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Sfida all'Egitto: La tregua è finita

di Massimo Introvigne (il Giornale, 9 ottobre 2004)

Si dirà che l'attentato contro l'Hilton di Taba e i due altri nel Sinai sono solo quanto il terrorismo internazionale aveva promesso: colpire gli israeliani all'estero, dal momento che - a riprova che le misure di Sharon funzionano - è diventato più difficile colpirli in Israele. Tuttavia attaccare turisti colpisce al cuore l'economia egiziana: non solo quella dei grandi alberghi, ma anche quella minuta, da chi gestisce piccoli ristoranti a chi vende cartoline, centinaia di migliaia di persone che non possono fare a meno del turismo. Per questo, dopo il massacro di 58 turisti a Luxor nel novembre 1997, l'opinione pubblica egiziana - anche quella di idee fondamentaliste - si era rivoltata contro i terroristi. E le dimostrazioni popolari contro il terrorismo avevano convinto quasi tutti i movimenti ultra-fondamentalisti egiziani a proclamare una tregua unilaterale e a rinunciare agli attentati in Egitto. Anche chi non aveva aderito - Ayman al-Zawahiri, cioè Al Qaida - di fatto si era astenuto dal colpire nel paese dei faraoni. Le energie dei terroristi egiziani - come Mohammed Atta, il capo del gruppo dell'11 settembre - erano state dirottate su attentati da compiere all'estero.
Le tregua del dicembre 1997 è finita nell'ottobre 2004. Hamas nega ogni responsabilità, e in Israele si tende a pensare ad Al Qaida, che però avrebbe operato tramite gruppi dell'ultra-fondamentalismo islamico egiziano. Dunque la tregua è stata rotta: perché?
La risposta va cercata nella delicata fase di transizione che vive un Egitto che si prepara al dopo-Mubarak, tra tentazioni “continuiste” - una prosecuzione del regime attuale, con soluzioni cercate all'interno della famiglia del presidente - e possibili aperture democratiche. L'Egitto vive in realtà una situazione paradossale. Ufficialmente i Fratelli Musulmani, la maggiore associazione fondamentalista mondiale fondata proprio in Egitto nel 1928 da Hassan al-Banna e tuttora potente e diffusa, e le sue organizzazioni collegate sono vietate. Non possono esprimersi come tali né partecipare alle competizioni elettorali semi-democratiche organizzate nel paese. Di fatto, i Fratelli Musulmani sono onnipresenti: nei giornali, nella vita culturale, nell'amministrazione della giustizia, nelle associazioni di categoria. Qualcuno ha descritto il potere egiziano come una joint venture, non ufficiale e non dichiarata, fra i nazionalisti di Mubarak e i Fratelli Musulmani. Questa situazione, dicono i suoi difensori, ha isolato gli ultra-fondamentalisti, molti dei quali peraltro sono stati trattati dopo la “tregua” dal regime con una certa indulgenza.
Tuttavia la situazione si fonda su una finzione - i Fratelli Musulmani in teoria banditi ed esclusi dal potere, ma in realtà potentissimi - che è durata troppo a lungo e nel crepuscolo del regime di Mubarak presenta aspetti malsani. Il divieto di costituire legalmente partiti “religiosi” non disturba i Fratelli Musulmani. Ma ostacola i conservatori “centristi” e la frangia più moderata del fondamentalismo, che nel 1996 hanno costituito il partito Wasat (“Il Centro”), nel loro tentativo di costruire un'alternativa insieme islamica e democratica sia ai Fratelli sia allo screditato nazionalismo laico al potere. Le posizioni centriste godono di grande popolarità nel paese: ma la loro possibilità di prevalere è legata a un clima di tranquillità e di tregua, se non di dialogo nazionale. Quel clima che gli attentati nel Sinai vogliono ora distruggere, insieme alle delicate relazioni fra Egitto e Israele.

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