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Dalla lontana Malesia due prove dell’esistenza dell’islam moderato

di Massimo Introvigne (il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 4, n. 36, 3 settembre 2005)

L’islam moderato esiste? Pongo il quesito – che in Italia divide, per esempio, Oriana Fallaci da Magdi Allam – ad accademici, uomini politici e giornalisti a Kuala Lumpur, capitale della Malaysia, metropoli postmoderna e centro di un paese islamico che vanta la dodicesima economia mondiale.

Qui la maggioranza malese (60%) convive con minoranze cinesi e indiane sovrarappresentate negli affari e nelle professioni, tanto che il partito da sempre al governo, l’Unione Nazionale Malese (UNMO), basa la propria politica su quote che dovrebbero riequilibrare la situazione, permettendo ai malesi di beneficiare per primi delle ricchezze che derivano dal petrolio. Tra i malesi etnici, rivale storico dell’UNMO è il Partito Islamico della Malaysia (PAS), la cui classe dirigente è legata all’islam politico dei Fratelli Musulmani e riproduce nel Paese il classico scontro fra nazionalisti e fondamentalisti. Mahathir Mohammad, che domina la politica malese e l’UNMO per oltre vent’anni fino al 2003, non può però essere definito un nazionalista “laico”. Si considera un “musulmano moderno”, nemico del fondamentalismo, ma difensore dell’islam in campo internazionale, dove tuona spesso contro Israele. La sua assicurazione contro una vittoria elettorale del PAS è per anni il viceprimo ministro Anwar Ibrahim, che supera in radicalismo lo stesso PAS e la cui presenza al governo rassicura gli attivisti islamici.

 

Meglio esoterici che fanatici

Senonché, timoroso di essere scalzato dal popolare Ibrahim, Mahathir nel 1998 lo fa arrestare con l’accusa di essere omosessuale (il che in Malaysia è un reato) e condannare a nove anni di carcere: sarà riabilitato dalla Corte Suprema e liberato solo nel 2004. Ne seguono tumulti e nel 1999 elezioni, dove Mahathir salva una risicata maggioranza ma una coalizione di oppositori dominata dal PAS, che si allea con le minoranze etniche, raggiunge il 44%.

Nel 2003 Mahathir – sempre più attaccato dalle autorità religiose come laicista – decide di ritirarsi e di cedere il posto di primo ministro ad Abdullah Ahmad Badawi, un devoto musulmano con un curioso interesse per le espressioni esoteriche dell’islam. Il suo programma di “Islam Hadhari” o “civiltà islamica moderna” vuole continuare il sogno di Mahathir che coniuga islam, centri commerciali ultramoderni e grattacieli, ma anche impegnare la Malaysia a spendere una parte dei profitti del petrolio per costruire moschee e centri islamici. Considerata da molti studiosi presuntuosa per la sua pretesa di avere riscoperto un tipo d’islam dimenticato da secoli, la ricetta Badawi piace però agli elettori, che nel 2004, lo premiano con il 64,4% dei voti, riducendo il PAS al 15%.

Il successo di Badawi è una prima prova malese che l’islam moderato esiste. Una seconda è che Badawi non trucca le elezioni, lascia che il PAS vi partecipi e, quando vince a livello locale come avviene regolarmente nello Stato settentrionale di Kelantan, che governi senza troppe interferenze dalla capitale. Sostenitori e avversari del primo ministro sono d’accordo nel criticare i Mubarak, gli Abu Mazen e i Musharraf che rimandano le elezioni o escludono i fondamentalisti perché hanno paura che vincano. I fondamentalisti – in Malaysia come altrove – devono potere partecipare a elezioni libere. Dove questo avviene – e dove l’alternativa non è il laicismo, ma un islam “diverso”, conservatore come nella Turchia di Erdogan o magari vagamente esoterico alla Badawi – i fondamentalisti sono di solito sconfitti dal verdetto delle urne.