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Turchia in Europa, al via i negoziati. Ankara sdoganata

di Massimo Introvigne (il Giornale, 18 dicembre 2004)

La stampa turca simpatizza per Silvio Berlusconi, cui attribuisce buona parte del merito della positiva conclusione della trattativa europea. Ma non si è trattato solo di promuovere i pur legittimi e ormai corposi interessi delle nostre aziende in Turchia. L'operazione si inserisce in un disegno strategico di respiro globale. Ci sono oggi in Europa quattro forze che pongono problemi alla stabilità: gli eredi del comunismo che governano molti paesi dell'Est, il nuovo populismo delle «piccole patrie» regionali spaventato dalla globalizzazione, una destra che talora fatica a diventare europea, e l'islam politico comunque già presente fra gli immigrati musulmani.
Berlusconi ha compreso da tempo che queste forze non vanno né accettate senza riserve né rifiutate ma, secondo un'espressione inventata in Italia, «sdoganate». Mentre in Francia e in Germania la destra è chiusa nel ghetto di nostalgie fasciste e antisemite, l'Europa ha applaudito la nomina di Gianfranco Fini agli Esteri, segno che uno sdoganamento impensabile dieci anni fa si è pienamente compiuto. Mentre i baschi mettono ancora bombe, e i bretoni scadono nel folklore, la Lega governa a Roma con ministri di grande peso politico. Gli italiani che si dichiarano ancora comunisti e i fondamentalisti dell'islam nostrano restano intrattabili, ma sul piano internazionale Berlusconi ha fatto passi da gigante per sdoganare l'ex-comunista Putin e altri colleghi dell'Europa orientale e ora l'ex-fondamentalista Erdogan.
Naturalmente, ogni sdoganamento presuppone il pagamento di un dazio. Fini con la svolta di Fiuggi ha rotto con il fascismo, e con la visita in Israele ha stroncato ogni residuo di antisemitismo travestito da anti-sionismo, perdendo per strada i Rauti e le Mussolini (che faranno perdere qualche collegio nel 2006) ma acquistando grande credibilità internazionale. La Lega ha rinunciato al separatismo. Putin ha promesso democrazia, anche se le difficoltà non mancano.
Erdogan ha attuato una sua «svolta di Fiuggi», rompendo nel 2000 con il suo mentore Erbakan e con il fondamentalismo internazionale, e lanciando una «democrazia conservatrice» di tipo centrista che gli elettori hanno premiato nel 2002 e 2004 con suffragi dieci volte superiori a quelli che ha ottenuto Erbakan.
Naturalmente, Berlusconi sa bene che gli sdoganamenti non si compiono in un giorno. Infatti, il sì europeo che ha ottenuto per la Turchia prevede tempi lunghi e non è un sì senza se e senza ma. Gli esami alla Turchia non saranno fatti però - come avrebbero voluto francesi e tedeschi, e a suo tempo Prodi - sulla sua disponibilità a seguire Chirac in una linea distante dall'America e da Israele, abbandonando il tradizionale atlantismo turco. Si esamineranno i progressi in tema di democrazia, diritti umani e libertà delle minoranze cristiane, rassicurando così una perplessa Santa Sede con cui il governo italiano ha condotto sul tema discrete ma cruciali discussioni.
Se tutto andrà bene, «arriveranno i musulmani» in Europa? Il problema è che ci sono già. Dodici milioni ora, venti nel 2010 con le nuove immigrazioni previste e l'arrivo della Bulgaria che ha la più grande minoranza islamica autoctona europea. È preferibile che questi musulmani europei trovino un leader nella Turchia democratica piuttosto che nell'islam politico francese, inglese o italiano, le cui credenziali democratiche sono assai più dubbie. Berlusconi ne è convinto, altri finiranno per dargli ragione.

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