CESNUR - center for studies on new religions

Il terrore non deve fermarci

di Massimo Introvigne (il Giornale, 18 luglio 2004)

Ancora una volta, da un sito Internet che qualche collegamento con bin Laden ce l'ha davvero, Al Qaida ordina all'Italia di ritirarsi dall'Irak. “'Se il vostro governo non obbedisce - minacciano i terroristi - le autobombe saranno la soluzione”. Come rispondere ad Al Qaida è un problema anzitutto morale, quindi politico. Non si deve liquidare troppo rapidamente l'aspetto morale della questione come irrilevante. Gli ultra-fondamentalisti islamici, che una morale paradossale e aberrante ce l'hanno, in tutta la loro letteratura irridono l'Occidente perché non è più capace di pensare in termini morali. Considerano questa mancanza di senso etico un punto debole del nemico che gioca a loro favore. Purtroppo, da un certo punto di vista, hanno ragione. Forse non ce ne rendiamo conto ma abbiamo già perso, se siamo incapaci di un soprassalto di eticità che induca tutta la nazione a respingere in modo unanime, e per principio, ogni ipotesi di trattativa con criminali assassini che chiedono di “obbedire” e minacciano le autobombe e le teste tagliate.
Ma la morale, pure di per sé insostituibile, non sostituisce la politica. E il problema politico parte dal mettere a fuoco la natura precisa di Al Qaida e del terrorismo ultra-fondamentalismo islamico. Al riguardo, si contrappongono due scuole di pensiero. Per la prima, le organizzazioni del terrorismo sono bande di fanatici folli che si comportano in modo totalmente irrazionale. Sono belve feroci: soggetti con cui non si ragiona, ma che possono essere ammansiti da domatori bene intenzionati. Qualche concessione, in questo caso, potrebbe almeno distrarre la belva e frenare per un momento la sua violenza.
Per la seconda scuola, gruppi come Al Qaida sono soggetti razionali che partono da un calcolo ragionevole del rapporto fra costi e benefici, ricorrono al terrorismo e ai rapimenti di ostaggi per ottenere risultati concreti, e qualche volta li ottengono davvero. Non va confusa la mentalità del singolo terrorista - che può essere talora un sadico o un esaltato - con il disegno puntuale e preciso delle organizzazioni che lo mandano a morire. Queste non tagliano teste, distruggono edifici, massacrano civili comprese donne e bambini per un qualche gusto nichilista e folle di uccidere, ma perché pensano che le loro strategie funzionino e paghino. Cerca e ricerca, nel mondo - accanto agli esempi di fermezza offerti da chi governa attualmente gli Stati Uniti, l'Inghilterra e l'Italia e, bisogna dirlo, anche la Bulgaria e la Corea del Sud - si trovano disgraziatamente gli Zapatero e le presidenti delle Filippine come Gloria Arroyo, che alle ingiunzioni dei terroristi rispondono “obbedisco” come piccoli Garibaldi in sedicesimo e ritirano prontamente le truppe.
La risposta politica al terrorismo, che non sostituisce quella militare ma la integra, deve convincere le centrali del terrorismo che gli attentati non pagano. Al momento, queste organizzazioni sono convinte del contrario e hanno qualche buon argomento per giustificare la loro convinzione. Qualunque concessione al terrorismo genera ulteriore terrorismo, perché la centrale del terrore è indotta a ripetere pratiche che hanno dimostrato sul campo la loro capacità di dare risultati. È forse difficile convincere di questa evidente verità elettorati esasperati da troppi morti, ma è importante che la abbiano ben presente coloro cui è affidata la responsabilità delle scelte politiche - e morali - da cui dipende il futuro dei nostri paesi.

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