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Chirac e la politica dello struzzo in Costa d'Avorio

di Massimo Introvigne (il Giornale, 10 novembre 2004)

La crisi in Costa d'Avorio è in gran parte attribuibile a milizie che si confondono con la criminalità organizzata. Gli slogan contro la Francia e in favore della democrazia nascondono spesso il semplice desiderio di saccheggiare, rubare e imporre il tipico taglieggiamento del racket. Tuttavia la politica francese in Costa d'Avorio è irrimediabilmente invecchiata, e coinvolge problemi che vanno al di là del paese africano.
La Francia ha in Costa d'Avorio grandi interessi, anche se si sta progressivamente ritirando dalla principale attività economica nazionale, la coltivazione e l'esportazione del cacao. Ma imprese francesi controllano le maggiori società di telefonia fissa e mobile, le ferrovie, l'energia elettrica, l'approvvigionamento idrico e la compagnia aerea di bandiera Air Ivoire. Molti piccoli e medi imprenditori sono francesi o franco-libanesi fuggiti dal Libano. La strategia francese in Costa d'Avorio è simile a quella che Chirac adotta in molti altri paesi africani: sostenere uomini forti le cui credenziali democratiche sono, per usare un eufemismo, dubbie, convinto che siano i soli in grado di garantire la stabilità e gli investimenti francesi.
Il presidente Laurent Gbagbo (“ereditato” da Jospin e di cui Chirac ora vorrebbe sbarazzarsi) è il prototipo di molti altri capi di Stato dell'Africa francofona: corrotto, impresentabile, ma ritenuto capace di tenere in mano la situazione sul piano dell'ordine pubblico e di un funzionamento semi-normale dell'economia. La Francia può sostenere che nei trentatré anni di presidenza Houphouët-Boigny (1960-1993) lo schema ha funzionato.
Il mondo, però, è cambiato. Chirac può anche divertire i commentatori quando prende in giro i neo-conservatori americani e Bush, ma questi ultimi sono stati più veloci di lui a capire che per i vecchi dittatori sta suonando la campana dell'ultimo giro. Anche nei più remoti villaggi ivoriani nell'epoca della CNN e di Internet non ci si accontenta più della mera sopravvivenza ma si apprezzano i pregi della libertà e della democrazia. Che la democrazia sia diventata la parola d'ordine di demagoghi a loro volta criminali non significa che non sia anche una reale aspirazione degli ivoriani, e che il modello americano di esportare la democrazia per garantire la stabilità non sia più moderno di quello francese, che affida la difesa della stabilità a chi della democrazia non comprende neppure i primi rudimenti.
L'altro aspetto della crisi ivoriana nei cui confronti Chirac pratica la politica dello struzzo è quello religioso. Sociologi locali come Yacouba Konate ritengono che il dato ufficiale secondo cui i musulmani sono il quaranta per cento della popolazione ivoriana sia sottostimato. Sono probabilmente più della metà, e soprattutto sono la maggioranza nel Nord dove dominano i ribelli secessionisti e i nemici del presidente Gbagbo (la cui retorica anti-islamica e gli appelli strumentali al cristianesimo non migliorano la situazione).
Konate segnala anche la proliferazione delle nuove moschee nel Nord, molte delle quali di orientamento fondamentalista. Le origini della crisi ivoriana non sono religiose ma politiche, etniche ed economiche. Tuttavia l'ostinazione con cui la Francia ignora il fattore religioso prepara nuovi disastri, proprio nel momento in cui nelle moschee del Nord ivoriano cominciano a circolare ultra-fondamentalisti estremi che forse hanno contatti con Al Qaida e certamente inneggiano al terrorismo.

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