CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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Laurence R. Iannaccone e Massimo Introvigne, Il Mercato dei Martiri. L’industria del terrorismo suicida, Lindau, Torino 2004, pp.  160, €14,00

di Andrea Menegotto (Cristianità, anno XXXIII, n. 329, maggio-giugno 2005)

Laurence R. Iannaccone, dopo aver insegnato alla Hoover Institution di Stanford e alla Santa Clara University, è oggi professore ordinario di Economia alla George Mason University di Fairfax, in Virginia, dove tiene un corso di Economia della Religione. Diversi suoi saggi, apparsi su riviste di economia e di sociologia, hanno dato un contributo decisivo alla teoria sociologica detta dell’economia religiosa, che interpreta la concorrenza fra le religioni servendosi di strumenti tratti dalle scienze economiche e della metafora del mercato religioso.

Massimo Introvigne è fondatore e direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, e membro del gruppo «Religioni» dell’Associazione Italiana di Sociologia. È autore di oltre trenta volumi e di oltre cento articoli in materia di religioni contemporanee, molti dei quali dedicati ai nuovi movimenti religiosi, al fondamentalismo e al terrorismo di matrice religiosa. È stato fra i primi a far conoscere in Italia la teoria sociologica dell’economia religiosa, insieme al padre della quale, Rodney Stark, ha pubblicato Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2003; su cui cfr. la recensione di PierLuigi Zoccatelli, in Cristianità, anno XXXI, n. 319, settembre-ottobre 2003, pp. 21-23), seguito da Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2004; su cui cfr. la recensione dello stesso Zoccatelli, in Cristianità, anno XXXII, n. 323, maggio-giugno 2004, pp. 19-21), che applica le medesime categorie al tema degli estremismi religiosi.

I due studiosi sono coautori dell’opera Il Mercato dei Martiri. L’industria del terrorismo suicida, uno studio che cerca sostanzialmente di rispondere alla domanda: è possibile una sociologia del terrorismo suicida?

Secondo Iannaccone e Introvigne, la soluzione al quesito è positiva e la via metodologica da loro intrapresa consiste nell’applicare al terrorismo i risultati di anni di ricerche in materia sia di uso di modelli economici per interpretare scenari religiosi sia di estremismo religioso riferito, in particolare, alle cosiddette «sètte». Da questa impostazione deriva necessariamente un consistente apparato bibliografico (pp. 143-149), che fa stato dei precedenti studi di entrambi gli autori e della principale letteratura in ambito accademico circa le questioni affrontate.

L’opera si apre con un’Introduzione (pp. 5-12), in cui gli autori, constatando che «del terrorismo suicida si sono finora occupati soprattutto gli esperti di terrorismo in generale, e qualche volta gli storici dell’islam» (p. 5), chiariscono da subito la loro impostazione di fondo: «Questo studio si pone dal punto di vista della teoria dell’economia religiosa» (ibidem), teoria che — per mutuare la stessa immagine utilizzata dagli autori — «[...] cammina, per così dire, su tre gambe» (ibidem). Anzitutto, andando oltre la teoria di derivazione marxista — la quale però svolge ancora una grande influenza — per cui i fenomeni religiosi sono riconducibili solamente a «sovrastruttura» rispetto alle vere motivazioni di un fenomeno sociale, nell’opera si afferma che, «[...] nell’interpretazione dei comportamenti che si presentano come religiosi, le cause religiose sono di primaria importanza» (p. 6). In secondo luogo, come mostra il succitato contributo dello stesso Introvigne con Stark, Dio è tornato, «[...] i processi di modernizzazione non sono affatto incompatibili con una continua e vigorosa presenza sia di credenze, sia di pratiche religiose» (ibidem). Infine, ancora conformemente alla teoria dell’economia religiosa, va rilevato che «la domanda religiosa si distribuisce in nicchie che radunano gruppi di consumatori secondo le caratteristiche sociali e demografiche, ma anche secondo i gusti e le preferenze» (p. 9). Tali nicchie tendono a rimanere costanti nel tempo e non sono di uguali dimensioni; anche se può apparire sorprendente le nicchie più strict, ovvero quelle che richiedono maggiori impegni e sacrifici, hanno un grado di prosperità superiore a quelle meno «costose», anche se, naturalmente, «la nicchia ultra-fondamentalista è relativamente piccola, perché le persone disposte a pagare prezzi altissimi per un’esperienza religiosa molto intensa sono poche. Ma il fatto che siano poche non vuol dire che non esistano» (p. 11). Così lo studio «[...] esamina precisamente la presenza di una piccola nicchia di domanda di esperienze religiose estreme, e studia come questa domanda incontri una specifica offerta di estremismo» (ibidem).

Nel primo capitolo, La domanda di estremismo religioso (pp. 15-61), gli autori si concentrano allora sullo studio della domanda stessa, facendo tesoro di decenni di ricerche accademiche in tema di sociologia dei «nuovi movimenti religiosi», laddove, di fronte alla scelta di comportamenti «strani» o «bizzarri» nonché di alcuni atteggiamenti che hanno portato a gesti estremi quali omicidi o suicidi di massa, si sono invocate risposte tese alla ricerca sull’oggettiva «anormalità» dei personaggi coinvolti. In questo modo, per spiegare l’adesione a un «nuovo movimento religioso», particolarmente nel trentennio 1960-1980, si sono giocate espressioni quali: disagio, povertà, mancanza d’intelligenza ed educazione, malattie mentali; oppure, attribuendo ai movimenti una serie di misfatti a danno di chi poi ne entrava a far parte come membro: pressione sociale, inganno, manipolazione mentale — lavaggio del cervello —, dipendenza, odio, auto-inganno, sesso, droga, costrizione, minacce, violenza. Se i mass media, soprattutto europei, tendono talora a credere a questi stereotipi, una mole di letteratura scientifica mostra che chi sosteneva queste tesi era completamente fuori strada. Rimarcando il fatto che quasi tutte le costanti di comportamento individuate a proposito della conversione a un «nuovo movimento religioso» possono «[...] essere estese dalle “sette” ai gruppi religiosi ultra-fondamentalisti che commettono atti di terrorismo» (p. 48), Iannaccone e Introvigne sottolineano in particolare alcuni aspetti rilevanti: uno studio serio dei processi di conversione porta a ritenere come sia la quasi assoluta «normalità» a essere la regola per i convertiti a un «nuovo movimento religioso» o per le reclute del terrorismo suicida, giocandosi in ogni caso interazioni sociali che vedono lo stringersi di legami fra il convertito e i membri del gruppo più forti rispetto a quelli con i non membri, che di fatto favoriscono il difficile — e raro — processo di conversione. Inoltre, il proselitismo è un «[...] processo che comprende reiterate interazioni sociali, e i convertiti partecipano in modo ampio e volontario alla loro stessa conversione» (p. 49). I terroristi suicidi non sono dunque poveri, squilibrati o emarginati, ma persone che da molti punti di vista si possono considerare del tutto «normali». Il capitolo si chiude con alcune considerazioni circa la domanda di esperienze religiose estreme: «C’è una nicchia nella nicchia ultra-fondamentalista composta di persone che cercano esperienze così radicali da essere potenzialmente interessate anche al terrorismo suicida» (p. 54). Se da un lato è vero che le persone razionali non sacrificano facilmente la vita, è pur vero che alcuni sono disposti a pagare prezzi elevatissimi per ottenere gli scopi che si prefiggono. Così, «sul versante degli ideali socialmente condivisi, la maggioranza della popolazione si dichiara disposta a morire per i valori in cui crede più profondamente; una minoranza significativa probabilmente lo pensa davvero, e alcuni lo fanno» (p. 55). D’altra parte, la vita militare mostra come anche nelle nostre società vi sono persone addestrate in modo del tutto legale a uccidere e a morire per cause lontane dal semplice guadagno economico. Ragionando in termini di costi e benefici, «un attore razionale valuterà i benefici netti tenendo conto dei costi, che comprendono il dolore e la sofferenza fisici, i costi per i familiari, il rischio di fallimento [...]. Il risultato del calcolo rimane comunque, nella mente del terrorista, positivo, ed è per questo che decide di morire» (p. 58). Oltretutto, dal momento che le misure atte a rendere più difficile la realizzazione di attacchi suicidi tendono ad accrescere la fama, l’ammirazione e l’onore di chi riesce comunque ad avere successo, diminuendo la possibilità di successo di un’azione si aumenta il beneficio che il terrorista si aspetta.

Nel secondo capitolo, L’offerta: economia dell’impresa terrorista (pp. 63-94), gli autori dichiarano: «Cercheremo ora di porci dal lato dell’offerta, e ricavare dalle scienze economiche un corpus teorico che integri i fatti e li collochi nella cornice che proponiamo di chiamare “mercato dei martiri”» (p. 63). Quest’ultimo, infatti, si presenta come realtà tipicamente economica, essendo costituito da produzione, consumo, scambio, cooperazione, scelte razionali e concorrenza, anche se l’ambito opportuno in cui comprenderlo e collocarlo rimane quello della teoria dell’economia religiosa e non dei modelli dei cosiddetti mercati atipici sviluppati dagli economisti per studiare fenomeni quali la criminalità organizzata, la guerra civile o la diffusione del suicidio. Secondo tale teoria i gruppi del terrorismo religioso possono essere considerati «[...] come imprese religiose che producono atti di violenza (rivolti contro terzi) e che offrono benefici sia materiali sia sociali e simbolici ai consumatori religiosi» (p. 65) e i loro leader, lungi dall’essere pazzi fanatici e ossessionati, sono in realtà «[...] imprenditori sociali la cui creatività, capacità di “vendere” e doti di management danno forma a una subcultura che evolve attraverso l’interazione dei dirigenti, dei seguaci e dei terzi esterni al movimento» (p. 67). Da questo punto di vista, la moderna teoria dell’azienda — definita «nuova teoria istituzionale» — rappresenta un buon punto di partenza per comprendere le organizzazioni operanti nell’ambito del «mercato dei martiri». Si tratta di organizzazioni complesse, in quanto non basta che si salvaguardino i criteri di efficienza, ma occorre tutelarsi da tutti i rischi esterni come cattura, prigionia ed esecuzione; inoltre, «la “produzione” di terrorismo è il risultato di un lavoro di squadra» (p. 69) e, infine, l’azienda terrorista può anche non riuscire a trovare un modo efficiente per vendere il suo «prodotto». Tuttavia la religione, con il suo contenuto soprannaturale, «[...] opera come risorsa e offre soluzioni a molti dei problemi apparentemente insolubili che le aziende terroriste si trovano ad affrontare (p. 73) e, oltretutto, un gruppo terrorista, collocandosi in una più ampia tradizione religiosa — comunque diversa da quella dei suoi nemici —, riuscirà a riscuotere il sostegno, la simpatia e l’appoggio da parte di chi, pur non essendo terrorista, a quella tradizione appartiene. Nel quadro dello scenario religioso si deve poi notare che, per quanto «certamente non tutti i musulmani sono fondamentalisti e non tutti i musulmani fondamentalisti sono terroristi» (p. 87), nel mondo islamico la domanda di estremismo religioso disposto a percorrere le vie della violenza incontra un’adeguata risposta. Le motivazioni di ciò sono complesse e trovano le loro ragioni sia in ambito storico sia nel dibattito teologico e antropologico interno all’islam. Tuttavia, in via preliminare, occorre notare come quella musulmana non è una religione organizzata verticalmente e gerarchicamente, per cui le stesse opinioni di autorevoli esponenti islamici possono variare anche in tema di terrorismo religioso, il quale, se da alcuni è condannato, presso altri trova invece giustificazione e supporto.

Nel terzo capitolo, Combattere il terrorismo dal lato dell’offerta (pp. 95-103), gli autori forniscono, nella loro ottica, qualche abbozzo per una soluzione al problema dell’estremismo religioso che sfocia nel terrorismo. Poste le premesse di cui al primo capitolo, Iannaccone e Introvigne rimarcano: «[...] emerge con grande chiarezza che migliorare la qualità della vita, lottare contro l’analfabetismo e diffondere la scolarizzazione, ridurre le sacche di povertà, aprire ospedali e servizi psichiatrici efficienti [...] — tutte attività utili, benemerite, e che assicurano altri vantaggi molto importanti — non elimina la domanda di estremismo religioso radicale su cui contano le imprese terroriste» (pp. 95-96). Intervenire sulla domanda — che peraltro rimane piuttosto costante nello spazio e nel tempo — è difficile. Perciò, secondo gli autori, le analisi scientifiche e le strategie anti-terrorismo dovrebbero concentrarsi sull’offerta, per studiare prima e colpire poi le aziende terroriste nella loro struttura imprenditoriale, organizzativa e finanziaria. Restano così fondamentali il lavoro di intelligence e le azioni rivolte a colpire le forme di finanziamento delle imprese terroriste, spesso difficili da identificare. Tuttavia, dal momento che le aziende del terrorismo agiscono sul piano militare, «[...] la risposta non può che essere anche militare» (p. 99). Inoltre, «la risposta politica al terrorismo, distinta e complementare rispetto a quella militare, dovrebbe convincere le aziende terroriste che gli attentati non pagano (p. 100). Infine, occorrerà favorire e rafforzare i diretti concorrenti poiché, «se la domanda di esperienze religiose intense è già stata soddisfatta da altre offerte di tipo non terroristico, non incontrerà l’offerta dei terroristi» (p. 101). A questo proposito oggi si segnala nel mondo islamico una domanda di conservatorismo religioso che ispira le strutture politiche e che si configura come «terza via» fra le due strade infelici e opposte — il nazionalismo anti-religioso da un lato e l’ultra-fondamentalismo vicino al terrorismo dall’altro —, intraprese in passato dal mondo islamico.

L’interessante Appendice, Un verdetto islamico sulla legittimità delle operazioni di martirio. Hawa Barayev: suicidio o martirio? (pp. 105-142), riporta la fatwâ che giustifica l’attentato suicida compiuto il 9 giugno 2000 dalla terrorista cecena Hawa Barayev e ha come destinatario l’eventuale candidato al terrorismo suicida, che manifesti problemi di carattere morale e scrupoli circa la liceità di un attentato secondo la dottrina islamica, conferma «dal vivo» molti elementi emersi nel corso dell’opera.

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