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Perché Hamas colpisce gli asili e se ne vanta

di Massimo Introvigne (il Giornale, 29 giugno 2004)

Un bambino di tre anni e un insegnante cinquantenne sono rimasti uccisi lunedì mattina nel bombardamento di un asilo della città israeliana di Sderot. Non lo riferisce la propaganda del governo di Sharon ma il Maghen David Adom, l'equivalente israeliano della Croce rossa. Il bambino, che era rimasto ferito in modo grave nell'attacco palestinese, è deceduto dopo il ricovero in ospedale. Che ci siano stati solo due morti, secondo il Maghen David, è sorprendente: uno di quei fatti apparentemente miracolosi che spiegano perché, nonostante i tempi difficili e il diffuso laicismo, la credenza in Dio in Israele è in continua crescita. Hamas ha pubblicamente rivendicato l'attacco.
Solo dieci gironi fa Hamas, in un interessante comunicato, aveva “scomunicato” Al Qaida dopo gli attentati in Arabia Saudita chiamando i seguaci di bin Laden “criminali” che se la prendono con “civili innocenti”. Il testo aveva suscitato grande interesse in Israele, dove però ci si chiedeva se si trattasse di un nuovo capitolo di una vecchia lotta fra Hamas e Al Qaida per l’egemonia nella galassia del terrorismo ultra-fondamentalista islamico, o di un tentativo di almeno una parte di Hamas per accreditarsi come forza di governo credibile a Gaza, dopo la progettata evacuazione israeliana, rinunciando apertamente alle forme più barbare e crudeli di terrorismo.
Purtroppo, la prima risposta era quella buona. Hamas condanna Al Qaida, ma colpisce asili israeliani, uccide bambini e se ne vanta. Resta legato a quell’anti-sionismo radicale che troppo spesso è solo un nuovo modo di chiamare l’anti-semitismo. L’ebreo, adulto o bambino, in questa prospettiva è una non-persona, un essere meno che umano che non riesce a essere pensato se non come bersaglio. Per questo, ammazzare bambini ebrei non è percepito – come dovrebbe essere – come un crimine orrendo ma è rivendicato come atto eroico.
Il problema non riguarda solo Hamas ma anche i suoi sostenitori e finanziatori sia nel mondo islamico, sia in quell’Unione Europea che continua a distinguere fra le organizzazioni “umanitarie”, tuttora finanziate, e quelle militari della galassia ultra-fondamentalista palestinese, quasi non si trattasse di due facce della stessa medaglia. Anche chi nel mondo musulmano condanna senza riserve bin Laden e Al Qaida si mostra assai più reticente quando si tratta di Hamas. Spesso, il discorso è immediatamente sviato sui torti inflitti ai palestinesi. La risposta è comprensibile, ma sbagliata. Ai musulmani che esitano non si chiede di condannare la causa palestinese, ma di ripudiare il terrorismo che colpisce i civili innocenti, compresi i bambini degli asili, come mezzo di lotta necessariamente criminale, degradante e per chi lo pratica e per chi ne fa l’apologia, a prescindere dalla causa al cui servizio si pone.
Non si deve avere fretta di battezzare – e finanziare – come “moderati” musulmani che sono invece a pieno titolo fondamentalisti, né di certificare che il tal movimento musulmano “ripudia la violenza” quando invece le sue pubblicazioni condannano sì Al Qaida ma propongono l’apologia degli uccisori di bambini di Hamas, o almeno li giustificano come “fratelli che sbagliano” così come, in altro contesto e stagione, i terroristi delle Brigate Rosse erano per qualcuno soltanto “compagni che sbagliano”. Con chi nega ogni modo di interloquire con il “nemico”, l’“altro”, l’“ebreo” il “crociato” diverso da quello della morte e del terrore non c’è dialogo possibile. L’Europa ne prenda atto.

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