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La solitudine di Erdogan

di Massimo Introvigne (pubblicato su il Giornale del 3 novembre 2006 con il titolo "Erdogan snobba Ratzinger e volta le spalle all'Europa")

La decisione del primo ministro turco Erdogan di non incontrare il Papa non deriva solo dal discorso di Ratisbona né da calcoli in vista delle elezioni in programma in Turchia nel 2007. Deriva anzitutto dalla solitudine. Amici turchi che conoscono bene il premier lo descrivono come un uomo deluso e stanco. Passa parecchio tempo a leggere: e se è vero - come mi assicurano - che fra i libri che tiene sul comodino c’è Il regno della quantità e i segni dei tempi dell’esoterista francese (ma morto da musulmano al Cairo) René Guénon, si tratta di testi cupi su un’Europa dominata dal materialismo. In Europa ha perso gli amici - Berlusconi (che volle come testimone alle nozze del figlio) e Blair (ormai a fine corsa) - e deve avere sempre più a che fare con nemici storici del suo governo come Prodi.

La Turchia è una semi-democrazia, perché le leggi del Parlamento possono essere bloccate dal veto del Consiglio costituzionale, di cui fanno parte il Presidente della Repubblica e i comandanti militari, e che è espressione dell’ortodossia di quel Kemal Atatürk che una volta, in un impeto di sincerità, affermò che gli sarebbe piaciuto «vedere tutte le religioni affondare in fondo al mare». Ma le vessazioni kemaliste non hanno fatto sparire l’islam, anzi hanno fatto nascere movimenti rigogliosi che, dopo la Seconda guerra mondiale, non potevano non sentire l’attrazione del fondamentalismo.

Nel 2001 il maggiore partito fondamentalista turco ha avuto la sua «svolta di Fiuggi»: la seconda generazione - guidata dai sindaci di Istanbul (Erdogan) e di Ankara (l’attuale ministro degli Esteri Gul) - ha messo in minoranza la prima, dell’ex-premier Erbakan, dichiarato di ripudiare il fondamentalismo e abbracciato un conservatorismo che cita i neo-con americani, si apre ai diritti delle donne e delle minoranze religiose e punta sull’adesione all’Unione Europea, mentre mantiene una forte identità islamica simboleggiata dalla rivendicazione della libertà (non l’obbligo) per le donne di portare ovunque il velo. Erdogan ha vinto le politiche del 2002 e stravinto le amministrative del 2004. Questi successi hanno dato fastidio a due gruppi: i laicisti kemalisti e i fondamentalisti che non mancano neppure nel suo stesso partito. Paradossalmente, i due gruppi collaborano fra loro per isolare Erdogan: così il laicista presidente della Repubblica Sezer e il presidente del Dipartimento degli Affari religiosi Bardakoglu, vicino ai fondamentalisti (le due personalità che incontreranno il Papa), si trovano d’accordo spesso per attaccare il governo.

Il blocco sociale che ha sostenuto Erdogan è composto dalla borghesia del boom economico, che vuole l’ingresso nell’Unione Europea, e dall’ampia base dell’islam politico, che ha scelto il realismo di Erdogan contro il massimalismo di Erbakan, sperando che proprio l’Europa, imponendo alla Turchia l’abolizione del Consiglio costituzionale, aprisse per esempio la strada alla liberalizzazione del velo. Erdogan può ancora vincere le elezioni del 2007, perché l’elettorato si fida ancora meno dei suoi concorrenti: ma l’Europa, dando segni sempre più chiari di insofferenza verso la Turchia, rischia di spingere la base islamica delusa verso un ritorno al fondamentalismo. Nonostante tutto questo, Erdogan sbaglia a non incontrare Benedetto XVI: superando le sue delusioni, l’incontro con chi in fondo condivide con lui molti giudizi sulla storia e sulla morale avrebbe potuto rappresentare per il premier turco una svolta politica e, forse, personale e umana.