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Il bel Capodanno dell'antiterrorismo

di Massimo Introvigne (il Giornale, 31 dicembre 2006)

Alla Cia, al Mossad, al MI6 britannico, e anche in quel che resta dei nostri servizi segreti dopo i tentativi di smantellamento del governo Prodi e della Procura di Milano, alla mezzanotte del 31 dicembre si potrà stappare lo champagne con la coscienza di aver fatto bene il proprio lavoro. Nessuno se n'è accorto, ma il 2006 è stato per l'anti-terrorismo un anno di successi. Secondo le statistiche del Memorial Institute for the Prevention of Terrorism, un istituto federale americano unanimemente rispettato, gli atti di terrorismo internazionale sono scesi dai 308 del 2005 ai 151 del 2006 e i morti da 550 a 256. In Europa e negli Stati Uniti i morti sono stati solo cinque, di cui uno solo ucciso da un musulmano - vittima dell'attacco del 27 luglio a Seattle di un terrorista solitario contro la locale Federazione Ebraica - mentre le quattro vittime europee sono cadute tre in attentati del Fronte Nazionale di Liberazione della Corsica e una per mano dei separatisti baschi dell'Eta. In Israele le vittime degli attentati (34), nonostante la guerra di luglio contro gli Hezbollah, sono solo leggermente superiori a quelle del 2005 (34 contro 27), un anno che aveva fatto segnare un netto progresso rispetto al 2004.

Soltanto tra qualche anno sarà possibile celebrare davvero gli eroi senza nome dell'intelligence, e raccontare la storia completa delle centinaia di attentati sventati, a partire da quello del 10 agosto, definito da Tony Blair «un piano per assassinare persone innocenti in un numero finora inimmaginabile» attraverso l'esplosione in volo di 12 aerei britannici. Si comincia a capire solo ora che, per la prima volta, i servizi inglesi sono riusciti a infiltrare delle cellule di Al Qaida.

Brindiamo dunque a questi difensori del viaggiatore in aereo, in metropolitana, in treno riconoscendo che il loro lavoro è tutt'altro che facile. Per definizione, un servizio segreto deve agire in segreto. Deve anche violare delle leggi. Ci sono governi e giudici che lo capiscono e altri - come in Italia - che lo ignorano a loro danno.

A costoro dedico una storia di Capodanno, tratta dal libro di saggistica più venduto negli ultimi mesi negli Stati Uniti, The Looming Tower, una ricostruzione dell'11 settembre scritta dal prestigioso giornalista Lawrence Wright. È la storia - che ha assicurato il successo del libro - di John O'Neill, l'agente del servizio segreto dell'Fbi soprannominato dai suoi colleghi «il principe delle tenebre», l'uomo che sapeva tutto su Al Qaida e aveva previsto a grandi linee l'11 settembre. Come molti grandi agenti segreti, O'Neill era un misto di genio e sregolatezza. Aveva scoperto quasi tutto su Bin Laden, ma violando ogni possibile regolamento. La sua vita privata era un impasto di venerdì santo e di giovedì grasso: sperava di infiltrarsi pure in Paradiso facendo il doppio gioco anche con il Padre Eterno, e frequentando con uguale fervore una Chiesa cattolica e una protestante fondamentalista, ma insieme aveva oltre a una moglie tre amanti, ciascuna delle quali ignorava l'esistenza delle altre. Trova una commissione disciplinare per impedirgli di portare a termine il suo lavoro: è costretto a lasciare l'Fbi il 22 agosto 2001. È assunto come responsabile per la sicurezza delle Torri Gemelle. Dopo il primo impatto, riesce a uscire dalla Torre Nord ma vi torna per partecipare ai soccorsi. Il 21 settembre 2001 il corpo dell'uomo che avrebbe potuto impedire l'11 settembre è stato trovato, miracolosamente quasi intatto, fra i detriti di Ground Zero.