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"La modernità non la salverà". Fede scienza e amore in Dracula Opera Rock

Massimo Introvigne

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I corsivi sono una cosa seria. Dracula Opera Rock, prodotta da David Zard per la regia di Alfredo Arias su libretto di Vincenzo Incenzo e con musiche della Premiata Forneria Marconi, che ha debuttato a Roma il 9 marzo 2006, non è una trasposizione di Dracula di Bram Stoker (il romanzo del 1897) ma di Dracula di Bram Stoker (il film di Francis Ford Coppola, del 1992). Come sa ogni appassionato di Dracula il film di Coppola, proprio mentre pretende – rispetto ai precedenti storici con Bela Lugosi (1882-1956) o Christopher Lee – di essere il film più fedele al testo di Bram Stoker (1847-1912), in realtà lo tradisce perché dà per scontato che Stoker conoscesse molte cose del personaggio storico del principe valacco (e non conte transilvano, come vuole il romanzo) Vlad III Tepes detto Dracula (1431-1476), un’ipotesi che Elizabeth Miller e altri studiosi hanno da tempo demolito. Del Vlad della storia Stoker conosceva poco più del nome. Coppola, in particolare, fa innamorare Dracula di Mina perché questa è il ritratto (dunque – si suggerisce – la reincarnazione) della moglie Elisabetta, che si sarebbe suicidata gettandosi in un fiume dall’alto del suo castello per sfuggire ai Turchi. 

Per capire l’opera rock di Incenzo bisogna aver fatto qualche compito a casa, rileggendosi il Dracula del 1897 e rivedendosi il film del 1992. Diversamente si reagisce come un critico pure illustre come Masolino d’Amico, che su La Stampa dell’8 marzo rileva la “qualità altissima” dello spettacolo ma confessa di non essere “riuscito a capire neppure vagamente il fatto”, pure estasiato dalle coreografie, dai costumi e dalla straordinaria performance di Sabrina De Siena che interpreta Mina (rispetto alla quale il pur bravo Vittorio Matteucci, cui spetta il ruolo “principale” di Dracula, rischia di passare in secondo piano). A un primo sguardo, Dracula Opera Rock è il film di Coppola con il finale cambiato a sorpresa, così come il film del regista americano è il libro di Stoker con un preambolo storico che ne cambia il senso – dopo di che la narrazione segue abbastanza fedelmente il romanzo, ma la stessa trama assume un altro significato. Ridotto per ovvie esigenze di tempo, il canovaccio è quello di Stoker. Jonathan Harker, fidanzato di Mina, va in Transilvania per concludere la vendita di una proprietà di Londra al conte Dracula, mentre il suo amico, il dottor Seward, corteggia senza successo la migliore amica di Mina, la bella (davvero bella anche nell’opera rock, grazie all’interprete Maria Grazia Di Valentino) ma fatua Lucy. I disegni di Dracula sono però diversi: fa sedurre Jonathan dalle sue consorti infernali (il che nell’opera di Incenzo di fatto lo elimina dalla storia) e va a Londra dove vampirizza Lucy e tenta di fare lo stesso con Mina. L’arrivo di uno specialista di vampiri, il dottor Abraham Van Helsing, svela al dottor Seward quello che sta realmente succedendo (e che solo un pazzo del manicomio di Seward – Renfield, nell’opera caratterizzato con magistrale efficacia da Fabio Privitera – ha a modo suo intuito), costringe i riluttanti cacciatori di non morti a eliminare Lucy (ormai irrimediabilmente trasformata in vampiro) conficcandole un paletto nel cuore e a iniziare una disperata lotta contro Dracula e contro il tempo per salvare Mina e l’umanità stessa, che sarebbe perduta se il conte riuscisse a diffondere la piaga del vampirismo. Mentre nel Dracula di Stoker – di cui abbiamo così ricordato la trama, per quanto notissima, anche a Masolino d’Amico – il conte fugge verso la nativa Transilvania, e lì è raggiunto e ucciso da Van Helsing e dai suoi amici, il finale dell’opera rock è diverso. Mentre Van Helsing studia piani per bloccare Dracula sulla via della Transilvania, il conte è rimasto a Londra e ha deciso di morire accanto a Mina, dissolvendosi in nebbia e polvere ed espiando così i suoi crimini.

L’autore Incenzo è consapevole che si tratta qui, come scrive, della “modificazione più notevole rispetto al testo originale”: “mentre nel romanzo di Stoker Dracula viene ucciso dai protagonisti, nel musical affronta la morte deliberatamente attendendo la luce del sole accanto alla donna che ama”. Ma di nuovo, se si resta alla trama, si perde di vista l’essenziale. I significanti rimangono, i significati cambiano. Tra Coppola e Incenzo sono passati Anne Rice e i vampiri con l’anima della serie televisiva Buffy, due fenomeni che hanno cambiato per sempre la mitologia del vampiro e di cui il librettista dell’opera si mostra consapevole. Per il cristiano Stoker Dracula è una lotta fra il Bene e il Male, e non ci sono dubbi sul fatto che Dracula sia il Male, non abbia nulla di positivo e meriti di essere distrutto (sono semmai le versioni teatrali e cinematografiche a rendere il vampiro progressivamente più simpatico dei suoi avversari, con disappunto della vedova di Stoker che era, a differenza del marito protestante, una fervente cattolica). Una serie di epigoni dell’Ottocento e del Novecento fanno sconfiggere i vampiri, simbolo del passato, non dalla religione ma dalla scienza, simbolo del progresso che avanza.

Alla fine del Novecento si affacciano i primi vampiri postmoderni come il Lestat di Anne Rice, protagonista di trame assai più complesse dove capire dove sta il Bene e dove il Male è davvero molto più difficile. Buffy inserisce due figure di vampiri, prima Angel e poi Spike, che a seguito di complesse vicende hanno ricevuto un’anima, il che comporta il pentimento per il male fatto e il desiderio di redimersi. Tutta la mitologia del vampiro si ripresenta in modo assai problematico nell’opera rock, ed è questo – credo – che ne farà un momento non effimero, non solo da ricordare per la bellezza dell’aspetto spettacolare, nella storia del genere. Il dottor Seward (che non è così in Stoker: nel 1897 non ci si poteva permettere di irridere la scienza) è un autentico e pomposo imbecille, che pensa che lo scientismo positivista e la modernità risolvano tutti i problemi, vampirismo compreso. Van Helsing lo smaschera facilmente: “La modernità non la salverà”, osserva a proposito della povera Lucy, e solo “nella fede c’è il vero potere”. A questo punto dell’opera è evidente che Van Helsing ha ragione e Seward – che finirà per diventare pazzo – ha torto. Quando lo scientismo è messo davanti ai suoi fallimenti impazzisce: una metafora assolutamente puntuale della modernità.

Prima di promuovere Dracula, che comincia prendendosela con Dio per le disgrazie capitate alla moglie, ad “ateo devoto”, ci sono però diversi ma: anzitutto la “fede” di Van Helsing non è quella cristiana ortodossa, dal momento che anche lui – come tutti – dà qui per scontato il tema della reincarnazione, che propriamente cristiano non è, e spiega l’ossessione di Dracula a Mina con il fatto che in lei convivono “due cuori”, il suo e quello della moglie defunta di Vlad Tepes in una sorta di possessione-reincarnazione da cui Van Helsing, sembra, potrebbe – se Mina lo volesse – liberarla. In secondo luogo, se si aspetta la fine dell’opera ci si accorge che se Van Helsing (la religione, sia pure in versione esoterica) vince facilmente la partita con Seward (la scienza positivista), perde invece quella con Dracula e con Mina, di cui non riesce a capire le motivazioni.

Incenzo spiega che Van Helsing pensa ancora il mondo in termini di Bene e di Male mentre l’intento – postmoderno, e molto alla Anne Rice (almeno della Anne Rice che scriveva di vampiri, prima del recente riavvicinamento al cristianesimo) – dell’opera è mostrare che “solo apparentemente il Bene e il Male sono in lotta fra loro”mentre sono, come Dracula, “le due labbra di una stessa ferita”. L’opera “intende far nascere nello spettatore il sospetto che il bene e il male siano vicini” e che in un certo senso Dracula sia il mostro che è dentro ognuno di noi.

Ma dopo Anne Rice sulla scena senza fine delle mitologie del vampiro è passato anche Joss Whedon con Buffy, che non è (come è stata presa spesso in Italia) una storiella per adolescenti ma la creazione di un vero universo mitologico cui sono consacrati in America poderosi studi filosofici e perfino una rivista accademica (Slayage: The International Journal of Buffy Studies), su cui scrivono seriosi docenti di diversi paesi. L’idea del vampiro con l’anima è ignota prima di Buffy (dove Dracula appare una sola volta, e non fa parte della categoria). Nell’opera rock, invece, che Dracula abbia un’anima è affermato almeno due volte. Come Angel in Buffy, Dracula è inorridito dal male che ha fatto (a Lucy, tra l’altro), cerca l’espiazione, è capace di amore sincero (per Mina) ed è disposto a pagare le conseguenze – anche quando sono letali – di questo amore. Come Spike, l’altro vampiro con l’anima di Buffy, il Dracula dell’opera finisce per trasformarsi – ancora nelle parole dell’autore Incenzo – in una figura redentiva: nel finale c’è “il tentativo di redenzione del vampiro” che “nel sole lascia dissolvere la notte della sua anima prendendo su di sé le colpe di tutti”. Comprendendo di essere una minaccia per l’umanità e di abitare comunque un mondo dove non c’è posto per lui, Dracula si lascia morire ucciso dal sole (citazione anche dal finale di Zora la vampira del 2000 di Carlo Verdone, dove proprio così muore Dracula, un film poco capito e che era in realtà ben più di una semplice commedia). Si aggiunga che ci sono tutta una serie di paralleli fra Mina com’è rappresentata nell’opera e Buffy: entrambe lottano contro i vampiri ma amano i vampiri con l’anima, sono disposte a dare la vita per loro e con loro, e trovano nel passato (per Mina la reincarnazione, per Buffy il lignaggio di cacciatrici di vampiri da cui discende, che affonda le sue radici nella preistoria e che non è privo di aspetti oscuri) un impasto di bene e di male con cui devono fare i conti.

Il vampiro come redentore è, naturalmente, qualcosa di più del Lestat di Anne Rice in perenne bilico fra bene e male, e il riferimento al prendere su di sé le colpe dell’umanità toglie al finale quello che sarebbe diversamente un sapore buonista e dolciastro: tra scienza e religione a vincere per davvero è l’amore. Sì, certo: ma è quell’amore più grande di tutti che consiste nel dare la vita per gli altri. E dove chi si perde si ritrova: in un post-finale dell’opera Dracula e Mina, morti, si ritrovano in un non-luogo che potrebbe essere il Paradiso all’ombra di un calice che sembra proprio il Graal, in questo caso simbolo eucaristico della redenzione attraverso il sacrificio. E nell’ultima pacificazione post mortem Dracula appare allora per davvero come un ateo devoto, o almeno un membro onorario di questa categoria recentemente rivalutata.

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