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La pista venezuelana che mira agli USA

di Massimo Introvigne (il Domenicale, Settimanale di cultura, anno 4, numero 17, 23 aprile 2005)

Dopo la firma avvenuta in marzo a Caracas di una ventina di trattati di cooperazione fra l’Iran e il regime del presidente venezuelano Hugo Chavez, preoccupa ora gli Stati Uniti un accordo ratificato ai primi di aprile con la Russia, che fornirà al Venezuela 100mila kalashnikov AK-47. L’accordo è stato denunciato a Brasilia dal Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e dallo stesso presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, che pure ha buoni rapporti con il Venezuela socialista di Chavez, peraltro oggi vicinissimo a Fidel Castro. Proprio Castro negli ultimi mesi ha preso le distanze dall’Iran e ha fatto smantellare le apparecchiature installate presso l’ambasciata iraniana a L’Avana, destinate a disturbare la televisione degli esuli iraniani che da Los Angeles trasmette verso Teheran. Ora si teme che ricompaiano a Caracas, dopo le dichiarazioni di Chavez sul “diritto di Teheran alla bomba atomica”. Il sostegno del leader di un Paese occidentale e cattolico a tre ore di volo da Miami non è solo un bel colpo propagandistico per gli ayatollah iraniani. Teheran ha anche bisogno di basi per una rete di agenti segreti che ha da tempo sostituito quella sovietica come la più capillare presenza d’intelligence ostile agli USA nel continente americano. Fino a due anni fa gli agenti iraniani ripercorrevano strade già battute dagli agenti libici del colonnello Muhammar Gheddafi. Ma oggi la Libia ha promesso di cambiare rotta: i suoi agenti si ritirano, o addirittura collaborano con gli americani. Questi ultimi vorrebbero guardare più da vicino l’area dove è in costruzione in Venezuela, quella che è stata presentata come una fabbrica di trattori chiamata Veniran, la quale dovrebbe impiegare tecnologia cinese, dirigenti iraniani e mano d’opera venezuelana. Gl’israeliani hanno allertato Washington sulla possibilità – per loro quasi una certezza – che la Veniran, di cui l’agricoltura venezuelana non ha bisogno, sia in realtà una copertura per far viaggiare fra Caracas e Teheran decine di agenti dei servizi iraniani, e per trasferire in America Latina – in container che li presenteranno come pezzi per trattori – armi e munizioni per vari gruppi insurrezionalisti sudamericani, a partire da quelli colombiani. D’altro canto, i 100mila kalashnikov russi, armi particolarmente adatte ai guerriglieri e ai terroristi, si aggiungono ad altrettanti fucili simili che saranno forniti dall’Iran. Sembra che siano fabbricati nella Corea del Nord, a riprova che gli “Stati canaglia” denunciati come tali dal presidente George W. Bush collaborano tra loro al di là delle ideologie. L’Iran non si interessa all’America Latina per caso. In Argentina, Uruguay e Brasile continua una forte emigrazione da Paesi arabi, in particolare dal Libano, che si aggiunge a un’antica presenza musulmana. Molti dei nuovi emigranti libanesi sono sciiti e gli Hezbollah – nella loro veste di partito politico rappresentato nel parlamento libanese, e desideroso di assicurare il benessere dell’emigrazione sciita – hanno aperto uffici e gruppi in tutti questi Paesi latino-americani, nonostante l’opposizione degli USA. L’ex-ministro degli Esteri e “falco” del regime di Teheran, Ali Akbar Velayati, già artefice di analogo programma per i Balcani, è indicato come l’architetto del progetto Sud-America iraniano. Un progetto che sfrutta le bizzarrie anti-americane di Chavez e la voglia di vendere armi di Vladimir Putin, ma che minaccia gli USA da vicino.

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