CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
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CESNUR 2005 International Conference
June 2-5, 2005 – Palermo, Sicily
Religious Movements, Globalization and Conflict: Transnational Perspectives

Aleister Crowley, pittore e scalatore

Pietro Saja

A paper presented at the 2005 CESNUR Conference in Palermo, Sicily. Preliminary version – do not reproduce or quote without the consent of the author.

Le poche persone rimaste nell’Abbazia di Cefalù, dopo l’espulsione di Crowley dall’Italia avvenuta nel 1923, vendettero per bisogno tutto quello che ancora veniva custodito dentro le stanze della villa affittata dall’inglese.

Tra i tanti oggetti, vi era anche una scatola, contenente delle diapositive in vetro a doppia  immagine che, guardate con lo stereoscopio, si vedono a rilievo. Crowley le eseguì durante le scalate sul K2; ma alcune foto furono realizzate da Jacot Guillarmod.[1] Al centro fra le due immagini sono sempre segnati dei numeri seriali- progressivi.[2] Queste diapositive sono state a me affidate in custodia, sino a quando non si creerà il museo di Crowley a Cefalù. Egli ebbe chiara percezione delle sue capacità solo durante il periodo trascorso sulle Alpi per “allenarsi” ad affrontare scalate ben più difficili e pericolose: «Io mi stupii nello scoprire che ero uno scalatore di rocce di gran lunga superiore della mia guida».[3]

A parte le consuete affermazioni frutto della proverbiale megalomania di Crowley, è interessante notare come il presidente del “Club Alpino” del tempo, T.G. Bongstaff, così dicesse dell’inglese: «Era un ottimo scalatore […] L’ho visto arrampicarsi per la parete destra, difficile e pericolosa, del grande ghiaccio della Mes de Glace […] da solo, per il gusto di fare una passeggiata».[4]

Nel 1902 Crowley ed Eckenstein, il quale aveva ideato un nuovo tipo di chiodo da ghiaccio, decisero di scalare il K2, chiamato anche Chogo-Ri o Godwin-Austin. Si diedero appuntamento a Delhi, e lì incontrarono gli altri membri della  spedizione: Victor Wessely, Jules Jacot Guillarmod, Heinrich Pfannl e Gui Knoweles (lastra n. 18-12).

La comitiva, formata da 170 portatori, a Srinagar lasciò i carri a due cavalli, che non riuscivano ad andare oltre; e tutto il, necessario, contenuto in grandi gerle, venne trasportato dai portatori  sulle spalle. A Shardu li colse una tempesta di sabbia, proveniente dal fiume Indo, che coprì tutte le montagne. Gli uomini avanzavano stancamente. Crowley annotò sul suo diario: «Le montagne sembrano macchie enormi di uno squallore indescrivibile, l’occhio non trova riposo. C’è in tutti un enorme desiderio che arrivi la sera per potersi riposare dopo esserci trascinati stancamente per queste montagne».[5]

Arrivati a 4.000 metri, la scalata al K2 si poteva  considerare iniziata. Molte lastre mostrano la comitiva che avanza con le gerle in spalla (9-2), e attraversa ponti di corda (13-4 e 13-5). La 10-7 e la 10-12 mostrano un accampamento e le montagne innevate; La 18-3 presenta un laghetto, due uomini e alte montagne innevate; la 22-11 un Indù a riposo e sullo sfondo delle montagne innevate.

Il K2 si mostrò in tutta la sua maestosità. Guillarmod scrisse nel suo diario: «All’inizio il fascino che esercitava su di noi era talmente grande che, sebbene fossimo abituati a valutare le montagne con uno sguardo, ci sentimmo schiacciati, immobilizzati. Lo guardavamo storditi, senza riuscire a trovare le parole adatte per esprimere l’impressione che ci faceva».[6] La montagna che sino ad allora nessuno aveva mai scalato, gettava su di loro valanghe di neve, di ghiaccio e di pietre rocciose che oscuravano il cielo, coprendo di pulviscolo di neve tutto il paesaggio.[7]  Le lastre 27-2 e 27-3 mostrano alcuni Indù seduti o coricati sopra della legna sistemata sulla neve.

Il campo base fu fissato a 6.000 metri. Per potere preparare una pentola di the erano necessarie non meno di tre ore; per potere bollire della carne di montone occorreva un’intera giornata. Il 10 luglio arrivarono a quota 6.600.

Dopo alcuni giorni di sosta, constatata l’impossibilità di proseguire, decisero di tornare indietro rinunziando alla conquista della vetta. La lastra 28-I mostra uno slittino e delle montagne; mentre nella 30-5 un gruppo di persone ben equipaggiate, di spalle, guardano le alte montagne che presumibilmente si accingono a lasciare.

Questa spedizione, comunque, risultò la prima in assoluto ad aver tentato la conquista della vetta. Dopo qualche anno, nel 1909, la spedizione italiana, guidata da Amedeo di Savoia, avrebbe nuovamente tentato la scalata del K2 fermandosi a 6.000 metri.[8]

Tutti gli scalatori ritornarono a Srinagar: Pfannl e Wessely  ne approfittarono per fare visita al console austriaco, lastra 44-4 con scritta: «Pfannl e Wessely a destra, il Console austriaco e sua moglie a Gulmau (Srinagar)». Crowley, che si era fatto fotografare mentre si bagnava nudo in un piccolissimo lago (36-4), e su di un cavallo bianco (39-12),[9]  iniziò a visitare diverse città e monumenti dell’India.

Alcune lastre (49-9; 49-10; 49-11) mostrano una folla di persone che, nella città santa di Benares, si bagna nelle acque del Gange.

Guillarmod e Crowley pensarono di affrontare il Kangchenjunga, montagna simile al K2. Nel 1905, insieme a C. Reimond, A. Pache e Irigo De Righi sottoscrissero una dichiarazione nella quale  i membri della spedizione accettavano che Crowley fosse il solo giudice in materia di alpinismo. La partenza fu effettuata sotto una pioggia fittissima. Il Kangchenjunga è una montagna particolarmente pericolosa per la continua caduta di neve e di lastre di ghiaccio dalla cima.[10] Messner cita alcune scalate storiche di quella vetta, dimenticando quella di Crowley.[11]  Durante la spedizione ci furono degli incidenti mortali. Crowley ammise di avere picchiato un portatore. Il suo gruppo aveva raggiunto la quota di 6.200 metri. Improvvisamente gli uomini si erano spaventati perché una piccola valanga li stava investendo; durante la notte alcuni fuggirono. Progressivamente, la comitiva si sciolse.[12]

Nel 2004 è stato ricordato e celebrato dalla stampa il cinquantesimo anniversario della conquista italiana della cima del K2; ed è stata menzionata la spedizione di Crowley.[13]

Altra passione di Crowley fu, come si sa, la pittura, per la quale l’Inglese si riteneva particolarmente portato. Egli amava paragonarsi all’artista francese Paul Gaugin,[14] sino al punto di sentirsi tormentato da lui. Come Gauguin, diceva di avere scelto l’esilio piuttosto che sopportare i borghesi.[15] Crowley ammetteva di mancare di «precisione meccanica»; ma i suoi dipinti avevano una forza primitiva e un forte senso del colore.[16]  Un critico d’arte, in occasione della mostra delle opere di Crowley, allestita a Berlino nel 1931, disse: «I suoi quadri sono interessanti perché rivelano un’anima complessa pervasa da una moltitudine di visioni fantastiche».[17] Aleister sosteneva che per dipingere non c’era bisogno di studiare: Egli si definiva «pittore vergine» e amava ripetere: «Non chiamatemi cubista o futurista, io sono un impressionista del subconscio, la mia arte è automatica. Non ho mai studiato arte e non intendo mai farlo».[18] In un primo tempo, Crowley disegnò in maniera caricaturale; poi si avvicinò al ritratto, cercando di cogliere le caratteristiche psicologiche della persona rappresentata. Egli rifiutava il realismo come fine dell’arte; sosteneva, invece, che la passione fosse l’unica qualità veramente artistica.[19]

Nella “Camera degli incubi” dell’Abbazia di Thelema di Cefalù, le immagini dipinte dovevano spingere gli adepti ad essere indifferenti nei confronti del sesso.[20] A volte Crowley si ispirava ai pittori teosofici , i quali, come si sa, cercavano di raggiungere la saggezza indagando le leggi dell’Universo, considerato nelle due componenti, spirituale e fisica. Si ispiravano chiaramente agli assunti teosofici pittori come Piet Mondrian e W. Kandiski.[21] Crowley, in un suo acquarello,  a suo nodo simbolista, intitolato “L’isola dei maghi”, dimostra un forte senso del colore: nelle sue intenzioni il simbolismo doveva essere percepito intuitivamente; egli rappresenta il sole blu, che sembra essere il suo volto, su sfondo giallo,  accanto uno strano uccello con grandi ali, e più  sotto un misterioso animale, anch’esso alato.[22]

Il tempio ideale per fondare la propria abbazia sarebbe dovuto essere di forma circolare, con una cupola di vetro, alta dodici metri e sorretta da otto grandi colonne; ma Crowley ritenne adatta anche la villetta di Santa Barbara.[23]

Kennet Anger, ispirandosi al tempio di Crowley, girò un film onirico, intitolato appunto “La cupola del piacere”.[24] Anger aveva deciso di venire a Cefalù per cercare documenti che gli permettessero di realizzare un altro film sul periodo che Crowley trascorse nella cittadina tirrenica.[25] Anger arrivò a Cefalù nella primavera del 1955, alloggiando al Jolly Hotel per quasi tre mesi; prese in affitto una parte della villa abitata da Crowley; poiché allora i proprietari avevano diviso l’immobile in due appartamenti. Anger lavorò giorno e notte a raschiare le pareti e a liberarle dall’intonaco con l’acido idralmico. Lentamente vennero alla luce le pitture di Crowley, che, poi, Anger offrì alla visione della giornalista Nicholson, di Fosco Maraini e del sessuologo Kinsey.[26] La Nicholson scrisse: «La luce illuminò il volto di Leah, dipinta nuda con colori ad olio densi e brillanti [...] ritratti di discepoli nudi in atto di fare cose innominabili a vicenda».[27] E Fosco Maraini mi scrisse: «Dal lume di torce elettriche esaminammo le varie stanze [...]. Jenny prendeva nota per il suo articolo, io facevo qualche foto (che non sono più riuscito a trovare). Il giorno dopo altra visita; ma non scoprimmo niente di più».[28]

Kennet Anger è ritornato A Cefalù nel giugno del 2004, accompagnato dall’operatore Elio Gelmini per un documentario sulla propria attività, e per questo si è fatto riprendere nei posti del suo primo soggiorno. Anger mi voleva conoscere ed io sono stato contento di poterlo incontrare. Gli chiesi se poteva mandarmi copia del materiale fotografico realizzato nel 1955. Mi rispose che non aveva più nulla perché aveva ceduto tutto all’organizzazione O.T.O. Internazionale di New York; ma promise che mi avrebbe fatto spedire qualcosa. Ha mantenuto la promessa; infatti, ho ricevuto la cassetta del film “La cupola del piacere”, il catalogo dei quadri dipinti da Crowley ed esposti a Londra nel 1988, ed alcune foto delle pitture eseguite da Aleister sulle ante di alcune porte e finestre, che in parte illustrerò.

Crowley creò anche dei tarocchi da lui disegnati e dipinti dalla signora Frieda Harris. Essi mettono in evidenza una grande fantasia nell’elaborazione delle varie figure allegoriche. I quadri riportati nel catalogo citato furono probabilmente titolati dallo stesso Crowley; quelli non titolati sono stati indicati in base al catalogo della mostra allestita a Berlino nel 1931. Solo i primissimi lavori sono firmati con il proprio nome; dopo il 1918 Crowley cominciò a firmare con la sua caratteristica A fallica. I quadri del catalogo londinese sono 43. Proverò ad illustrarne alcuni.

Quadro n.1: “Maestro Therion 666”, autoritratto; pittura ad olio, sfondo vermiglio (1918). Il soggetto, in parte caricaturale, presenta il capo rasato e col ciuffo fallico al centro.[29] Quadro n.2: “Alostrael” (Leah Hirsig); disegno a pastello su carta (1920).[30] Quadro n.3: “Ether”; pittura ad olio su tela; ritratto di Leah Hirsig (1921). Così la descrive Crowley: «dietro i luccicanti denti in una bocca distorta e negli occhi diabolicamente astuti, uno vede un innato buonumore che si dimostra incoraggiante. Guance che suggeriscono la pentola di belletto, un lungo cappio d’oro all’orecchio destro, una tunica scarlatta con ornamenti dorati, spessi capelli castani, e la nostra visione è completa. Un vivido verde lo sfondo».[31] Quadri nn.4 e 5: “Mattino di maggio”; pittura a guazzo su carta (1918-19). Così li descrive Crowley: «L’artista rappresenta l’aurora del giorno che segue la disfatta delle streghe. La strega è l’impiccata e il satiro gioiosamente guarda da dietro l’albero. Sullo sfondo tutto è primavera, e la ninfa allegramente danza sulla musica del pastore. Dall’inorridito troncone del dogma, la quercia velenosa del peccato originale; la strega è impiccata con i capelli colorati e sanguinosi. Il Pastore e la Ninfa sullo sfondo, rappresentano la spontanea esplosione della musica».[32]

Quadro n.10: “Stromboli” (1920-21). Sul catalogo titolo errato. È indicato “Monte Etna Siciliano”.[33] Quadro n.14: “Vergine” (1930); acquarello su carta. Rappresenta una ragazza nuda con il sole come aureola, albero in primo piano; terra e cielo che si fondono con delicati colori sfumati.[34] Quadro n. 17: “Boca do Infierno” (1931); acquerello su carta. Questo è il luogo, in Portogallo, dello scherzo del finto suicidio di Crowley nel 1930. Egli scrisse alla sua amante Hanni Jager: «Io non posso vivere senza di te. L’altra bocca d’inferno mi avrà, ma non sarà tanto calda come la tua».[35] Quadro n. 19: senza titolo; olio su tela. Rappresenta alcune donne nude su una scogliera, alcune si bagnano, un solitario alberello in primo piano e sullo sfondo una serie di collinette unite. Cielo e mare di un unico colore bianco sporco sfumato.[36] Quadro n.37: acquarello su tela (1941); versione finale della carta dei tarocchi, disegnati da Crowley e colorati da Freida Harris, che rappresenta l’Aeon.[37] Quadro n.40: “Quattro monaci rossi che trasportano un caprone nero sulla neve in nessun luogo” (1921); olio su tela. Crowley dipinse un murale con questo titolo nell’abbazia di Thelema a Cefalù, così descritto: «Santa potenza camminando sulle strade della purezza, puoi senza pericolo disporre della personalità del bruto diavolo, che l’uomo è costretto a portarsi addosso». [38]

Quasi tutti gli altri quadri sono dei ritratti leggermente caricaturali e interessanti per l’intensa cromia. Le pitture delle ante dell’abbazia sono eseguite con meno impegno e più simbolismo. In una porta a due ante sono sei le raffigurazioni, tre per ogni lato, con colori delicati; ma sembrano di mano diversa e meno sicura.

 

 

[1] L. Bizzarro, A. Gogna, C. Pinelli, K2 Uomini –Esploratori-Imprese, Novara, De Agostini, 2004, p. 45.

[2] Cfr., P. Saja, Aleister Crowley scalatore ed esploratore, in  «Corriere delle Madonie», n. 3, marzo 1988, pp. 5-6.

[3] A. Crowley, The confession of Aleister Crowley, edited by John Symonds & Kenneth Grant, London, J. Cape LTD, 1969, p. 101. Si ringrazia per la traduzione il sig. Salvatore Cangelosi. 

[4] P. Saja, op. cit..

[5] J. Symonds, La grande bestia, Roma, Edizioni Mediterranee, 1972, p. 76.

[6] Ivi, p. 78.

[7] P. Saja, op. cit..

[8] R. Messner, Sopravvissuti. I miei 14 ottomila, Novara, De Agostini, , 1987, p. 80.

[9] L’immagine è stata da molti segnalata come eseguita sul Kangchenjunga; ma, secondo le indicazioni progressive delle lastre, essa mostrerebbe il K2.

[10] J. Symonds, op.cit., p.112.

[11]  R. Messner, op.cit., p.112.

[12] J. Symonds, op.cit., pp. 116-117.

[13] L. Bizzarro, A. Gogna, C. Pinelli, op.cit., p. 46.

[14] Cfr., AA.VV., Ancient Wisdom and Secret Sectis: Mysteries of Unknown, Alexandria, Virginia, time-Life Books, 1989, p. 122. Si ringrazia per la traduzione la prof.ssa Elvira Giardina.

[15] J. Symonds, op.cit., p. 309.

[16] AA.VV., Ancient Wisdom and Secret Sectis: Mysteries of Unknown, cit.,  p. 122.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Ibidem.

[20] J. Symonds, op.cit., p. 285.

[21] AA.VV., Ancient Wisdom and Secret Sectis: Mysteries of Unknown, cit.,  p. 157.

[22] Ivi, p. 123.

[23] J. Symonds, op.cit., p. 285.

[24] J. Nicholson, Death at the Abbey, in «Pictur Post», 26 novembre 1955,  p. 41. Si ringrazia per la traduzione il prof. Salvatore Termini.

[25] Ibidem.           

[26] J. Nicholson, Death at the Abbey, in «Pictur Post», 3 dicembre 1955,  p. 28.

[27] J. Nicholson, Death at the Abbey, in «Pictur Post», 26 novembre 1955,  p. 41. La Nicholson è l’unica ad indicare che i colori erano ad olio; mentre comunemente si è sempre parlato di affreschi. Si sa che l’affresco è una tecnica particolare: il colore si deve stendere rapidamente sull’intonaco fresco prima che quest’ultimo si asciughi. Non credo che Crowley fosse così abile da utilizzare questa tecnica.

[28] Lettera di fosco Maraini inviatami in data 3 luglio 1994.

[29] The art of Aleister Crowley, edited by Hymeneus Beta, with contributions by M.P. Strarr and K. Nierendorf, London, april 1998, p. 9.

[30] Ibidem.

[31] Ibidem

[32] Ivi, p. 10.

[33] Ivi, p. 12.

[34] Ivi, p. 14.

[35] Ivi, p. 15.

[36] Ivi, p. 16.

[37] Ivi, p. 23.

[38] Ivi, p. 24.

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