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Si rivede Saddam e il capo rivolta rientra nei ranghi

di Massimo Introvigne (il Giornale, 5 luglio 2004)

Vi ricordate del feroce predicatore sciita Muktada al-Sadr, il principale protagonista della violenza anti-americana in Irak che fino a circa un mese fa occupava le prime pagine dei giornali? Da tre settimane non aveva diritto neppure a un trafiletto. Ora ne ha riparlato il presidente Allawi, per annunciare che Muktada ha promesso di disarmare le sue milizie e chiede un’amnistia.
La sparizione di Muktada al-Sadr dalle cronache dovrebbe far riflettere chi solo un mese fa ci assicurava che stava per impadronirsi dell’Irak e impedire il passaggio dei poteri al nuovo governo. Dall’Irak si sente spesso la voce di chi grida di più: non è detto che sia la più autorevole. A ridimensionare al-Sadr ci ha pensato il vero capo degli sciiti iracheni, il grande ayatollah Sistani. Bacchettato da Sistani, Muktada non rivendica più un ruolo di leader dell’intero mondo sciita irakeno. Si accontenta di rimanere fuori di prigione e chiede, per salvare la faccia, la nomina di un nuovo predicatore per la moschea-santuario dell’imam Alì a Najaf, forse la più importante moschea dell’intero mondo sciita. L’attuale predicatore, Sadr al-Din al-Qubanji, attacca regolarmente nei suoi sermoni Muktada al-Sadr ed è un attivista dello Sciri, il partito sciita che gli è più ostile. Il sostituito di cui si parla – ma la vicenda non è conclusa – è Sayyid Muhammad Rida al-Ghurayfi, un rispettato professore universitario che non fa parte dello Sciri.
Il declino di al-Sadr – che peraltro conta ancora su un certo numero di sostenitori, da alcuni dei quali ci si possono attendere pericolosi colpi di coda – ha una ragione. Appare come un ostacolo all’unità delle forze sciite, percepita come indispensabile ora che è riemerso lo spauracchio Saddam Hussein, che di sciiti ne ha ammazzati decine di migliaia. È riemerso simbolicamente, con il suo processo, politicamente con manifestazioni di suoi sostenitori in diverse città dell’Irak, militarmente con la sua influenza su una parte dei terroristi. E gli sciiti – tutti – sanno che la pulizia etnica e la vendetta contro gli sciiti sono al primo posto sull’agenda dei sogni dei nostalgici di Saddam.
Il problema centrale è ora quello di evitare uno scontro sanguinoso fra la minoranza sunnita e la maggioranza sciita. I nostalgici di Saddam giocano sull’atavico timore sunnita che, se le future elezioni saranno vinte – come è certo – da partiti sciiti, questi si vendicheranno delle angherie che hanno subito dai sunniti fin dai tempi dell’Impero Ottomano. Le bande “saddamite” sono alleate sia del terrorismo di Al Qaida sia di forme di criminalità organizzata, che dai rapiti e dalle aziende straniere minacciate si attendono riscatti e “pizzi”. La loro repressione è applaudita dalla grande maggioranza degli iracheni. È però anche necessario rassicurare i sunniti, e convincerli che il dopo-elezioni non si trasformerà per loro in un periodo di persecuzioni.
Se al-Sadr rimarrà tranquillo, e il mondo sunnita sarà in qualche modo rassicurato dal nuovo governo, la transizione democratica irakena avrà successo, anche se al prezzo di un costo di sangue da pagare comunque al terrorismo. Sembra che al-Sadr non rifiuti più le elezioni, ma minacci di costituire un partito nientemeno che con il suo arci-nemico di un tempo, lo sciita laicista Chalabi ora scaricato dagli americani. Se non si tratta di una provocazione, è l’incontro fra due perdenti: la versione irakena – con tutto il rispetto – della lista Occhetto – Di Pietro. Non saranno loro a spiantare Bagdad.

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