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Le due marce di Hong Kong

di Massimo Introvigne (L'Indipendente, 22 dicembre 2005)

Con la sessione di Hong Kong del Wto, la città tornata dalla Gran Bretagna alla Cina nel 1997 ha visto le prevedibili proteste di contadini coreani, pescatori sudamericani e no global europei. Scene consuete – scontri con la polizia compresi – in occasione di qualunque summit internazionale, e manifestazioni tutt’altro che spontanee. La polizia locale sapeva che organizzazioni internazionali “umanitarie” no global, alcune delle quali generosamente finanziate dall’Unione europea (cioè dai contribuenti europei, italiani compresi), avevano prenotato da mesi tutti i posti sui voli dalla Corea del Sud, e molti su aerei dall’Europa, per portare a Hong Kong manifestanti che certo non avrebbero potuto pagarsi il biglietto da soli.

Prima che il Wto iniziasse c’è stata a Hong Kong un’altra marcia, assai più numerosa (250mila persone per gli organizzatori, 80mila per la polizia, contro i 3mila no global) e certamente più pacifica. Impegnato a Hong Kong in una riunione preparatoria ai lavori del Wto, ho visto personalmente quella che sembrava una scampagnata: famiglie con i bambini, passeggini, venditori di hamburger a manifestanti i quali, consumato il pasto, cercavano diligentemente il più vicino bidone dei rifiuti, senza buttare per terra neppure un pezzo di carta. Questa manifestazione – non finanziata dall’Unione europea e senza casse di risonanza internazionali – ha invece suscitato enorme emozione a Hong Kong, a Taiwan e in Cina.

Hong Kong è uno strano Paese, retto dalla formula “una nazione, due sistemi”, che sulla base di un trattato con la Gran Bretagna gli assicura il permanere di un’economia pienamente capitalista, del sistema giudiziario inglese, della libertà di stampa, di associazione e di religione, e di un sistema rappresentativo sotto forma di una specie di Parlamento eletto da notabili locali e rappresentanti cinesi, con il passaggio al suffragio universale previsto “dopo il 2007”, senza che sia fissata una data precisa.

I manifestanti per la democrazia chiedono appunto una data: il 2008 o il 2012. Ma uno degli slogan più scanditi è “una persona, un voto, un paese”, con la chiara implicazione che forse è meglio avere la democrazia un po’ più tardi, ma estesa a tutta la Cina. Tra i manifestanti ci sono certamente dei cinesi continentali. “Con molti ringraziamenti alla Disney”, mi dice un dimostrante cattolico che incontro in cattedrale. Molti sono venuti infatti dalla Cina ufficialmente per vedere il nuovo parco Hong Kong Disneyland, ma ne hanno approfittato per pregare liberamente sotto il ritratto di Benedetto XVI e per partecipare alla marcia per la democrazia. Del resto, anche le folle immense di cinesi che fanno la coda per entrare nella nuova Disneyland di Hong Kong entrano a modo loro in contatto – al di là del linguaggio poetico delle Biancanevi e delle Cenerentole con gli occhi a mandorla – con una cultura occidentale indissolubilmente legata alla libertà.