziz Bouteflika nel 2000 era stata accettata dall’Ais, ma non dal Gspc né dalla maggioranza delle frazioni del Gia. Con il sostegno francese, l’esercito algerino ha peraltro messo a segno negli ultimi cinque anni diverse operazioni di notevole successo contro il Gia, che oggi appare quasi completamente sconfitto. L’uccisione di Sahraoui, considerato tra l’altro l’uomo di fiducia di Bin Laden in Algeria, prelude forse all’eliminazione dallo scenario algerino anche del Gspc. Gli rimarrebbero meno di cinquecento militanti nel Sud del Paese, anche se cellule del Gspc, integrate nel network di Al Qaida, restano presenti in diversi paesi europei, Italia compresa.
Sul piano strettamente militare in Algeria la guerriglia ultra-fondamentalista appare dunque sconfitta. Tuttavia il Gspc rimane presente come organizzazione terroristica i cui centri direttivi sono in Francia, in Italia e in Spagna e che recluta giovani algerini sia nell’emigrazione sia nelle grandi città dell’Algeria. Finita la guerriglia, può continuare il terrorismo. Perché le fonti di reclutamento del Gspc si inaridiscano la pur necessaria repressione militare mon è sufficiente. Sarebbe necessario reintegrare forme dell’islam politico disposte a rompere con il terrorismo nella vita politica algerina da cui sono state escluse nel 1992. Solo queste sono in grado di fare concorrenza ai terroristi presso una gioventù che cerca comunque nell’islam un’alternativa alle delusioni dei governi militari e nazionalisti. Alcune aperture del presidente Bouteflika dopo la sua rielezione dell’aprile 2004 sembrano andare nella giusta direzione: ma la strada è ancora lunga e faticosa.

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