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Al Qaeda all'attacco del petrolio

di Massimo Introvigne (L'Indipendente, 16 marzo 2006)

Dieci giorni dopo il fallito attacco suicida contro il centro petrolifero di Abuqayq, in Arabia Saudita, l’Fbi ha lanciato una campagna di perquisizioni di uffici commerciali dello Yemen negli Stati Uniti. Lo stesso è avvenuto in Arabia Saudita, dove crescono i sospetti che i servizi segreti dello Yemen siano infiltrati da al Qaeda e che il governo locale esiti a fare pulizia. Il 3 febbraio da una prigione della capitale yemenita Sana’a sono evasi 23 terroristi di al Qaeda. L’intelligence saudita è convinta di avere identificato negli evasi gli organizzatori dell’attacco di Abuqayq. In particolare l’operazione sarebbe stata diretta da Abdullah al Rimi, già noto per avere organizzato gli attacchi terroristici del maggio 2003 nella capitale saudita Riyadh. Dopo la fuga, al Rimi e i suoi compagni si sarebbero trasferiti in una fattoria nel villaggio saudita di Dagrir, a pochi chilometri dal confine fra Arabia e Yemen, da dove avrebbero preparato l’attentato al centro petrolifero.

Tra i documenti sequestrati ce n’è uno di particolare importanza. Si tratta di un nuovo manuale di al Qaeda, di 140 pagine, intitolato Canone per colpire le installazioni petrolifere. È firmato da Abdulaziz bin Rashid al Anaiza, il “ministro della propaganda” di al Qaeda, che da mesi è in prigione in Arabia Saudita. Può darsi che ne sia veramente l’autore, oppure che al Qaeda voglia falsamente fare credere di godere di complicità anche nelle carceri saudite. Il Canone è però soprattutto un testo religioso. Il peggior problema dell’organizzazione di Osama bin Laden in Arabia Saudita non sta tanto nei colpi subiti con gli arresti, ma nella sua impopolarità, che – me lo confermavano in una recente visita a Riyadh anche esponenti dell’opposizione – non fa che crescere da quando uccide anche musulmani. La ricchezza che viene dal petrolio è al centro del ciclo distributivo che garantisce benessere a gran parte dei sauditi, e attaccarla non genera simpatie. Il Canone sa bene che il Corano vieta di colpire i beni dei musulmani, ma afferma che le istituzioni petrolifere saudite (come quelle irachene) non sono proprietà dei musulmani ma di società straniere o legate alla famiglia reale saudita, che deve ormai essere considerata apostata e non musulmana. Possono dunque essere colpite, a meno che appartengano a imprenditori privati che si dimostrano “buoni musulmani”, cioè finanziano al Qaeda. Se l’ultimo passaggio assomiglia molto a una giustificazione coranica del racket, il resto del manuale è importante perché dimostra che – in sempre maggiori difficoltà nel colpire esponenti politici significativi – al Qaeda ha deciso di prendersela con le installazioni petrolifere, il cuore dell’economia del Medio Oriente. Indebolita, l’organizzazione terroristica ridefinisce la sua strategia, ma non rinuncia al suo obiettivo principale: creare una crisi che porti al rovesciamento del governo saudita e al passaggio del potere – e del petrolio – nelle mani di Osama bin Laden o dei suoi amici.