CESNUR - center for studies on new religions

Al Qaida reagisce alla voglia di democrazia

di Massimo Introvigne (il Giornale, 14 giugno 2004)

Si afferma che nulla cambia in Medio Oriente, che il piano americano per la democratizzazione del mondo arabo è già morto prima di nascere, che l’invito di leader di Paesi a maggioranza musulmana al G8 è stato una pura manovra di facciata. Ma c’è almeno un’organizzazione islamica che la pensa diversamente: Al Qaida, che degli ultimi sviluppi appare sinceramente preoccupata, e lo ha detto venerdì sera, con una cassetta mandata in onda dalla televisione Al-Arabiya, attribuita al suo numero due, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, e che sembra autentica.
Insieme agli ultra-fondamentalisti che sostengono il terrorismo, i principali attori sullo scenario politico medio-orientale sono tre: il nazionalismo laico, le vecchie monarchie tradizionali giordana, marocchina e saudita (le prime due riformatrici, la terza ultra-puritana ma sempre più spaventata da Al Qaida), e la maggiore organizzazione del fondamentalismo internazionale: i Fratelli Musulmani, che in molte delle loro branche nazionali (tranne quella palestinese, di cui è emanazione Hamas) hanno ormai abbandonato il terrorismo e portano avanti un progetto di islamizzazione “dal basso” tentando la conquista della società civile e l’inserimento nella politica parlamentare. Il loro progetto politico rimane fondamentalista, ma in Giordania i Fratelli Musulmani siedono in parlamento; in Irak sostengono il governo nominato dalle Nazioni Unite e parteciperanno alle elezioni.
Al-Zawahiri si rivolge a questi diversi governanti arabi. Ai i nazionalisti laici lascia intendere che, nonostante l’estrema lontananza ideologica, potranno beneficiare della benevola tolleranza che Al Qaida riservava per esempio a Saddam Hussein se rinunceranno a ogni progetto di democratizzazione. Al Qaida non vuole la democrazia: preferisce che i regimi nazionalisti corrotti restino come sono, continuando a generare scontenti che ingrossano le fila dei terroristi. Soprattutto, non vuole che emergano esempi di un islam insieme conservatore e riformista corrispondenti al modello turco o malese, che potrebbero rivelarsi persuasivi per una buona parte dell’opinione pubblica araba. Con le monarchie tradizionali al-Zawahiri usa molto bastone e poca carota: sa che la Giordania e il Marocco (dove è entrata in vigore una coraggiosa riforma del diritto di famiglia che attribuisce alle donne diritti in molti altri Paesi musulmani impensabili) hanno imboccato una strada di riforme che sembra irreversibile. Anche in Arabia Saudita al-Zawahiri vede con preoccupazione il giro di vite della monarchia sui religiosi che simpatizzano per Al Qaida (duemila ulema rimossi o arrestati nel solo 2004). Ai Fratelli Musulmani – come già aveva fatto nel suo libro Cavalieri sotto la bandiera del Profeta, del 2001 – al-Zawahiri promette le pene riservate ai traditori: ma, mentre ne minaccia i dirigenti, spera di indurne i giovani attivisti ad abbandonarli e ad accorrere nelle fila del terrorismo.
Tutto questo dimostra che qualche cosa in Medio Oriente, checché se ne dica, si muove: alcuni Paesi cominciano a imboccare la via delle riforme, altri sono almeno meno tolleranti con i terroristi, perfino organizzazioni ultra-tradizionaliste o fondamentaliste scelgono strade diverse dalla violenza. Se questo era lo scopo principale della guerra in Irak, ci sono segni che qua e là si comincia parzialmente a raggiungerlo: se Al Qaida si preoccupa, l’Occidente se ne può rallegrare.

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