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Plagiati per legge

di Massimo Introvigne (il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 4, n. 28, 9 luglio 2005)

Il Senato italiano sta per approvare un progetto di legge che vuole punire le “pratiche di condizionamento della personalità”, cioè la manipolazione mentale o lavaggio del cervello, con un’aggravante se queste pratiche sono poste in essere da gruppi che “sfruttano la dipendenza psicologica” delle persone, le cosiddette “sette”. La stragrande maggioranza del mondo accademico che studia le religioni minoritarie è contraria a questa legge. Un appello in questo senso è stato sottoscritto da quaranta studiosi, fra cui si contano i più noti specialisti italiani e i presidenti o segretari delle maggiori organizzazioni internazionali che riuniscono i sociologi e gli storici delle religioni.

Perché – ci si potrebbe chiedere – si dovrebbe credere agli studiosi accademici e non alle “vittime delle sette”, che in gran numero si sono fatte sentire per appoggiare il progetto di legge? Per diversi buoni motivi. Nessuno si farebbe un’idea della Chiesa cattolica sentendo soltanto gli ex preti che hanno lasciato il sacerdozio, o di un divorziato fidandosi solo dell’opinione della ex-moglie. Inoltre, le cosiddette “sette” funzionano come porte girevoli: molti entrano, ma molti escono. Gli ex-membri di movimenti religiosi controversi sono milioni. Le centinaia che protestano non costituiscono dunque un campione rappresentativo. Studi scientifici dimostrano che anche nei gruppi più discussi oltre l’85% degli ex membri non assume una posizione militante ostile al movimento che ha lasciato, ma rifluisce semplicemente nella vita sociale ordinaria, riconoscendo quando è intervistato aspetti positivi e negativi della sua passata esperienza. Il campione di coloro che protestano è autoselezionato: sono solo loro, e non la grande maggioranza di ex membri schierata su posizioni diverse, a farsi sentire, inviare e-mail, contattare parlamentari. Peggio, il campione è selezionato da associazioni “antisette” che hanno una loro precisa agenda.

Dai maghi televisivi truffatori alle Bestie di Satana, certamente i crimini esistono. Ma in questi casi siamo in presenza di reati ovvi, già previsti e puniti dal Codice penale: omicidi, violenze, truffe, circonvenzione. Infatti i tribunali hanno condannato i responsabili senza bisogno di una legge sulla manipolazione mentale. Anzi, sarebbe stato assai più difficile condannare le Bestie di Satana o questo o quel truffatore con un’imputazione vaga di “condizionamento della personalità” che non per reati molto concreti e precisi come l’omicidio, la violenza carnale o la truffa. Ci sono più condanne di santoni, maghi e presunti guru colpevoli di reati comuni in Germania e Svizzera – dove non esistono leggi contro la manipolazione mentale, anzi commissioni nominate dai parlamenti di quei Paesi hanno raccomandato di non adottarle – che non in Francia e in Spagna, dove rispettivamente dal 2001 e dal 1994 sono state introdotte norme simili a quella che si vuole introdurre in Italia, ma le condanne sono state rarissime.

Qualcuno potrebbe obiettare che, se l’esperienza straniera dimostra che le condanne sono rare, anche i pericoli per la libertà religiosa non sono poi così gravi. Tuttavia, le leggi che creano reati vagamente definiti sono mine vaganti in balia del clima culturale dominante. Possono essere usate contro qualunque gruppo impopolare. Spesso sono forti con i deboli e deboli con i forti. In Spagna e in Francia sono state applicate contro gruppi piccolissimi e non in grado di permettersi grandi avvocati, mentre maghi a pagamento miliardari e gruppi più grandi e meglio difesi sono sfuggiti a ogni imputazione.

I promotori di questa legge assicurano di voler colpire solo le “sette” e non le “religioni” genuine. Ma la nozione di “setta” è a sua volta ambigua. Nella sociologia delle religioni nasce per identificare un gruppo religioso dove la maggioranza dei membri non è nata, ma vi ha aderito in età adulta. Secondo questa nozione il cristianesimo delle origini era una “setta”, che è poi diventata “Chiesa” dopo un paio di secoli. La nozione non comportava nessun giudizio di valore negativo, ma oggi non è più così. “Setta” è nell’accezione comune un gruppo “pericoloso”. Ma si può intendere come “setta pericolosa” un gruppo che commette reati previsti dal diritto comune (omicidi, truffe, violenze). Oppure si può dire che “setta” è chi diffonde idee e pratiche talmente assurde che soltanto tramite la “manipolazione mentale” qualcuno può essere indotto all’adesione. Qui scatta il pericolo per la libertà religiosa, perché quali idee siano “assurde” può essere diversamente valutato a seconda dei pregiudizi ideologici di chi giudica. La proposta di legge parla di persuasione a compiere atti “gravemente pregiudizievoli”. Ma in base a quali criteri un atto è definito “pregiudizievole”? Per un laicista, l’atto della suora di Madre Teresa di Calcutta che rischia la vita per assistere un malato contagioso terminale in India, che morirà comunque, è certo “gravemente pregiudizievole”. E infatti non è mancata una letteratura che a suo tempo ha accusato Madre Teresa di praticare il “lavaggio del cervello”.

Certo, non tutti sono Madre Teresa: c’è chi si proclama Dio Padre Onnipotente per estorcere milioni ai seguaci o violentarli. Qui occorre però una distinzione rigorosa, che va al cuore del tema della libertà di religione e di opinione. Se qualcuno truffa, ammazza o violenta le persone non può nascondersi dietro lo scudo della libertà religiosa per sfuggire alla puntuale applicazione delle leggi sulla truffa o sui diversi tipi di atti violenti. Queste leggi ci sono già. Chi vuole introdurre il reato di manipolazione mentale vuole colpire chi non truffa, violenta o uccide nessuno, ma induce i suoi seguaci a credere a dottrine che i promotori della legge considerano tanto assurde da potere essere abbracciate solo a causa di un “lavaggio del cervello”. A queste dottrine – come altri fanno per altre che invece sono socialmente approvate – i seguaci doneranno importanti somme di denaro, gran parte del loro tempo o magari tutta la loro vita. Chi fino a ieri era un professionista o una studentessa da domani condurrà una vita monastica o missionaria in condizioni di grande disagio. Il problema è come decidere quali di queste scelte sono “assurde” – quindi spiegabili solo con il “lavaggio del cervello” – e quali invece “normali”. Molti sarebbero d’accordo con l’affermare che la scelta delle suore di Madre Teresa è accettabile e anzi sublime, e quella di chi va a vivere in India come missionario di un santone accusato di pedofilia è “assurda”. Ma non tutti. Madre Teresa, come si è visto, fu accusata di praticare il lavaggio del cervello, e il santone ha i suoi difensori che assicurano che è ingiustamente calunniato. Vogliamo veramente trasformare i giudici in teologi e fare decidere da loro quali dottrine sono “assurde” e quali “normali”?

In teoria, la legge non si occupa delle dottrine. Condanna solo le tecniche di condizionamento della personalita. Ma in pratica quali scelte siano “libere” e quali siano frutto di “pratiche di condizionamento della personalità” non può essere valutato a priori, ma solo a posteriori esaminando le scelte stesse. Se la scelta è giudicata accettabile da chi è chiamato a giudicare, si dirà che è libera; se è considerata inaccettabile, si dirà che deriva da un “condizionamento della personalità”.

Decenni di studi accademici mostrano che non c’è una nozione oggettiva di “condizionamento della personalità”, che si può definire prescindendo dalle dottrine. Il tema nasce storicamente da un problema che si poneva agli studiosi tedeschi, molti dei quali erano marxisti, al momento dell’ascesa al potere di Adolf Hitler. Com’era possibile che non solo – come avrebbe previsto il loro marxismo un po’ rigido – i borghesi, ma anche molti “proletari” diventassero nazionalsocialisti?

Utilizzando la nascente psicoanalisi, e combinandola con alcuni elementi della critica marxista della cultura, alcuni rispondevano che i “proletari” non diventavano nazisti liberamente, ma erano vittima di una manipolazione mentale da parte dei “pifferai magici” di quell’ideologia. Dopo la guerra, e dopo che molti di questi studiosi tedeschi si erano trasferiti negli Stati Uniti, la stessa teoria fu applicata al comunismo. Il comunismo – si disse – è una dottrina talmente assurda che nessuno potrebbe abbracciarla liberamente; chi lo fa è vittima delle tecniche inventate in Unione Sovietica e in Cina di “lavaggio del cervello”, un’espressione coniata nel 1950 dall’agente della CIA Edward Hunter (1902-1978). Verso la fine della Guerra fredda, il tema del “lavaggio del cervello” fu ripreso da psichiatri e psicologi ostili alla religione per attaccare il fervore religioso in genere: i primi attacchi furono portati contro i protestanti evangelical e i cattolici dallo psichiatra laicista inglese William W. Sargant (1907-1988). Lo schema era lo stesso: certe idee religiose sono così “assurde” che l’adesione si spiega solo con il lavaggio del cervello. Più tardi, rendendosi conto che l’attacco alla religione in genere mirava a un bersaglio troppo grosso, fu soprattutto la controversa psicologa americana Margaret T. Singer (1921-2003) a restringerne l’applicazione alle “sette”. Ma rimaneva il ragionamento circolare: quali gruppi sono “sette”? Quelli che praticano il “lavaggio del cervello”. Come sappiamo che praticano il “lavaggio del cervello”? Perché sono “sette”, cioè le loro idee e pratiche sono così bizzarre da non essere spiegabili con un’adesione libera.

Di questa legge si preoccupano le minoranze religiose. Ma non hanno torto a inquietarsi anche ambienti cattolici. Per alcuni, tanto più in un certo clima culturale dove ritornano scontri e anticlericalismi, anche la scelta di dedicare la propria vita, o di donare forti somme di denaro, a un’organizzazione cattolica giudicata eccessivamente “rigorosa” per il clima culturale dominante può apparire “assurda” e tale da implicare necessariamente una manipolazione mentale. L’esperienza straniera insegna: gruppi come l’Opus Dei, i Legionari di Cristo, o il Rinnovamento nello Spirito, sono stati fra i più accusati dai movimenti antisette in Francia, in Spagna e altrove di praticare il “condizionamento della personalità”. Nella nostra memoria collettiva la sentenza della Corte Costituzionale del 1981 che ha eliminato il reato di plagio è collegata al caso del filosofo comunista Aldo Braibanti. Ma in realtà la sentenza non è intervenuta sul caso Braibanti, ma su quello del sacerdote cattolico carismatico don Emilio Grasso, accusato da alcuni genitori di “plagiare” i figli. Alla fine degli anni Settanta un fervore cattolico di tipo carismatico poteva apparire “assurdo”, tipico frutto del “lavaggio del cervello”. Oggi i carismatici cattolici nel mondo sono sessanta milioni.

Si dice che la sentenza del 1981 della Corte Costituzionale che ha abolito il plagio ha lasciato un vuoto legislativo. Ma non è così: la sentenza del 1981 – basta leggerla – non ha criticato quella legislazione sul plagio invitando il parlamento ad approvarne un’altra, ma ha sostenuto che il “plagio”, così come veniva inteso allora ed è inteso oggi dai sostenitori del disegno di legge, è un reato immaginario, un escamotage per proscrivere idee impopolari o sgradite. Non potendo per ovvie ragioni costituzionali attaccare le idee, si afferma che idee così strane possono raccogliere aderenti solo grazie al “plagio” o al “lavaggio del cervello”, e si dice che sono queste tecniche – non le idee – che si vogliono incriminare. La Corte Costituzionale aveva bene inteso nel 1981 che si trattava, però, di un modo indiretto di incriminare le idee. Le sue argomentazioni rimangono perfettamente valide oggi, e dovrebbero indurre chiunque abbia a cuore la libertà a schierarsi contro qualunque tentativo di reintrodurre il plagio nella nostra legislazione.