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Ora Mosca teme la minaccia di un "califfato del Caucaso"

di Massimo Introvigne (il Giornale, 10 marzo 2005)

Perché è stato ucciso il leader indipendentista ceceno Aslan Maskhadov, e che cosa succederà dopo la sua morte? Alla prima domanda si può rispondere rileggendo un comunicato di Maskhadov che risale agli inizi della settimana scorsa, dove afferma di avere mutato una sua vecchia opinione secondo cui la guerriglia cecena deve operare solo in territorio ceceno. Al contrario, secondo Maskhadov, si entra ora in una fase in cui la causa cecena è strettamente legata a quella di altre tre repubbliche autonome della Federazione Russa dove esiste un’opinione pubblica in maggioranza favorevole all’indipendenza: l’Inguscezia, il Daghestan e la Kabardino-Balkaria, ed è dovere dei guerriglieri ceceni aiutare queste tre resistenze parallele.

La prospettiva delineata da Maskhadov è precisamente quella che allarma di più il Cremlino. La ragione principale per cui l’indipendenza della Cecenia non è considerata un’opzione da Putin – nonostante gli almeno centomila morti e le ricadute in politica interna – non è, come si legge spesso, la presenza di importanti oleodotti, ma l’effetto domino che spingerebbe molte altre repubbliche autonome a chiedere l’indipendenza, facendo fare alla Federazione Russa la fine che fu dell’Unione Sovietica nel 1991. E non c’è dubbio che le pulsioni indipendentiste siano particolarmente forti nelle repubbliche a maggioranza islamica a cominciare dall’Inguscezia, da cui veniva la maggioranza dei terroristi della strage dei bambini a Beslan, e dal Daghestan, dove c’è il petrolio e non solo gli oleodotti.

Maskhadov, poco protetto e obiettivo assai più facile da colpire di altri leader indipendentisti come il ben più potente Shamil Basaev, doveva la sua sopravvivenza ai canali di contatto sotterranei che manteneva con Mosca e al suo persistente rifiuto di allearsi con il separatismo islamico di repubbliche diverse dalla Cecenia. Appena ha cambiato la sua posizione sul punto, è stato eliminato. Quanto ancora contava, tuttavia, Maskhadov?

Sul piano militare, quasi nulla: la maggioranza dei comandanti sul terreno ceceno, quasi tutti ultra-fondamentalisti islamici, ormai non si fidava più di questo laico ex-comunista e seguiva il più radicale Basaev che ha preso il nome del fiero capo della guerriglia islamica anti-zarista nella Cecenia del XIX secolo, Shamil. Sul piano politico, poco: come altrove, anche in Cecenia – qualunque cosa ne pensi qualche “amico della Cecenia” italiano – sono ormai le forze dell’islam politico, nelle sue varie sfumature (non tutte radicali), a godere del consenso della maggioranza della popolazione, e l’opzione separatista ma laica di Maskhadov aveva fatto il suo tempo. Lo stesso comunicato della settimana scorsa mostrava un Maskhadov ormai all’inseguimento di un’opinione cecena sedotta più dal sogno radicale del grande califfato del Caucaso che da soluzioni negoziate alla chetichella con Mosca.

Certo, l’uccisione di Maskhadov rafforza ulteriormente l’islam politico, togliendo ai laici il loro capo storico. Ma, decidendo di eliminarlo, il Cremlino ha tenuto conto sia della oggettiva debolezza dell’opzione laica, sia del fatto che un Maskhadov ormai subalterno agli ultra-fondamentalisti rischiava di legittimarne le posizioni soprattutto agli occhi degli osservatori internazionali. Dopo Maskhadov, in Cecenia cambia dunque poco: anche se Basaev e i suoi, che non lo amavano, lo stanno già celebrando come martire e promettono nuove stragi per vendicarlo.

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