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Daghestan. Il sogno degli Avari

di Massimo Introvigne (L'Indipendente, 31 agosto 2005)

Mentre Vladimir Putin continua a puntare su Silvio Berlusconi come garante per entrare nel salotto buono delle democrazie occidentali, l’incontro a Soci fra il premier russo e quello italiano è turbato dalle notizie che giungono dal Daghestan: un nome che non è ancora familiare agli occidentali come quello della Cecenia, ma rischia di diventarlo presto. L’attentato a una linea  ferroviaria è solo l’ultimo di una serie di segnali inquietanti che giungono da questa repubblica musulmana della Federazione Russa situata a Oriente della Cecenia e che confina con Georgia, Azerbaijian e Armenia. Certo il sociologo Boris Kagarlitsky, un oppositore da sinistra del governo Putin, esagera, quando afferma che “se esplode il Daghestan, la Cecenia al confronto sembrerà una barzelletta”, ma alcuni elementi geografici e storici sono inquietanti. Il Daghestan è tre volte più grande della Cecenia, e ha il doppio degli abitanti. È un mosaico di oltre quaranta etnie: maggioritaria (cinquecentomila persone) è quella degli Avari, un popolo noto alle nostre cronache medioevali perché, migrando dall’Asia Centrale, invase anche l’Italia e si scontrò con i Longobardi, prima di essere definitivamente sconfitto da Carlo Magno e sospinto di nuovo verso Est. Ma ci sono anche tatari, russi, ceceni e una minoranza di ebrei.

L’Avaria, il regno degli Avari nel frattempo convertiti all’islam, per mille anni alterna periodi di dipendenza ad altri di dominio ottomano o persiano finché, nel XIX secolo, cade vittima del “colonialismo via terra” della Russia che conquista e ingloba uno dopo l’altro gli Stati del Caucaso e dell’Asia Centrale. È però l’Avaria, sotto il nome musulmano di Daghestan, a combattere la più lunga guerriglia contro il colonialismo russo sotto la guida del leggendario Shamil (1797-1871), un predicatore guerriero legato alle confraternite sufi) che tiene impegnate le truppe di Mosca dal 1817 al 1858. L’epopea di Shamil ispira romanzi perfino nella lontana Francia. Quando lo catturano, i russi si limitano a mandarlo al confino per dieci anni nella città di Kaluga, quindi gli permettono di andare a concludere la sua  lunga vita nelle città sante della Mecca e di Medina, dove muore nel 1871.

È nel nome di Shamil, venerato come un santo musulmano – e fatto passare per ceceno, mentre si è sempre vantato della sua discendenza dagli antichi guerrieri Avari – che scoppia la guerriglia cecena dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nel 1999 c’è anche una “guerra del Daghestan”, che è però nella sostanza uno scontro fra truppe russe e guerriglieri ceceni guidati da Shamil Basayev e passati nel Daghestan. Per complesse ragioni storiche ed etniche, molti daghestani diffidano dei ceceni, e alcuni anzi si schierano con i russi.

Dal 1999 al 2005 tuttavia molte cose sono cambiate. Le istituzioni islamiche si sono rafforzate grazie a denaro e propaganda che vengono dall’Arabia Saudita – la cui ostilità al sufismo pone peraltro problemi in un Daghestan molto legato alle confraternite – mentre più recentemente si è manifestata una crescente presenza di Al Qaida.

Se fino al 2004 gli incidenti derivano da sconfinamenti di guerriglieri ceceni – che talora, a differenza del 1999, raccolgono una solidarietà islamica tra la popolazione – dal 2005 si può parlare di una vera e propria insurrezione separatista del Daghestan, diretta da elementi locali, del tutto autonoma rispetto alla Cecenia e che sogna la ricostruzione dell’antico regno degli Avari sotto forma di repubblica islamica.

L’assassinio del vice-ministro degli Interni Magomed Omarov il 2 febbraio 2005 è l’inizio di uno stillicidio di attentati che negli ultimi due mesi hanno fatto una ventina di vittime fra ufficiali e soldati russi. L’attacco alle infrastrutture, linee ferroviarie comprese, non è un buon segno: così cominciò a suo tempo anche l’inferno ceceno.