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Magia e teurgia redentive della qabbalah

di PierLuigi Zoccatelli (il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 3, n. 45, 6 novembre 2004)

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Il dibattito contemporaneo sulle correnti della mistica ebraica - potremmo dire, terza forma principale del pensiero ebraico, accanto alla tradizione rabbinica e a quella filosofica -, che ha peraltro assunto storicamente forme diverse, rivela un debito intellettuale certo per l’ampia indagine e definizione compiuta, a partire dagli anni 1940, dalle opere di Gershom Scholem (1897-1982), secondo il quale nella tensione che percorre ogni religione fra mythos e logos, la tradizione rabbinica opera in senso decisamente anti-mitico. Una prima reazione a questa tradizione è costituita da alcune forme dello gnosticismo, un fenomeno che per Scholem ha origini almeno in parte ebraiche ma nello stesso tempo costituisce una deriva eretica che incorpora elementi non ebraici e porta a costituire una tradizione «straniera» che si pone fuori dell’ebraismo ortodosso. Al contrario, il vero e proprio misticismo ebraico rimane all’interno dell’ortodossia: la qabbalah («ricezione», «tradizione», ossia il complesso delle dottrine esoteriche dell’ebraismo) come si presenta nel Medioevo incorpora, secondo Scholem, elementi del misticismo ebraico tradizionale e altri «stranieri» di derivazione gnostica.

Le tesi di Scholem, esemplarmente descritte in una sterminata bibliografia, e riassuntivamente reperibili in volumi dal grande impatto culturale (si vedano: Le grandi correnti della mistica ebraica, trad. it., Einaudi, Torino 1993; Le origini della kabbalà, trad. it., EDB, Bologna 1990; e La kabbalah e il suo simbolismo, trad. it., Einaudi, Torino 2001) sono state in anni recenti rimesse in discussione soprattutto a opera di Moshe Idel - professore di Pensiero ebraico alla Hebrew University di Gerusalemme e Senior Researcher presso lo Shalom Hartman Institute di Gerusalemme -, il quale ha fondato la gestazione della sua prospettiva attraverso approfondite indagini dell’opera del grande cabbalista aragonese del XIII secolo Avraham Abulafia, alla qabbalah italiana in età rinascimentale, ai rapporti tra misticismo e hassidismo e alla tradizione del golem. Secondo Moshe Idel, gli elementi gnostici che influenzano la qabbalah non sono «stranieri», ma sono al contrario quegli stessi elementi ebraici che già avevano esercitato la loro influenza sullo gnosticismo.

Mistici messianici (Adelphi, Milano 2004, 600 pp., euro 55,00), ottimamente tradotto da Fabrizio Lelli dell’Università di Lecce, può essere considerato solida integrazione e ampio sviluppo rispetto allo studio più celebre di Moshe Idel (Cabbalà. Nuove prospettive, trad. it., Giuntina, Firenze 1996), ove pure l’autore affrontava solo incidentalmente la fenomenologia del messianismo, e si propone di proseguire l’interpretazione della mistica ebraica secondo la metodologia che ha trovato una più completa espressione nel suo Hasidism: Between Ecstasy and Magic (SUNY Press, Albany [N.Y.] 1995). Quest’ultima fatica editoriale - che non abbiamo dubbi, costituirà una pietra di paragone negli studi del settore nei decenni a venire - considera le dimensioni teosofico-teurgiche e magiche degli atti redentivi nella qabbalah sulla base di una distinzione su tre livelli dei modelli principali di attività redentiva, ricostruendo con incomparabile dottrina e ricchezza di dettagli la sotterranea continuità del misticismo messianico (dalla «qabbalah estatica» medievale sino alla modernità matura dei Hassidim e Lubavitch): il modello mistico, essenzialmente estatico, concentato nell’itinerario di perfezione; quello teosofico-teurgico, rappresentato dalla qabbalah castigliana del XIII secolo, fondato sull’adempimento dei comandamenti; quello magico-cabbalistico, sviluppatosi a partire dal XV secolo, insieme di tecniche e pratiche finalizzate a causare un mutamento radicale nell’ordine naturale.

Un volume, come ricorda Moshe Idel nella prefazione all’edizione italiana del testo, che ha stretti legami con eventi che ebbero luogo sul suolo italiano: dalle opere composte nel XIII secolo a Roma e Messina, alle complesse relazioni fra le aspettative messianiche nell’Italia cinquecentesca e le speculazioni sull’avvento del Messia dei cabbalisti attivi all’epoca a Safed, in terra d’Israele, al possibile contributo delle idee rinascimentali sulla melancolia per l’interpretazione della nascita, nel XVII secolo, del movimento sabbatiano: sempre sottolineando, nel corso delle pagine, il posto particolare che Roma occupò nell’immaginario messianico dei cabbalisti ebrei.

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