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Al Qaida è ferita ma può colpire ancora l’Occidente

di Massimo Introvigne (il Giornale, 29 maggio 2004)

Negli ultimi giorni sono stati pubblicati rapporti contraddittori su Al Qaida. I liberal dell’inglese International Institute for Strategic Studies criticano Bush e affermano che la guerra in Irak ne ha fatto aumentare i militanti. I servizi di sicurezza americani e inglesi rispondono che è precisamente il contrario, ma mettono in guardia contro il rischio di futuri attentati negli Stati Uniti e arrestano in Inghilterra il suo ambiguo “portavoce” Abu Hamza al-Masri. Dove va Al Qaida?
Al Qaida non è mai stata una realtà gerarchica sul tipo delle Brigate Rosse o di Hamas, per cui parlare di “membri” dell’organizzazione creata da bin Laden è già di per sé ambiguo. Il nome Al Qaida, “la base”, indicava all’origine una base di dati che consentiva a bin Laden di tenere i contatti con coloro che avevano combattuto con lui in Afghanistan. Si trattava di persone di provenienza diversissima che, nella maggior parte dei casi, facevano già parte di organizzazioni estremiste indipendenti. Dopo la fine della guerra afghana, Osama offriva a tutti costoro addestramento militare e finanziamenti selettivi in funzione di obiettivi precisi. Osama operava più come un editore che come un datore di lavoro: accettava proposte da gruppi situati nelle più svariate parti del globo, chiamava gli esecutori ad addestrarsi nei suoi campi, li armava e li finanziava. Molto raramente bin Laden ideava e commissionava gli attentati: può darsi che non abbia ideato neppure l’11 settembre, ma abbia accolto un piano elaborato nella cerchia della moschea fondamentalista al-Kuds di Amburgo. In senso stretto “membri” di Al Qaida erano gli istruttori dei campi, la direzione strategica e le molte guardie del corpo di bin Laden e degli altri membri della “cupola” dell’organizzazione: forse in tutto un migliaio di persone. Se invece si considera tutto il network dei diversi movimenti i cui progetti erano sostenuti da Al Qaida, la cifra di cinquantamila terroristi non appare esagerata.
Dopo l’11 settembre tutto questo cambia. Molti istruttori e dirigenti sono arrestati o uccisi. Al Qaida perde la possibilità di addestrare terroristi in grandi campi come quelli dell’Afghanistan o del Sudan. Gli rimane qualche campo in Irak dove l’affiliata locale del suo network, Ansar al-Islam, è sostenuta in diversi modi dal regime di Saddam: ma anche questo viene meno con la guerra del 2003. Grazie alle guerre in Afghanistan e in Irak il nucleo duro di Al Qaida – i “membri” in senso stretto – si è certamente ridotto, e di molto. Quanto alle organizzazioni terroriste che esistevano già prima di entrare in contatto con Al Qaida, e che chiedevano sostegno a Osama, evidentemente esistono ancora, ma sottoporre e far finanziare i loro progetti all’“editore” bin Laden è diventato più difficile. Il numero di progetti timbrati Al Qaida è diminuito. Bin Laden è ancora in grado di coordinarne e finanziarne qualcuno, e dopo Madrid c’è il sospetto che si concentri – oltre che sull’Irak – sul tentativo di influenzare elezioni in Occidente con stragi pre-elettorali, da cui l’allarme negli USA (e in Italia). Quanto all’addestramento, mettere in piede micro-campi rimane possibile – è questa una delle accuse ad al-Masri – in Occidente, dove i terroristi sono protetti dal garantismo delle leggi e dall’iper-garantismo di certi giudici. Non abbassare la guardia è dunque realistico. Non riconoscere che la guerra al terrorismo ha già ottenuto contro Al Qaida importanti successi è invece pura propaganda elettorale.

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