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COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Mercoledì 10 gennaio 2007 (seduta antimeridiana)

Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 9,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione dei componenti della Consulta per l'Islam italiano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di libertà religiosa, l'audizione dei componenti della Consulta per l'Islam italiano.

Vi ringrazio di essere qui. Come sapete, il tema dell'indagine conoscitiva è quello della libertà religiosa; stiamo infatti esaminando una proposta di riforma che riguarda questa materia. Il relatore, su tale proposta, onorevole Zaccaria, introdurrà brevemente il tema, in modo che per voi sia più agevole intervenire.

ROBERTO ZACCARIA. La Commissione affari costituzionali della Camera sta svolgendo in questa settimana un ciclo di audizioni sulla libertà religiosa legate ad una proposta di legge in materia. Su questa proposta, molto importante, il Parlamento lavora ormai da tre legislature. Si lavora quindi su testi che sono stati elaborati all'inizio degli anni Novanta, alla fine della cosiddetta «stagione delle intese», che ha seguito il nuovo Concordato con la Chiesa cattolica e una serie di intese che lo Stato ha adottato con alcune confessioni religiose. In

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quel periodo è stata elaborata questa proposta di legge, che poi è giunta in Parlamento ed è stata discussa nel corso della XIII e della XIV legislatura. Ripartiamo, all'inizio di questa legislatura, con un impianto normativo che sostanzialmente risale agli inizi degli anni Novanta. Ciò può essere, da una parte, un pregio, data la stabilità di alcuni istituti, ma, dall'altra, anche un difetto, perché il testo in questione non tiene conto, inevitabilmente, dei cambiamenti avvenuti dal 1990 ad oggi. Il fatto che il Parlamento lavori da tre legislature su questa materia è anche la dimostrazione della difficoltà del compito che abbiamo di fronte.

La Costituzione, come è noto, aveva innovato profondamente il regime giuridico del fenomeno religioso, che in Italia risaliva agli anni Trenta, epoca del Concordato e della cosiddetta legge sui culti ammessi. Questa situazione è stata modificata profondamente dalla Carta costituzionale, che ha dettato una serie di principi cardine molto importanti. Il fenomeno religioso è una delle libertà che viene disciplinata con maggiore ampiezza nel testo costituzionale. Mentre un'altra libertà importantissima, quella di espressione, è contemplata in un solo articolo, il 21, e in parte nell'articolo 15, la libertà religiosa è trattata in maniera esplicita dal legislatore costituzionale nell'articolo 3, che vieta le discriminazioni, nell'articolo 7, che, riferendosi alla Chiesa cattolica detta il principio della sovranità ed indipendenza dei due ordinamenti, nell'articolo 8, che detta il principio fondamentale dell'eguale libertà, e negli articoli 19 e 20, che riguardano la libertà religiosa in senso pieno, come fenomeno sia individuale che collettivo, sia positivo che negativo. Quindi, lo spettro di tutela è amplissimo. Non mi soffermo su questi principi perché, ovviamente, sono ben conosciuti. Forse, viene meno sottolineata l'ampiezza della tutela costituzionale.

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Questi principi sono stati sviluppati da una altrettanto ampia giurisprudenza costituzionale, che via via è intervenuta, dando attuazione, come spesso è successo in tanti altri campi legati a simili materie, ai questi principi costituzionali, stabilendo il principio dell'eguale libertà e giudicando incostituzionali le norme che non realizzavano quei principi. Com'è noto, la Corte costituzionale non può fare più di tanto, perché, come si dice, «ha la gomma, ma non la penna», anche se in realtà la Corte, cancellando, ha scritto.

C'è inoltre da tener conto di una rilevante normativa internazionale in materia, che a volte sviluppa i principi contenuti nella nostra Costituzione. Tra i principi più importanti richiamati dalla Costituzione e messi a fuoco dalla Corte, anche se è difficile fare una gradazione tra i principi enunciati nel testo costituzionale, c'è il principio della laicità dello Stato. Questo principio, pur non essendo formalmente contenuto nella Costituzione, analogamente ad un altro principio, quello del pluralismo, che non è espressamente indicato nel testo costituzionale, è stato riconosciuto dalla Corte come principio fondamentale della libertà di espressione. Allo stesso modo, il principio di laicità è stato definito dalla Corte come principio supremo del nostro ordinamento e, come tale, in grado di costituire un parametro nei confronti delle norme di rango superiore, con riferimento anche agli stessi Patti lateranensi.

È naturale, quindi, che questo principio di laicità informa, o deve informare, e se ciò non è evidente dovremmo prevedere nell'articolo 1 un richiamo specifico (ricordo che in sede di discussione generale alcuni interventi, come quello del collega Russo, hanno sottolineato questa esigenza). Il principio, che secondo me è implicito, va reso esplicito. Si tratta di una modifica di non poco conto da inserire nella struttura del testo normativo.

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La proposta di legge in esame è dunque una proposta di legge di attuazione costituzionale; lo dico oggi e lo dirò anche domani, quando incontreremo gli esperti che si occupano di questa materia, perché qualcuno potrebbe pensare ad un regime costituzionale diverso, ad un regime di separazione. In realtà, il regime costituzionale è dato, è quello che vi ho appena tratteggiato e dobbiamo attuarlo. Tale attuazione non si riferisce alla Chiesa cattolica, che ha una sua disciplina nell'articolo 7 della Costituzione e nel relativo Concordato del 1984, ma a tutte le altre religioni esistenti nel nostro paese, una ricchezza rilevante ed antica, che riguarda una platea vasta.

C'è poi un obiettivo concreto e molto preciso, che è l'obiettivo primo di questa proposta di legge, quello di superare, abrogandola, la legislazione degli anni Trenta sui culti ammessi, dando piena effettività ai principi costituzionali. Questo, ripeto, è l'obiettivo primario. Nel corso dell'audizione di ieri ho affermato che alcuni principi della legge del 1929 non andrebbero abrogati e che potrebbero essere ripresi nel nostro testo. Va abrogata l'impalcatura generale, la filosofia di fondo, salvando comunque alcune disposizioni.

Il secondo obiettivo di questa proposta di legge è quello di dettare una disciplina generale del fenomeno della libertà religiosa, un trattamento più garantito del fenomeno religioso in generale, in modo da rendere meno urgente e meno necessario il problema delle intese, che pur resteranno una possibilità, per disciplinare - questo sarebbe l'ideale - in modo particolare determinati e singoli istituti. Le intese sono state introdotte anche per la necessità di disciplinare fenomeni che, se ci fosse stata una legge di questo tipo in tema di libertà religiosa, non sarebbe stato necessario disciplinare. Però per

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alcuni istituti, quando concorre la volontà della confessione religiosa e dello Stato si può utilizzare questo strumento.

La terza osservazione, di carattere generale (perfino ovvia, ma non è mai inutile ripetere questi concetti), è che la società nella quale questa proposta di legge andrà applicata è una società plurale, caratterizzata da diverse etnie, culture e religioni. Allo stesso traguardo guardano altre proposte di legge - come ho già detto nel corso di precedenti interventi -, come quella sulla cittadinanza e sull'immigrazione, che sono strutturalmente diverse in sé ma tutte guardano a questa società, che in parte è già un dato di fatto ma che in parte va costruita (le società, ovviamente, si costruiscono sui diritti e sui doveri).

Non credo di dover descrivere l'impianto della proposta di legge, perché posso rinviare alla relazione che ho svolto in Commissione alcune settimane fa. Ritengo di dover segnalare soltanto, che, oltre agli obiettivi da me citati, prende corpo più nitidamente, anche attraverso le audizioni che stiamo svolgendo, una sorta di triplice regime che si può individuare nella proposta di legge, a prescindere dal rapporto con la religione cattolica.

Un primo regime generale è valido per tutti i soggetti, singoli o associati, anche se privi di riconoscimento, perché la Costituzione attribuisce la libertà ai soggetti, tutti: questo è il regime che viene disciplinato dalla prima parte della proposta di legge. Alcuni colleghi universitari mi segnalavano l'esigenza di spostare alcune parti, disciplinate negli articoli successivi, nella prima parte, dove andrebbe contemplato il regime generale, con una serie di conseguenze legate al riconoscimento di tali diritti.

C'è poi una seconda parte che riguarda il regime per i soggetti in qualche modo riconosciuti od organizzati, in

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applicazione dell'articolo 8, secondo comma. C'è qui il problema del rapporto con gli statuti e con l'ordinamento dello Stato. Alla base del riconoscimento della personalità giuridica discende una particolare valutazione che lo Stato fa, ma che deve avere come punto di riferimento il rispetto dei principi generali del nostro ordinamento costituzionale, che presiedono al riconoscimento.

È stata avvertita l'esigenza, sottolineata da varie parti, che vi siano certezze in tale procedimento; questo discorso vale, ovviamente, anche per la pubblica amministrazione. Il procedimento non può essere troppo lungo e occorre che non vi sia discrezionalità, perché siamo in presenza di diritti e quindi la discrezionalità deve essere parametrata da indicazioni molto precise. Credo che la proposta di legge sia chiara al riguardo, ma potremmo essere più chiari, se necessario.

C'è poi un terzo regime, quello delle intese, che concettualmente riguarda i soggetti che hanno già ottenuto il riconoscimento, che vogliano concludere una intesa con lo Stato. Questo terzo regime dovrebbe diventare eccezionale, particolare, per quei soggetti che con lo Stato stabiliscono questo tipo di rapporto.

Naturalmente, non si possono concludere le intese e poi aspettare anni per l'intervento parlamentare. Lo Stato può decidere se concludere o meno l'intesa - cioè non c'è un diritto all'intesa -, ma, una volta che essa è stata portata a conclusione, deve sottoporla al Parlamento per l'approvazione, perché l'attesa è ingiustificata.

In conclusione - oggi il mio intervento è stato più lungo ma ho anche tenuto conto del dibattito svoltosi nelle sedute precedenti -, alcuni istituti richiedono un particolare tipo di attenzione, soprattutto quando si tende a dare ad essi una conseguenza sul piano dell'ordinamento generale dello Stato.

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Infatti, se ciò avviene sostanzialmente in un regime di separazione totale, non ci sono problemi, ma quando si tratta di dare ad essi un'efficacia con riferimento all'ordinamento dello Stato, allora questi istituti richiedono un'attenzione particolare.

Ho segnalato due punti che sono stati oggetto di discussione sia in Commissione sia nel corso delle audizioni, il regime dell'insegnamento e quello del matrimonio (ovviamente con effetti civili).

Al regime di insegnamento si riferiscono due disposizioni, presenti nei testi, che riguardano il diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose ed il profilo della libertà religiosa nella scuola pubblica. Si potrebbe trattare un terzo profilo, quello relativo al diritto di istituire scuole da parte delle confessioni religiose. Questo rientra nel tema della libertà di insegnamento, ma è chiaro che le libertà hanno delle sovrapposizioni e dei contatti: chiaramente, la libertà di insegnamento e di religione sono vicine. Da questo punto di vista, tali vicende richiedono una messa a fuoco precisa, soprattutto quando parliamo non del regime base, ma di quello con il riconoscimento o, addirittura, del sistema delle intese.

La stessa cosa vale per il matrimonio. Si è discusso in una certa misura del problema della lettura degli articoli del codice civile. Gli attuali testi di legge prevedono un regime ottativo, cioè la possibilità della lettura di questi articoli in sede di pubblicazioni oppure durante il rito religioso. Le soluzioni apparse sono diverse. Naturalmente, nelle intese il regime ottativo è presente, ma, insisto, dobbiamo stabilire la regola generale, e poi le intese avranno delle discipline che possono essere particolari. In molti casi è emersa l'idea prevalente di stabilire la lettura degli articoli del codice civile in sede di

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pubblicazioni, dicendo che il matrimonio rimane fatto secondo il rito religioso. Naturalmente, anche su tale aspetto saremmo interessati a conoscere la vostra opinione. Sui problemi di cui ho parlato o su quelli che riterrete di sottoporci vi ascolteremo con attenzione, perché dalle audizioni svolte fino a questo momento abbiamo tratto indicazioni utili per il nostro lavoro.

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Zaccaria.

Do ora la parola ai nostri ospiti.

EJAZ AHMAD, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Sono un giornalista di origine pakistana e cittadino italiano. Rappresento l'Islam in qualche modo non arabo e sono l'unico membro asiatico della Consulta islamica. Di conseguenza, si tratta di un Islam non arabo, che in molti punti è diverso, e tengo molto alla mia testimonianza per quanto riguarda il mio Islam.

La società italiana di oggi è multiculturale, ma non è interculturale: diventerà interculturale quando ci sarà il dialogo fra gli autoctoni e gli immigrati. I musulmani in Italia sono più di un milione (990 mila sono immigrati e 10 mila italiani convertiti all'Islam). Di conseguenza, la struttura dei musulmani in Italia è legata molto all'emigrazione. Ho letto i vostri testi e con la Consulta islamica stiamo lavorando da più di due anni. Penso che per la discussione con l'Islam non basti un solo incontro, perché è la seconda religione di questo paese ed è molto complessa. La maggior parte dei componenti della Consulta islamica sono musulmani moderati ed abbiamo avuto molti incontri tra di noi per creare un pensiero che possa aiutare per un Islam italiano. Islam italiano e Islam in Italia sono due cose diverse: noi vogliamo un Islam italiano e non un Islam in Italia, perché l'Islam in Italia non combacia con la legge e la Costituzione italiana per quanto riguarda il

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matrimonio, la persona, la poligamia, la collocazione del bambino, la libertà religiosa nelle scuole, e via dicendo.

Di conseguenza, abbiamo lavorato molto per dare vita ad un Islam italiano, che non esiste perché dobbiamo crearlo discutendo tra di noi. Solo il 5 per cento dei musulmani insiste con l'Islam in Italia e con vecchie esperienze e i vecchi modelli culturali, che non combaciano né con la legge sull'immigrazione né con le leggi italiane.

La società italiana, oggi, ha tanta paura e tante fobie nei confronti dell'Islam; perciò, il lavoro di intesa deve essere molto profondo: ci vuole la partecipazione della cittadinanza perché l'Islam di oggi sta vivendo una grossa crisi, non ha un'entità come quella dei buddisti o degli induisti. Credo che, prima di concludere un'intesa o di cominciare questo lavoro, dovremmo chiarire che siamo qui per giungere ad un'intesa fra il Governo e l'Islam italiano; altrimenti, finiremo sempre come abbiamo terminato i nostri discorsi nel passato.

Per quanto riguarda il matrimonio, la famiglia, dobbiamo prendere in esame la posizione della donna, che deve essere individuata come persona e sempre considerata.

Nel progetto di futura approvazione vanno poi ben specificati i termini «cittadino» ed «extracomunitario», poiché gli extracomunitari non sono cittadini in Italia; infatti, non vi è ancora una legge sull'immigrazione che attribuisca pari opportunità agli immigrati, che molte volte sono discriminati.

Riguardo all'intesa che si può concludere con l'Islam, è obbligatorio creare una fondazione che dia voce all'Islam italiano, facilitando così un unico pensiero. Ad esempio, quando nell'India del 1500 Akbar si trovò a dover approntare una legge avendo a che fare con 66 confessioni diverse, istituì un ministero per le religioni chiamato Ibadat Ghah. Attraverso

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tale soluzione, Akbar riuscì a creare un'intesa tra le religioni; l'Islam perse alcune cose ma, di contro, ne acquistò di nuove: infatti, quell'Islam è diverso dall'Islam arabo.

La stessa cosa oggi vale per l'Islam turco, da quale possiamo prendere molti esempi, anche se non vanno fatti riferimenti ai paesi fondamentalisti.

KHALIL ALTOUBAT, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Signor presidente, sono nato in Palestina, ad Hebron, ma ho origini giordane e sono cittadino italiano.

Nella mia città di nascita vi è la moschea di Abramo, che è divisa in due: da una parte pregano i musulmani, dall'altra gli ebrei. Questo esempio ci fa capire la complessità delle religioni: noi discendiamo tutti da Abramo e siamo tutti semiti, quindi coloro che ci accusano di essere antisemiti sbagliano perché, se ciò fosse vero, andremmo contro noi stessi.

Speriamo che questi progetti di legge vadano a buon fine anche se, come ha detto l'onorevole Zaccaria, sono ormai quindici anni che si sta discutendo poiché le difficoltà da superare sono molte, essendo l'argomento molto complesso. Comunque, approvare questa legge è molto importante, in quanto dal 2001 vi è più disordine nel mondo e la situazione deve essere in qualche modo sanata. Molti anni fa le cose stavano diversamente poiché non vi erano delle vere e proprie comunità; è da qui che nasce la necessità di abrogare la precedente legge risalente al 1929.

Delle persone anziane mi hanno detto che, sessant'anni fa, sugli autobus vi era chi si nascondeva alla vista di una persona di colore. L'Italia deve affrontare una realtà costituita da circa 300 mila immigrati all'anno - si tratta di dati del Ministero dell'interno -, di cui il 40 per cento sono di religione islamica.

Un altro importante dato è costituito dalle leggi antiterrorismo, che limitano la libertà religiosa. In Palestina, ad

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esempio, sono state impedite molte donazioni a famiglie veramente bisognose perché, a causa della legge antiterrorismo, chi dona può venire accusato di fornire aiuti alle organizzazioni terroristiche. Anche negli Stati Uniti sono state approvate molte leggi che hanno limitato la libertà personale.

Ringrazio la Commissione per l'impegno che sta dimostrando.

PRESIDENTE. Lei sa che anche il terrorismo ha limitato le nostre libertà.

MARIO SCIALOJA, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Signor presidente, ringrazio anzitutto l'onorevole Zaccaria per l'eccellente presentazione del progetto di legge in materia, che, come egli stesso ha sottolineato, è in discussione da parecchie legislature e che finora il Parlamento ed il Governo non sono riusciti a portare avanti. Nella legislatura passata fu un notevole sforzo anche da parte dell'allora Presidente del Consiglio ma, per le ragioni che voi conoscete molto meglio di me, quel provvedimento non è mai approdato in aula.

Mi rendo perfettamente conto che il provvedimento riguarda la libertà di coscienza o di religione, anche se, attualmente, credo contempli solamente la libertà religiosa; francamente, riterrei più opportuno un ritorno alla dizione «Norme sulla libertà di coscienza e di religione». Comunque, esso è di nuovo all'esame della Commissione affari costituzionali; di questo sono molto lieto e spero che venga finalmente approvato, così da superare il regio decreto del 1929 sui culti ammessi. Naturalmente, bisogna tener conto dell'evoluzione della società mondiale e italiana da vent'anni a questa parte.

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Nella sua presentazione, l'onorevole Zaccaria ha detto che il progetto di legge tende a rendere meno urgente il problema delle intese. Su questo posso concordare, anche se debbo osservare che, una volta imboccata da parte dello Stato italiano la strada delle intese con le varie chiese cristiane e con le religioni diverse da quelle cristiane, risulta difficile fermarsi. Intendo dire che la presenza o l'assenza di un'intesa con lo Stato diventa, da parte della comunità religiosa, anche un problema di status, non solamente giuridico ma anche sociale. D'altra parte, mi rendo conto che negoziare intese con le 600 religioni presenti in Italia - secondo quanto sostenuto da Massimo Introvigne nella sua «Enciclopedia delle religioni» - è veramente molto difficile. Pertanto, non si può profilare certamente un diritto all'intesa e lo Stato non ha il dovere di concludere intese, anche se bisogna tenere conto di vari fattori. Nel caso dell'Islam, per esempio, bisogna tenere conto del fatto che è la seconda religione praticata in Italia, se consideriamo gli immigrati non ancora italiani. Se, invece, consideriamo solamente i cittadini italiani, la seconda religione praticata in Italia sarebbe quella dei Testimoni di Geova. Quindi, il problema delle intese, nel caso dell'Islam, è all'ordine del giorno.

Ho letto con attenzione la proposta di legge attualmente all'esame della Commissione. Non voglio dilungarmi troppo per lasciare spazio agli altri, ma vorrei fare alcune osservazioni, non di carattere generale, ma di carattere pratico, sul testo che mi è stato cortesemente consegnato.

Prima di tutto, vorrei riferirmi a quella parte del testo in cui si parla di ministri di culto. Nell'ordinamento giuridico italiano, l'espressione «ministri di culto» indica una figura abbastanza precisa. Dobbiamo tener conto che il diritto italiano, come diritto basato sul diritto romano, non è la

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common law anglosassone, che consente una certa elasticità di interpretazione sulla base della realtà sociale e del culto, ma è un sistema giuridico che si basa fondamentalmente sulla lettera della norma, sulla certezza. Quindi, bisogna stare un po' attenti, perché nell'Islam, come d'altra parte nell'ebraismo, la figura del ministro di culto non esiste. Nell'Islam non esistono riti religiosi o liturgie, come nel cristianesimo e anche in altre religioni; il ministro del culto, da noi, è l'imam, che è un laico qualsiasi. In l'Italia, spesso, nelle varie comunità sparse per l'Italia, è il proprietario del piccolo ristorante, il titolare della piccola impresa, il proprietario di un negozio, che organizza una sala di preghiera nel proprio retrobottega o in un sottosuolo affittato o da qualche altra parte.

Quindi, parlare solamente di ministri di culto e dei diritti e dei doveri che questi hanno potrebbe, nel caso dell'Islam, creare delle difficoltà, da parte non certamente dell'autorità governativa o della magistratura, ma delle autorità locali. Per esempio, il direttore di una prigione o una autorità comunale qualsiasi potrebbe ritenere che l'imam non sia un ministro di culto a norma della legge sulla libertà religiosa o - come mi auguro - di quella sulla libertà di coscienza e di religione, non sapendo chi esso sia. Forse, a fianco dell' espressione «ministri di culto», sarebbe opportuno introdurre delle parole aggiuntive.

Ciò vale anche per l'ebraismo. Teniamo conto che il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, è primario radiologo in un ospedale e non il membro di un clero che svolge funzioni specifiche. Sarebbe forse possibile aggiungere una espressione - e qui azzardo una formulazione un po' «peciona,» se vogliamo - del tipo «o figure che svolgano funzioni assimilabili o paragonabili», in maniera da impedire l'insorgenza

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a livello locale, da parte di autorità locali municipali o di altro tipo, di difficoltà di interpretazione sul concetto di ministro di culto.

Effettivamente, l'imam non è un ministro di culto, è una persona qualsiasi che, di fronte ai fedeli, guida la preghiera, ma non svolge un rito, non svolge una liturgia, come il sacerdote cattolico assistito dai diaconi. Egli è un signore che, pronunciando invocazioni a voce alta, fa sì che tutti i fedeli preghino all'unisono, nella preghiera comunitaria del venerdì, ma non svolge un rito particolare; è un fedele come un altro: egli rivolge al signore la sua preghiera individuale come tutti i fedeli che sono con lui. Quindi, non è un ministro del culto. Forse, quindi, sarebbe opportuno, nel testo del progetto di legge, aggiungere qualche parola per chiarire il concetto di ministro di culto.

Un secondo argomento riguarda la sepoltura. Il progetto di legge, molto opportunamente, prevede che i fedeli di religione diversa dalla cristiana o dalla cattolica possano essere sepolti secondo il proprio rito religioso. Questa è una disposizione molto nobile, anche se si tratta di un argomento molto triste, e ringrazio l'estensore del progetto per avere incluso questo argomento nel testo del progetto. Esiste, però, un piccolo problema. La sepoltura islamica, come quella ebraica, presenta delle similarità. Lasciamo stare il fatto che i corpi andrebbero sepolti avvolti in un telo bianco, perché chiaramente questo in Italia non è possibile e tutti osserviamo le norme di polizia mortuaria italiana (la doppia cassa e via dicendo); però, rimane un particolare molto significativo del rito funebre, perché le salme islamiche o ebraiche devono essere orientate in un modo particolare: i musulmani ortogonalmente alla direzione della Mecca (possibilmente, nella bara - scusate il particolare così macabro -, con la testa leggermente rivolta

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verso la Mecca), gli ebrei rivolti verso Gerusalemme. La possibilità di seppellire i defunti in questa particolare orientazione dipende da una decisione delle amministrazioni municipali che gestiscono i cimiteri. A parte Roma, dove c'è il cimitero di Prima Porta, che però ormai è esaurito, e Trigoria, che dispone di un'area di sepoltura islamica e di una di sepoltura ebraica, in moltissime città italiane - non a Trieste, perché l'ha ereditato dall'impero austro-ungarico - ciò non esiste.

Alcune autorità municipali, sensibili a questo problema, molto nobilmente sono venute incontro a tale esigenza; cito, per esempio, il sindaco di Rieti, Antonio Cicchetti, attualmente consigliere regionale a Roma, il quale cinque o sei anni fa inaugurò a Rieti, che non ne disponeva, nell'area del cimitero municipale, un'area per le sepolture ebraiche e una per le sepolture islamiche. Questo cimitero ebraico ed islamico, nel quale le aree sono contigue, venne inaugurato alla presenza dell'imam della grande moschea di Roma (c'eravamo anch'io, il segretario generale del centro ed Elio Toaff, che non era più rabbino capo di Roma, avendo da poco lasciato tale carica). In moltissime città queste aree non esistono.

Quindi, se nella legge si prevede il diritto ad una sepoltura secondo le norme islamiche - fondamentalmente, l'orientamento della salma - senza stabilire il dovere dell'amministrazione municipale di rendere tale sepoltura possibile, il diritto in questione rimane non esigibile e non attuabile. Chiaramente, non possiamo essere seppelliti in fornetti o loculi, ma sottoterra. Nelle aree cimiteriali destinate all'inumazione, le sepolture avvengono secondo - scusate l'espressione - un piano regolatore che non si occupa della direzione della salma, perché per la religione cristiana non vi è l'esigenza

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che la salma sia diretta secondo un certo asse; per questo, occorre che le autorità municipali consentano questa angolazione diversa da quella prevista dal piano regolatore.

Quindi, ritengo che occorre prevedere nel testo il dovere delle autorità municipali di individuare aree, piccole o grandi, per le sepolture islamiche, anche perché la comunità islamica italiana, pur giovane, sta invecchiando, come tutti noi, per cui il numero delle inumazioni aumenterà. Per esempio, attualmente, a Roma, con l'autorizzazione del Centro islamico culturale d'Italia, vengono inumate salme di persone morte altrove; naturalmente, le famiglie si devono far carico di trasportare le salme fino a Roma e di chiedere l'autorizzazione (pratica non semplice). Tra l'altro, il cimitero di Prima Porta ormai è esaurito (ieri un povero ragazzo somalo, morto di infarto a 33 anni, è stato sepolto nell'ultimo posto disponibile), anche se rimane il cimitero di Trigoria. Nella legge quindi sarebbe opportuno un richiamo al dovere delle autorità municipali di concedere un'area a tal fine.

La terza questione riguarda i matrimoni. Naturalmente, con riferimento all'Islam - ciò è stato espresso da alcune forze politiche in Italia -, esiste il timore che possa essere introdotta la poligamia. Va detto che essa è proibita dalla legge in Turchia e in Tunisia - non è proibita per legge in Marocco, paese di Souad Sbai, ma lo è in pratica - e che quindi è in rapida scomparsa. Non è scomparsa come è avvenuto nell'ebraismo (intorno all'anno mille in Europa; in epoca molto più recente nei paesi islamici), però il problema indubbiamente esiste.

Si pone il problema del matrimonio religioso senza effetti civili. Ho parlato di tale problema, in passato, sia con il Ministero dell'interno sia con la Presidenza del Consiglio e mi è stato detto: sì, ma come facciamo a dire «no» ad un

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matrimonio islamico solo agli effetti religiosi se la Chiesa cattolica è libera - in teoria, perché, in pratica, in Italia non lo fa - di celebrare matrimoni solamente ai fini religiosi, senza effetti civili? Non possiamo fare discriminazioni tra Chiesa cattolica e Islam o tra ebraismo e Islam. Ciò, in teoria, è vero, ma vi è un piccolo problema: nell'Islam il matrimonio solo ai fini religiosi non esiste. Infatti, il matrimonio, nell'Islam, è un contratto civile, che può essere firmato nel salotto di casa propria, attorno alla tavola da pranzo, nel corso di un banchetto. Molto frequentemente, viene firmato in una moschea alla presenza dell'imam, sia che si tratti di un imam vero - e in Italia ve ne sono molto pochi - sia che si tratti di un imam un po' fasullo; la circostanza non ha importanza, non perché la cerimonia abbia un significato religioso, ma unicamente perché si suppone che l'imam sia la persona più qualificata a redigere il contratto civile secondo le norme islamiche, norme che, tra l'altro, variano da paese a paese.

Infatti, il diritto familiare, sharia o no, differisce molto da un paese all'altro dell'Islam, sia per i diritti dei coniugi, sia per il divorzio, sia per molti altri aspetti. Pertanto, bisogna fare attenzione al fatto che nell'Islam i matrimoni ai fini religiosi non esistono. È un problema particolare, che ha importanza per impedire una finta importazione in Italia della poligamia, che chiaramente è vietata dalla legge e dall'ordine pubblico italiano. Forse, si tratta di materia oggetto più di una intesa con una singola confessione religiosa, che non di un provvedimento legislativo, perché si potrebbero determinare complicazioni molto gravi, che hanno importanza soprattutto per una componente religiosa in Italia e non per molte altre. Non so quale sia il trattamento del matrimonio nel buddismo o nell'induismo; comunque, è certamente un problema che riguarda l'Islam.

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L'onorevole Zaccaria ha parlato anche della libertà religiosa nella scuola pubblica e nelle scuole confessionali. In Italia...

MARCO BOATO. Domando scusa, signor presidente. Poiché Scialoja sta parlando dell'articolo 11, vorrei che completasse il suo ragionamento, perché ha fatto una descrizione interessantissima, ma non ho capito la sua posizione; quindi, gli chiederei di esprimerla meglio.

MARIO SCIALOJA, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Onorevole Boato, cercherò di dire qualcosa in più. Al pari di quanto ho fatto per la Commissione affari costituzionali nella scorsa legislatura, posso predisporre una relazione anche per questa Commissione, entrando maggiormente nei dettagli.

Il problema è che un matrimonio celebrato secondo le consuetudini islamiche in Italia non è un matrimonio religioso, è un atto notarile, nel quale il pericolo è non solo una «criptoimportazione» in Italia della poligamia, ma che la donna che stipula un contratto di matrimonio islamico in Italia sia la seconda o terza moglie di un solo marito e si trovi in posizione di oppressione o di limitazione della propria libertà, con conseguenti problemi personali. Si tratta, quindi, anche di un problema di libertà e di pari diritti delle donne, che devono essere tutelate. È un argomento abbastanza sottile, onorevole Boato, che, se me lo consente, dettaglierò meglio nella relazione che nelle prossime settimane consegnerò al presidente Violante. Spero di aver soddisfatto la sua richiesta.

MARCO BOATO. Sì, la ringrazio.

MARIO SCIALOJA, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Tratterò ora l'argomento della libertà religiosa nella scuola pubblica e nelle scuole confessionali.

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Come è noto, la scuola pubblica è di gran lunga il migliore strumento di integrazione di cui disponiamo, e nella scuola pubblica di uno Stato laico la religione non dovrebbe essere insegnata. In Italia vi è l'insegnamento facoltativo della religione cattolica, ed è logico, considerando l'origine della società italiana, la religione prevalentemente praticata, le tradizioni, e via dicendo. Non ho nulla contro l'esposizione nelle aule scolastiche del crocefisso; ciò lo ha detto anche il segretario generale della Lega musulmana mondiale in Italia, quando venne a Roma, due anni fa, mentre era in corso la polemica sollevata da Adel Smith. Quindi, vi è certamente libertà religiosa nella scuola pubblica, anche se ritengo praticamente difficile, considerata la molteplicità delle confessioni professate in Italia, che possa essere ammesso nella scuola pubblica l'insegnamento di molte religioni diverse.

L'insegnamento religioso dovrebbe essere a carico della famiglia ed anche delle scuole confessionali. Non ho nulla contro l'istituzione in Italia di scuole islamiche: perché dovrei avere riserve in merito? Vi sono scuole americane, scuole inglesi, scuole francesi, scuole cattoliche, quindi perché non vi dovrebbero essere scuole islamiche, purché obbediscano a criteri particolari fissati dal Ministero della pubblica istruzione, vale a dire che siano scuole islamiche nelle quali i testi di insegnamento siano pubblici, visibili a tutti e non tenuti segreti (in merito, è stata data notizia su Il Messaggero di una polemica sollevata poco tempo fa da una scuola islamica, a Roma)? Dicevo, dunque, che i testi devono essere pubblici e che nelle scuole islamiche devono essere impartiti gli insegnamenti essenziali della scuola pubblica italiana, vale a dire deve trattarsi di scuole in grado di rilasciare titoli di studio, parziali o definitivi, riconoscibili dall'ordinamento pubblico italiano. Altrimenti, tali scuole formerebbero giovani, ragazzi

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e ragazze, che non avrebbero poi la possibilità di iscriversi all'università, che disporrebbero di un titolo di studio che non può essere utilizzato ai fini dei curricula professionali per impieghi pubblici o privati; si tratterebbe quindi di persone che non saprebbero come organizzare la propria vita.

Perché dunque non istituire scuole islamiche? Come ho già detto, vi sono molte scuole cattoliche in Italia. Credo, dunque, che si possano istituire scuole islamiche, a condizione che le medesime obbediscano ai criteri fondamentali che ho enunziato e formino ragazzi e ragazze che, in seguito, possano trovare una posizione nella società italiana e nel mercato del lavoro.

Avrei ancora altro da dire, ma preferisco terminare qui il mio intervento. Come dicevo, avrò poi occasione di presentare, penso tra un paio di settimane, un documento dettagliato in materia.

KHALED FOUAD ALLAM. Vorrei parlare del concetto di scuola islamica, che non esiste, è una pura invenzione, perché nei paesi islamici vi è o la madrasah, in cui si imparano i primi rudimenti del Corano, o la scuola tout court, ossia la divisione tra scuola islamica e scuola «laica» non esiste. Bisogna stare molto attenti a tale tipo di formulazione.

Inoltre, le altre scuole religiose in Europa si sono sempre sviluppate all'interno di un contesto di accettazione della laicità, aspetto ben diverso, perché in realtà l'idea di una scuola islamica non ha alcun paragone con ciò che ha a che fare con le scuole cattoliche, ebraiche ed altre. Sono aspetti totalmente diversi. Bisogna stare molto attenti, perché ciò che facciamo in Italia - ma lo fanno anche altri paesi europei - è del tutto inedito. Stiamo costruendo una via nazionale alla

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formulazione di un Islam che si integra e si relaziona con le categorie che hanno fatto la storia di questo paese, l'Italia, e poi dell'Europa in generale.

Dunque, bisogna stare molto attenti, perché non vi sono simmetrie, non tutto è paragonabile. Occorre porre molta attenzione all'uso dei concetti che adoperiamo, perché altrimenti si potrebbero produrre conseguenze di cui non si possono misurare nemmeno gli effetti devastanti. Ciò non vuol dire, ovviamente, che i ragazzi arabi e musulmani non abbiano il diritto all'insegnamento della propria lingua e della propria religione. Ciò, tuttavia, potrebbe passare attraverso metodologie di azione e strategie politiche ben diverse dal mettere in rilievo una simmetria tra «x» ed «y».

YAHYA SERGIO YAHE PALLAVICINI, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Ringrazio la Commissione per l'interessante e importante occasione di confronto istituzionale che ci è stata offerta. Spero che questa iniziativa dia anche un contributo in termini di maggiore qualità e conoscenza per l'esame delle proposte di legge in materia di libertà religiosa.

Ho strutturato metodologicamente la mia preparazione a questa audizione cercando di configurare uno scenario applicativo. In altri termini, mi sono domandato quale potrebbe essere tale scenario, relativamente alla comunità islamica attuale, se una delle proposte di legge, quella di iniziativa dell'onorevole Boato o quella dell'onorevole Spini, dovesse essere approvata. Evidentemente, si tratta di uno scenario immaginario, che però vorrebbe configurare alcuni aspetti concreti delle varie situazioni relativamente alla specificità della confessione islamica.

In quest'ottica, vorrei fare una premessa, che si collega ad alcuni passaggi degli interventi svolti soprattutto da Ejaz Ahmad e da Mario Scialoja, nonché all'intervento dell'onorevole

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Allam. Esiste, infatti, un problema, emerso anche nel corso dal dibattito che ha preceduto questa audizione, vale a dire il rischio di una confusione, di una associazione o di una collusione tra il vero Islam, autentico, plurale e caratterizzato, come sottolineava il presidente Violante, da una sua varietà e da una rappresentanza orizzontale, ed una nicchia o una frangia estremista e formalista, che nulla ha a che fare con esso e che, piuttosto, prende a prestito o strumentalizza alcuni valori e principi dell'Islam per logiche di potere, tra l'altro anche a discapito del senso nobile e autentico del fare politica. Questo è il primo chiarimento metodologico che volevo fare.

Per quanto riguarda i singoli temi, per brevità mi riferirò solo ad alcuni di essi, uno dei quali è stato già trattato, nella sua introduzione, dall'onorevole Zaccaria. La CO.RE.IS, la Comunità islamica italiana, che oggi rappresento, ed anche io personalmente, siamo sostanzialmente favorevoli e consideriamo positivamente queste due iniziative legislative, in particolare quella dell'onorevole Spini, per via di una sfumatura che spiegherò. Anche da parte islamica, condividiamo l'impostazione e l'opportunità di una nuova disciplina. L'unica preoccupazione, peraltro già sottolineata, attiene, a mio avviso, al rischio di rendere meno urgente, meno necessario o, addirittura, eventuale lo strumento dell'intesa. La preoccupazione, a mio avviso, è che non si sostituisca, con la nuova legge, lo strumento dell'intesa, alla quale non vorrei dare un'interpretazione ed un valore simbolico. Infatti, essa ha un valore concreto, a nostro modo di vedere, poiché rappresenta un modello, anche italiano, di dialogo e di accordo, ufficiale e concreto, fra Stato laico e confessioni religiose, che potrebbe essere, forse, di esempio per altri sistemi democratici, in Europa e altrove. Infatti, non è laicisticamente discriminante nei confronti delle religioni e non è indifferente nei confronti

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della dimensione spirituale, ma cerca di disciplinare il rapporto sulla base di una sana laicità e di una integrazione qualificata tra le varie rappresentanze delle confessioni religiose esistenti in Italia.

In questo consiste lo strumento dell'intesa, e a me sembra molto importante. Se fosse sostituita con un altro strumento, ci sarebbero almeno due aspetti negativi. Innanzitutto, si creerebbe una situazione di fatto per cui solo alcune confessioni, e non altre, stipulerebbero una intesa con lo Stato italiano. Ne deriverebbe una disparità e, se posso dirlo, una possibile discriminazione di standard o di discernimento tra confessioni, che non auspico. Al contrario, auspico che tutte le confessioni religiose possano essere riconosciute e sancite da una intesa, se lo Stato lo ritiene opportuno, anche dopo l'approvazione di queste proposte di legge. In secondo luogo, tra i vari benefici derivanti dall'intesa, c'è anche lo strumento, di non poco significato, del finanziamento derivante dal contributo dell'8 per mille dell'Irpef, che potrebbe agevolare la gestione di opere o attività di culto anche da parte della confessione islamica. Tutto questo rafforza, come minimo, la nostra preoccupazione o attenzione nei confronti dello strumento dell'intesa.

Ho svolto anche un marginale approfondimento su un tema che è stato molto ben illustrato dall'onorevole Zaccaria, quello della complementarietà tra la «maturazione» di queste proposte di legge sulla libertà religiosa e i progetti di legge in materia di cittadinanza. In effetti, le iniziative possono andare nella stessa direzione o, comunque, aprire un nuovo scenario di ciò che definisco come una nuova identità della cittadinanza italiana.

Entrando nel merito della questione dei ministri del culto, rinvengo quella che, a mio avviso, è l'unica sostanziale

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differenza fra le proposte di legge Boato e Spini. A tale riguardo, esprimo una preferenza per l'iniziativa dell'onorevole Spini. Infatti, quest'ultima cerca di disciplinare proprio il problema dei ministri del culto e, nel mio immaginario, una tale regolamentazione credo possa essere a beneficio della confessione e della comunità islamica. In attesa del riconoscimento effettivo di un ente giuridico al quale sia eventualmente demandata la responsabilità di formare e organizzare i ministri del culto e quant'altro, e in attesa di un'auspicabile intesa tra lo Stato ed un ente esponenziale, con una rappresentanza plurale, condivisa e auspicabilmente unitaria della confessione islamica, credo sia utile e quanto mai opportuno che il Ministero dell'interno - così come è stato proposto - possa non tanto sancire, nel senso di scegliere, quanto coadiuvare, eventualmente di concerto con la Consulta o con il contributo di consiglieri del ministro per l'Islam, nella predisposizione di un albo degli imam. Di questo si è parlato anche con l'onorevole Allam.

Agli imam riconosciuti ed inseriti in tale albo dovrebbe essere attribuita la responsabilità della gestione delle attività, in attesa, come dicevo, del riconoscimento di un ente o di una auspicabile intesa. Ciò permetterebbe di disciplinare, regolare e rendere trasparente, almeno per quanto riguarda la nostra religione, l'Islam, l'attività degli imam. Il problema è non tanto quello di evitare che ci siano imam «fai da te» ma quello della esistenza, purtroppo, di falsi imam, di predicatori di odio, cioè di persone che utilizzano i sermoni e il titolo di imam per veicolare una propaganda proselitaria, che si autodefinisce religiosa, e per preparare un terreno ideologico che fomenti una rivolta, una società parallela o una rivoluzione ideologica di matrice islamista. Come musulmani, questo noi non lo vogliamo e riteniamo particolarmente importante una regolamentazione

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e una disciplina degli imam, cui potremmo affidare la responsabilità di isolare le frange più estremiste o ideologicamente connotate.

L'ultimo tema, per quanto ci riguarda, è quello principale ed è già stato sollevato in precedenza.

MARCO BOATO. Mi scusi, a questo proposito, lei ha fatto riferimento all'unica differenza esistente tra la proposta di legge di iniziativa del deputato Spini e quella da noi presentata, ossia il terzo comma dell'articolo 10. Qual è la sua posizione al riguardo?

YAHYA SERGIO YAHE PALLAVICINI, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Preferisco la versione del deputato Spini, in attesa del riconoscimento di un ente e di un'auspicabile intesa: almeno, in tal modo, vi è una disciplina concernente quelli che potremmo definire (non entro nel merito della finezza terminologica di Mario Scialoja) i ministri del culto islamici sul territorio nazionale. Oggi, infatti, vi è il caos. E, a mio modo di vedere, bene ha fatto il precedente ministro dell'interno Pisanu ad espellere alcuni ministri di culto, perché purtroppo si erano resi complici di una propaganda che non ha nulla a che vedere con la religione islamica.

In conclusione, vengo alla questione dell'interlocutore islamico: si tratta di un'altro aspetto a favore di questa proposta di legge, che ribadisce quanto già previsto, ma non esplicitato. Tale proposta di legge prevede (e questo, a mio giudizio, è un pericolo) che un ente non riconosciuto possa richiedere un'intesa: ciò, nel caso islamico, potrebbe portare - lo dico per tutelare gli interessi di coloro che credono nei veri principi dell'Islam - ad una confusione abbastanza grave. Infatti, qualunque confessione religiosa potrebbe tentare di chiedere un'intesa al Ministero dell'interno, anche se non riconosciuta.

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Vero è che il Ministero dell'interno dovrebbe fare le opportune verifiche.

Personalmente, ritengo che, invece, una doppia verifica da parte del Ministero dell'interno e del Consiglio di Stato, anche per quanto riguarda l'Islam (considerata anche la frangia dei Fratelli musulmani, che tanto contamina sia il mondo islamico sia, purtroppo, l'Islam in Italia, come bene ha sostenuto Ejaz Ahmad), rappresenterebbe uno strumento di tutela dei veri musulmani - lo dico molto chiaramente -, di verifica e di controllo, e garantirebbe la reale laicità dello Stato italiano da parte delle istituzioni. Tra l'altro, faccio presente che l'organizzazione che rappresento ha già ottenuto il parere favorevole del ministro dell'interno e del Consiglio di Stato; ma da cinque anni, purtroppo, siamo in attesa di una valutazione di opportunità politica che, inspiegabilmente, non arriva. Colgo l'occasione per auspicare che tale processo possa giungere a maturazione.

Se ciò avvenisse, nello scenario attuale vi sarebbero un ente riconosciuto culturalmente (il Centro islamico culturale d'Italia) ed un ente riconosciuto tra le associazioni religiose, e si potrebbe già configurare la maturazione - come diceva Ejaz Ahmad - di una federazione di correnti, associazioni e movimenti dell'Islam moderato o autentico d'Italia, che insieme possano richiedere formalmente un'intesa. Tutto ciò ponendo paletti chiari ad associazioni che assumono determinate configurazioni, non per colpa nostra né per iniziativa o ingerenza dello Stato: non si può riconoscere un'associazione che non garantisce i principi di fedeltà all'ordinamento giuridico o al sistema democratico. Questo mi sembra lo scenario più auspicabile.

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Ho inviato alla segreteria della Commissione affari costituzionali una relazione scritta che sarà a disposizione dei membri della Commissione.

Vorrei concludere il mio intervento riferendomi ad una questione che non ho sollevato e che tocca temi di ordine generale. Giuridicamente, forse, non vi è alcuna possibilità di chiarire tale questione, che non riguarda l'Islam. È un problema di principio: non esiste una distinzione chiara tra religioni e sette. Vorrei far presente questo problema: se in futuro un partito politico di matrice islamica, tra virgolette, volesse chiedere il riconoscimento o un'intesa, o se l'associazione degli ufologi o l'associazione degli agnostici razionalisti volessero chiedere un'intesa, questa legge potrà in qualche modo trovare applicazione? È un tema che riguarda lo Stato.

La Chiesa cattolica, la comunità islamica, la comunità ebraica e altre religioni potrebbero non avere nessun diritto a sindacare; ma potrebbero avere qualche legittimo imbarazzo per essere comunque accomunate o affiancate ad associazioni che, tutto sommato, non hanno nulla a che vedere con la religione. Si tratta di una questione che richiederebbe un chiarimento.

ROBERTO ZACCARIA. Brevemente, vorrei fare riferimento a due questioni, che emergono anche dal dibattito che stiamo svolgendo.

Rispetto ai tre livelli di trattamento che ho individuato all'inizio - non riconoscimento, riconoscimento e intese -, giustamente, sta emergendo un quarto livello: quello del riconoscimento della figura del ministro del culto o di figure equivalenti. Mi riferisco a quanto diceva il presidente Scialoja.

Oggettivamente, vi è una prima fase - quella generale - nella quale si pone un problema, e non so se esso potrà essere risolto dal legislatore: mi riferisco a quello concernente le

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confessioni religiose. Finora, la questione è rimandata all'interpretazione della magistratura. Certamente, la libertà religiosa riguarda gli individui e le confessioni religiose. Il legislatore può tentare di fornire alcune definizioni; ma è un compito molto difficile dare la definizione di «confessione religiosa».

Sono tali soggetti - ossia, l'individuo e le confessioni - ad avere la tutela costituzionale. Se non si dice nulla, sarà la magistratura a stabilire l'estensione di questo diritto.

Certamente, questi quattro livelli esistono. Vi sono le confessioni non riconosciute: peraltro, la Costituzione si riferisce a tutte le confessioni e non soltanto a quelle riconosciute. Vi è il problema del riconoscimento del ministro del culto o delle figure equivalenti. Vi è il riconoscimento oggettivo della confessione, che naturalmente rappresenta un'altra questione, e vi è il problema delle intese.

Per quanto riguarda le intese, non credo vi debba essere un'alternatività: può benissimo essere applicata questa proposta di legge e, tra l'altro, alcune sono già in corso. Ma non è che essa rappresenti il treno più veloce, l'Eurostar, e le altre un treno secondario. Credo che oggettivamente, nella misura in cui riusciamo a inserire in questa proposta di legge una serie di istituti garantiti anche in altri regimi (ad esempio, quello del riconoscimento), questo aspetto sarà meno importante. Non sottovaluto, però, quanto affermato sul valore simbolico e su tutto il resto.

Certamente, se si avvia l'iter che porta all'intesa, il procedimento non può rimanere a metà. Come è giusto che non rimanga a metà il percorso del riconoscimento. Come ho detto prima, ciò rientra in una logica di garanzia della pubblica amministrazione: se un procedimento inizia, deve essere concluso.

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PRESIDENTE. Alcuni colleghi parlamentari hanno chiesto di intervenire. Siccome sono previsti altri quattro interventi da parte dei nostri ospiti, se non vi sono obiezioni, proporrei di ascoltare loro, in modo poi di passare alle repliche e di concludere l'audizione intorno alle 13.

GULSHAN JIVRAJ ANTIVALLE, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Signor presidente, anch'io sono asiatica come Ahmad Ejaz; sono nata in Kenya, quindi in Africa, ma sono indiana di origine e faccio parte di un gruppo sciita molto piccolo: sono ismailita e seguo l'Aga Khan. In questa sede, per la maggioranza sono presenti esponenti sunniti: gli sciiti non sono molto rappresentati. In Italia, gli ismailiti sono molto pochi, ma nel mondo siamo dappertutto. Siamo ben integrati ed abbiamo intrapreso numerose iniziative con tanti Governi. Ad esempio, abbiamo un accordo con il Governo canadese e stiamo per aprire, ad Ottawa, un centro multiculturale. Aiutiamo molto il terzo mondo e ovunque vi sono nostre rappresentanze.

Per quanto riguarda questa proposta di legge, mi sembra che in essa la donna sia poco difesa. Per esempio, nei matrimoni misti, per quanto riguarda i figli che cosa succede. Probabilmente, deve esservi qualche accordo a margine con i vari Governi per i matrimoni celebrati presso le ambasciate o i consolati. Nei casi ricordati, infatti, una donna potrebbe trovarsi nella condizione di non sapere di essere la seconda o terza moglie e, una volta celebrato il matrimonio presso il consolato, potrebbe magari vedere il marito sparire con i figli. Insomma, mi sembra che la donna sia poco protetta. Vorrei che vi fosse un impegno maggiore in difesa della donna.

Inoltre, si prevede che il ministro di culto incaricato di celebrare il matrimonio debba poi registrare lo stesso. I tempi sono molto stretti, ma su questo si può discutere. Tuttavia,

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vorrei, come accade in altre parti del mondo, che il matrimonio venisse registrato civilmente dagli sposi e che, solo in seguito, il ministro di culto desse la benedizione. Insomma, il contrario di quanto previsto.

Penso, infatti, che in questo modo sarebbe protetta anche la donna, e non solo il matrimonio, e che si applicherebbe la legge italiana (non sono d'accordo sul fatto che il ministro di culto comunichi in seguito quanto deve).

Un altro aspetto riguarda le moschee. Si legge spesso sui giornali che vengono controllate cento, duecento e più moschee: il numero delle moschee aumenta sempre. Credo, invece, che una commissione dovrebbe controllare gli abusivi che si riuniscono in scantinati o in luoghi simili. Non sarebbe meglio avere, in ogni città, una moschea ufficiale dove tutti possono andare a pregare? Quella moschea, unica, sarebbe aperta, si saprebbe chi l'ha costruita, si potrebbe più facilmente controllare da dove provengono i soldi ad essa devoluti e chi vi si reca.

Le altre religioni non fanno ciò che fa l'Islam (per fortuna, direi). Non si ha una raccolta di fondi, molto spesso indirizzata agli estremisti che mettono le bombe. Da ciò che apprendo dai giornali, ci sono molti luoghi, in Europa e non solo, dove le moschee - per esempio, in Inghilterra - si tramutano in centri di raccolta di denaro per gli estremisti.

Così stando le cose, servirebbe un controllo, per evitare che ciò accada. Non sarebbe meglio che vi fosse un'unica moschea conosciuta e che le altre fossero poste fuori legge?

Infine, penso che l'imam debba avere una formazione ben precisa e che non debba essere possibile per chiunque diventare tale, fare sermoni e dare benedizioni.

ZEINAB AHMED DOLAL, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Sono un'infermiera e vengo dalla Somalia.

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Attualmente, sono cittadina italiana (qualcuno avrebbe detto da sempre).

Desidero, prima di tutto, esprimere il mio apprezzamento per l'intenzione del Parlamento italiano di procedere all'esame e di giungere all'approvazione di una legge organica, che tratti i diversi aspetti relativi alla libertà religiosa in Italia in una prospettiva che riconosca tale libertà, come affermato anche dalla Costituzione italiana, tra i diritti inviolabili dell'uomo senza distinzione di credo religioso o di nazionalità.

Proprio in questa prospettiva, considero utile approfondire alcuni aspetti particolari che si riferiscono a concreti diritti e libertà della persona. Si tratta di aspetti che mi hanno colpito proprio in considerazione della mia personale esperienza di straniera - oggi cittadina italiana - che vive e lavora in Italia da molti anni.

Vorrei, anzitutto, soffermarmi sull'articolo 8 della proposta di legge, che intende assicurare l'esercizio della libertà religiosa ed il rispetto delle pratiche del culto e delle restrizioni in materia alimentare in situazioni specifiche come la degenza, la permanenza in case di cura o di assistenza e la detenzione. Il rispetto di questa libertà costituisce un diritto inviolabile della persona che, proprio per questa ragione, non può essere assoggettata alla condizione del limite della spesa, indicata, invece, all'articolo 8. In altri termini, penso che debba essere riconosciuta tale tutela senza il limite predetto.

Inoltre, nel suddetto articolo sono indicati alcuni importanti luoghi pubblici della vita sociale ma altri, altrettanto importanti, non sono menzionati. Ritengo che sia necessario comprendere tra i luoghi in cui devono essere rispettate le prescrizioni alimentari anche le scuole di ogni ordine e grado.

Un aspetto importante che la proposta di legge affronta in due punti è quello relativo ai funerali e alla sepoltura.

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All'articolo 8, comma 3, viene preso in considerazione il caso della persona deceduta in servizio che appartenga ad una confessione religiosa avente personalità giuridica.

In questo caso, si assicura che i funerali siano celebrati da un ministro di culto della confessione religiosa di appartenenza. Anche questo aspetto mi sembra un diritto fondamentale della persona, con cui si riconosce la sua identità religiosa. Ritengo che, per tale ragione, questa prerogativa debba essere garantita a tutti, anche nei casi in cui la morte avvenga in occasioni diverse da quelle di servizio.

In tal senso, è importante anche quanto stabilito dal secondo comma dell'articolo 22, dove si prevede che la sepoltura avvenga secondo le prescrizioni rituali della confessione o dell'associazione religiosa di appartenenza dotata di personalità giuridica.

Sarebbe essenziale che la proposta di legge indicasse anche la celebrazione da parte del ministro di culto favorendo, fra l'altro, la creazione di luoghi specifici per la sepoltura, nel rispetto delle diversità delle fedi religiose.

MOHAMED NOUR DACHAN, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Nel nome di Dio, clemente e misericordioso, signor presidente, onorevoli parlamentari, sono onorato e felice di essere nel Parlamento della mia nazione, di quella nazione che, per mia scelta, è mia. Se io, un cardiochirurgo specializzato con votazione 70/70esimi, laureato in medicina e chirurgia e specializzato, inoltre, in chirurgia generale e medicina dello sport, ho scelto l'Italia come patria mia, dei miei nove figli e dei miei due nipoti, non è stato certo per scelta economica poiché, con le mie credenziali, avrei potuto guadagnare molto di più altrove, e neanche per altre motivazioni, che non è qui possibile vagliare. Sul piatto della bilancia, della scelta, c'era la libertà.

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Libertà: questa bella e preziosa parola, il cui valore viene pienamente apprezzato da chi l'ha persa, libertà che ci consente di lavorare, produrre, di essere in virtù dell'esercizio del libero pensiero e soprattutto della libertà religiosa (non a caso, oggetto del nostro incontro di oggi).

Onorevoli parlamentari, è con viva emozione e gioia che ho il privilegio di leggere questa breve nota (ho anche preparato delle cartelle, ma erano troppo pesanti, così ho creato dei cd in modo che coloro che lo desiderano, potranno ricevere il mio intervento su supporto informatico anche per posta elettronica) che accompagna i nostri suggerimenti e le nostre proposte in merito alla nuova legge sulla libertà religiosa, nella speranza che possano essere un contributo alla nostra reciproca conoscenza e comprensione.

Noi musulmani siamo una comunità di oltre un milione di uomini e donne al cui interno si devono distinguere due sottoinsiemi. Il primo è composto da cittadini italiani, per nascita o naturalizzazione. A questo gruppo dovrebbe essere rivolta la maggiore attenzione politico- istituzionale. Sono quei 50 mila che ancora attendono venga dato loro adempimento costituzionale e che lo Stato democratico li riconosca appieno, dando attuazione all'articolo 3 della Carta fondamentale, che vieta ogni discriminazione in base, tra l'altro, alla regione. Il secondo, numericamente ben più rilevante, è quello che comprende i nostri fratelli e sorelle stranieri, regolarmente residenti nel nostro paese, ai quali, forte dei suoi valori democratici, lo Stato riconosce fondamentali diritti di libertà, di associazione e di culto. L'associazione è un diritto, non una concessione.

Tuttavia, non è di immigrazione che vogliamo parlare; tanto meno vogliamo tutelare la valenza etnica dei nostri correligionari. Ciò che ci interessa è il loro essere musulmani e il

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corollario di necessità e specificità culturali e consuetudinarie che ne deriva. Va da sé che la provenienza da un'area a maggioranza islamica non determina automaticamente una scelta religiosa e, tanto meno, una pratica del culto. Tuttavia, i dati più volte citati relativamente all'affluenza alla pratica religiosa comunitaria sono viziati da un'incomprensione della nostra realtà.

Il dato, più volte ripetuto, che circoscrive al 5-6 per cento del totale la frequentazione delle moschee da parte dei musulmani in Italia deve essere corretto, contestualizzato e letto nella sua valenza logistica e sociologica.

Nelle occasioni in cui la giornata del venerdì coincide con una festa civile o religiosa riconosciuta dallo Stato, l'affluenza alle moschee si moltiplica per quattro o per cinque e oltre il 20 per cento dei musulmani adulti che insistono sul territorio si recano alla preghiera congregazionale. In occasione delle due feste, l'affluenza è comunque del 25 per cento, toccando il 35-40 per cento se la giornata coincide con una domenica o altro giorno festivo - naturalmente, tutto quello che sto dicendo è documentato nei cd -, con punte molto più alte nelle realtà urbane di più profondo e stabile radicamento.

Oltre a ciò, recenti indagini di primari istituti di statistica sociale hanno evidenziato che la maggioranza dei musulmani presenti in Italia hanno comunque relazione (seppur diversificata nella frequenza e nei modi) con un'organizzazione islamica.

Detto ciò, ed era una doverosa puntualizzazione, ci sembra di poter argomentare ulteriormente in merito all'attaccamento dei musulmani ai loro luoghi di culto e alle associazioni che, continuativamente e strenuamente, si fanno carico delle loro esigenze cultuali e consuetudinarie, negli ospedali e in altri settori. Oltre al culto, è nella trasmissione dei valori e dei

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principi islamici alle nuove generazioni, nelle pratiche matrimoniali, in quelle alimentari, fino a quelle cimiteriali, che il ruolo delle associazioni islamiche presenti sul territorio della Repubblica si esplica in assoluta dedizione all'interesse dei musulmani e delle musulmane, senza altra contropartita che la soddisfazione di servire Iddio, servendo le sue creature.

Nella fattispecie, i valori trasmessi sono quelli comuni ai nostri concittadini cristiani e laici, quei valori etici e comportamentali della solidarietà e del rispetto reciproco che risuonano ogni venerdì nella stragrande maggioranza dei sermoni degli imam. Non sentiamo nessuna estraneità alla comunità nazionale, ed è nostro dovere religioso e civile adoperarci con tutti i mezzi affinché il riconoscimento delle identità morali aiuti a superare le differenze cultuali e spirituali e la varietà religiosa venga da tutti apprezzata come una ricchezza della nazione.

Noi dell'Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia (UCOII) siamo la maggiore organizzazione islamica presente in Italia. Dal Trentino alla Sicilia, dall'estrema Liguria alla Puglia, la maggioranza dei musulmani e delle musulmane trovano riferimento nelle strutture associative - 131 - che aderiscono alla nostra Unione. Oggi, quindi, io rappresento 131 associazioni regolarmente iscritte in Italia ed ivi registrate.

Dalla fondazione, nel 1990, a tutt'oggi, abbiamo espresso un volume impressionante di attività cultuale e culturale, di mediazione istituzionale e di solidarietà nei confronti dei più deboli tra i nostri confratelli e consorelle, e delle popolazioni colpite da calamità. La nostra presenza nel campo del dialogo interreligioso e con tutta la società civile è testimoniata da centinaia di incontri, tavole rotonde, convegni, ai quali hanno partecipato i nostri dirigenti nazionali e locali, riscuotendo sempre ampi consensi per la disponibilità, la profondità delle

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argomentazioni e soprattutto la moderazione dei toni. Quando voci sguaiate e irrispettose della sensibilità religiosa cristiana si sono levate da elementi oggettivamente isolati della nostra comunità, non abbiamo esitato ad esprimerci con fermezza nei loro confronti, condannando tali voci senza mezzi termini, convinti come siamo che il dialogo interreligioso passi per l'assoluto rispetto delle fedi e delle altrui tradizioni; naturalmente, si intende qui l'episodio della croce nella scuola, ma possono esservi anche altri esempi.

Ci siamo posti per primi e in modo organico il problema del rapporto complessivo con lo Stato di diritto, elaborando già nel 1990 - sono passati, quindi, 17 anni - una bozza di intesa, che abbiamo reso pubblica e che è stata la piattaforma della discussione politica e giuridica della relazione tra Islam e Stato in Italia. La nostra preoccupazione di stabilire con lo Stato e i suoi organismi relazioni improntate alla trasparenza e alla ricerca di un percorso di approfondimento non ha avuto, fino ad ora, il riscontro sperato, e tuttavia la nostra attitudine è rimasta di totale disponibilità, con lealtà e perseveranza. Non si tratta, per noi, di occupare posizioni all'interno di organismi istituzionalizzati, ma piuttosto di contribuire, con tutte le nostre forze, al godimento di una pienezza di diritti civili per la comunità islamica e alla sicurezza dello Stato.

Signor presidente, cari onorevoli deputati, chiediamo la libertà come prima strada per l'intesa, poiché siamo cittadini come gli altri ed amiamo profondamente la nostra nazione, che siamo orgogliosi di rappresentare nel mondo. Vogliamo essere trattati come tutti gli altri cittadini; quello dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è uno degli elementi fondanti della democrazia, come chiaramente stabilisce l'articolo 3 della nostra Costituzione, che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge,

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senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». L'eguaglianza di fronte alla legge è la condizione principe del patto di lealtà, che obbliga il cittadino nei confronti dello Stato e della Repubblica.

La mancanza di un'intesa ex articolo 8 della Costituzione configura per noi musulmani un'inadempienza costituzionale, che comincia a pesarci. Ci rendiamo conto delle difficoltà oggettive e non riteniamo il Parlamento responsabile di questa ingiustizia. Al contrario, riponiamo in esso le nostre speranze, affinché possa essere definito un percorso coerente e continuativo per rimuovere ostacoli ed ineguaglianze e, al momento, una buona legge sulla libertà religiosa può essere il quadro di riferimento che ancora mancava.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati, vi auguriamo buon lavoro; peraltro, i nostri rilievi in merito alle due proposte di legge in tema di libertà religiosa sono ben precisi. Vorrei infine precisare alcuni aspetti che sono stati illustrati.

Intanto, noi stiamo parlando di libertà religiosa per tutti. Per questo non entriamo nei dettagli specifici, proprio perché si tratta di una legge che dovrebbe riguardare tutte le confessioni religiose.

Per ciò che riguarda il matrimonio, mi è stato difficile capire le polemiche. Se noi, con questa legge, riusciamo a registrare questi matrimoni, ciò vuol dire che riusciamo a dare alla donna una legalità, che altrimenti non avrebbe. Se cioè viene data alla donna la possibilità di avere dei diritti secondo la legge italiana, questo è un dato in favore della donna stessa. Non per niente, come musulmano, sono orgoglioso che l'Islam sia una delle prime religioni ad aver riconosciuto i diritti della donna, mettendo in evidenza il suo ruolo.

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Oggi ho portato con me il calendario del dipartimento delle pari opportunità, un regalo per tutti dalle donne musulmane dell'UCOII.

Quando parliamo di scuola o di altro, parliamo di diritto: quando questo diritto sarà garantito, solo allora potremo parlare dei dettagli. Oggi, invece, non parliamo di dettagli, ma stiamo parlando dei diritti, che devono essere uguali per tutti. La comunità islamica non è nata oggi: da quarant'anni lavora, da quarant'anni si occupa di instaurare il dialogo, da quarant'anni si sposta per l'Italia. Chi si è mosso in favore degli ostaggi italiani in Iraq o in altri paesi? Chi si è prodigato per assicurare il dialogo? In tutto questo, la comunità islamica è vivente.

Credo sia altresì importante ricordare il dettato dell'articolo 8, in base al quale il Governo stipula le intese con le minoranze religiose secondo i loro statuti. In altri termini, ai sensi di tale disposizione, dobbiamo presentarci con uno statuto, non con una relazione politica o sociale. Se questo statuto è conforme alla Costituzione italiana, sarà possibile procedere all'intesa; diversamente, qualora i soggetti interessati non presentassero un proprio statuto, né un proprio bilancio, tale obiettivo non potrebbe essere raggiunto: in Italia, non è accettabile presentare una relazione politica in luogo di quella giuridica.

Per quanto concerne i ministri del culto - al riguardo, ringrazio in particolare l'onorevole Zaccaria, l'onorevole Spini e l'onorevole Boato, per il loro intervento -, la questione è quella di trovare il termine giusto. Si tratta di una persona che deve fare questa opera, pertanto, se così è, non ci resta che individuare il termine più appropriato. Non esiste un ministro? Si sostituisca quel termine con quello di «funzionario». Non esiste un funzionario? Troviamo un'altra soluzione.

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Rimane ferma, però, la circostanza che la disciplina italiana preveda la presenza di un soggetto deputato ad assumersi queste responsabilità. Se ciò è vero, non è il nome che conta, non è l'aspetto esteriore che rileva: ciò che vale è piuttosto il contenuto.

SOUAD SBAI, Membro della Consulta per l'Islam italiano Vorrei ringraziare la Commissione per questo invito, rivolgendo un saluto a tutti i colleghi.

Parlo in qualità di presidente dell'Associazione delle donne marocchine in Italia e in rappresentanza di 129 associazioni regolarmente costituite nel territorio italiano.

La proposta in esame è certamente una proposta nobile e molto importante per il nostro futuro, il futuro dei musulmani in Italia. Si pone, però, un problema in ordine all'opportunità di presentarla oggi: non è questo il momento, perché non siamo sufficientemente pronti ad accogliere e gestire gli effetti che quel provvedimento produrrebbe, una volta entrato in vigore. Alcuni sostengono che i musulmani siano presenti sul territorio italiano da quarant'anni: non ci risulta. Noi musulmani siamo presenti, in Italia, come immigrazione e anche come associazionismo, dagli anni Novanta. Pertanto, non siamo pronti per un'intesa, anche perché non ci sono le persone, non c'è chi votare: esistono certamente alcuni esponenti di riferimento nella nostra comunità, in alcune associazioni come quella di Yahe Pallavicini, in luoghi come la Moschea di Roma; esistono alcuni personaggi, ma non siamo ancora pronti per un'intesa. In futuro, sicuramente lo saremo, ma occorre ancora tempo: siamo ancora ai primi passi della comunità islamica.

Come sottolineava giustamente Gulshan Jivraj Antivalle, non è neppure giusto escludere le altre fedi, le altre associazioni, come quella sciita (ad esempio, si pensi ad un'associazione

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molto importante e vitale, come l'associazione Bahai, o molte altre). Mi sembra, pertanto, improprio parlare di intesa siglata soltanto da alcuni soggetti. E poi quali sarebbero esattamente? Qui si parla di associazioni di assai dubbia appartenenza, di associazioni che non hanno mai dichiarato la sacralità della vita (valore importantissimo da tutelare); c'è anche gente che appoggia un certo terrorismo, gente per la quale il rispetto della donna è nullo.

Sono veramente felice che oggi siano presenti esponenti della sinistra, perché non ho mai avuto la possibilità di parlare con loro: francamente, credo sia necessario riflettere su questo appoggio - a volte un poco miope, ma spesso in buona fede (ho capito solo dopo che lo era) - offerto a certi gruppi estremisti, gruppi che pure, in alcune occasioni, hanno dato al ministro Pisanu tutto il sostegno politico, prestando addirittura giuramento (seppure poi, il giorno successivo, gli organi di stampa abbiano riportato ben altro).

Tornerei, però, alla condizione femminile, certamente drammatica. Alcuni giorni fa, da vari organi di stampa, è stata divulgata la notizia che, in grande maggioranza, gli esponenti di queste associazioni sono poligami. La nostra associazione si occupa anche delle loro donne, migliaia di donne senza diritto, prive di alcuna garanzia: prima moglie, seconda e terza moglie senza nessun diritto. Come diceva l'ambasciatore Scialoja, a proposito del matrimonio musulmano, è un adul, un notaio, a celebrare un matrimonio in casa dei futuri sposi: non c'è nessun matrimonio in moschea, nessun matrimonio si fa in quel luogo. Se si vuole fare una riforma dell'Islam, sta bene; possiamo parlarne, per carità, però, non esiste che qualcuno si sposi nella moschea. Ci si sposa a casa, arriva questo notaio, scrive due righe redigendo un atto notarile, dinanzi a due testimoni, e null'altro. Stiamo invece ascoltando delle cose

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terribili, allucinanti, riguardo a queste moschee, tra l'altro non controllate da alcuno. C'è chi ha parlato di bilanci: ci facciano vedere questi bilanci, noi non ne abbiamo visto uno!

Il diritto della donna è purtroppo negato nella nostra comunità. La proposta di legge in esame potrebbe andare oltre i limiti attuali, va benissimo, è una legge, ripeto, nobile, una legge importante; però, occorre che a noi - ossia alla comunità che si sta organizzando ora - sia data la possibilità di prepararci, di presentare dei programmi, dei suggerimenti. Ancora, in questo non siamo per nulla preparati.

Torno ora al problema femminile, che non ha ancora trovato soluzione. Questo provvedimento potrebbe danneggiare la donna nella misura in cui assicuri alle moschee la possibilità di celebrare dei matrimoni, correndo così il rischio di dar vita realmente ad altri matrimoni poligamici, clandestini (peraltro già esistenti, già praticati in alcune moschee non controllate).

Mi dispiace che, purtroppo, alcune donne, di varie posizioni politiche, non si occupino di questo tema, quello della violenza alle donne, tema assai più importante di una legge. Io vivo in un paese, l'Italia, che è uno Stato laico, io vivo di questo. Mi trovo qui, a parlare di libertà religiosa: so che nello Stato italiano c'è la libertà religiosa e che tutti praticano la propria religione, perché a nessuno è negato questo diritto, per fortuna. Però, occorre anche verificare in altri paesi arabi in che misura ciò sia possibile e quanto invece sia negato.

Il problema consiste nel fatto che bisogna cominciare a pensare a leggi importanti, come ad esempio quella sull'immigrazione e sul diritto di cittadinanza. Si tratta di questioni importanti perché purtroppo alcune associazioni estremistiche approfittano del malessere sociale in cui versano gli immigrati.

Qualcuno parlava molto ed urlava di libertà. Ripeto che la libertà della donna è negata. Per la donna immigrata non vi

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è libertà; quando arriva in Italia viene segregata e rinchiusa. Purtroppo alcuni imam contribuiscono alla segregazione delle donne perché anch'io ho ascoltato, con le mie orecchie, quanto si dice in varie moschee italiane. Ebbene, quanto viene detto in queste moschee è allucinante, in particolare per quanto riguarda le donne. È davvero allucinante e per questo suggerisco di interpellare anche altre comunità laiche di immigrati esistenti in Italia.

In conclusione, vorrei rivolgere tutta la mia solidarietà, aggiungendomi alla maggioranza degli altri colleghi, al nostro amico e giornalista Mohamed Ahmed al quale l'altro ieri è stata fatta saltare la sua automobile dopo che in una trasmissione aveva parlato contro la poligamia. Alcuni estremisti hanno fatto saltare la sua automobile. Inoltre, ieri notte ad una parlamentare sono giunte minacce da Londra in cui si annuncia l'arrivo della sua ora a causa della discussione con un imam italiano.

Anche se non del tutto inerenti con il tema odierno, ho voluto affrontare alcuni aspetti. In particolare vorrei discuterne con gli esponenti di quella parte politica presente nel Governo che a volte assumono posizioni contraddistinte da un ripetuto «buonismo», o per meglio dire dalla mancanza di conoscenza della situazione attuale nelle moschee italiane. Spero di avere ulteriori occasioni di incontro per mostrare loro le situazioni drammatiche vissute dalle nostre donne, in particolare da quelle musulmane.

MOHAMED SAADY, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Signor presidente, la mia associazione - sono presidente dell'associazione nazionale «Oltre le frontiere» - ha carattere nazionale con strutture presenti sia a livello territoriale sia negli stessi paesi musulmani. Anch'io vorrei esprimere apprezzamento per l'opportunità offerta dalla I

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Commissione di affrontare un tema così importante e cruciale per la nostra società e per il nostro paese in modo da tracciare un cammino chiaro verso l'integrazione delle comunità musulmane nel tessuto sociale italiano.

Com'è stato già detto, il nostro obiettivo, definito dalla stessa consulta islamica, è quello di dare al vita ad un Islam italiano. Infatti, dobbiamo guardare al futuro visto che le decisioni prese oggi dalla classe politica e sociale riguarderanno in modo particolare i nostri figli che nasceranno in questo Paese. Siamo portatori di culture differenti da quella esistente in Italia, da cui siamo condizionati fino ad un certo punto. Saremo integrati quindi fino ad un certo punto nella cultura e nel tessuto sociale italiano. Invece, i nostri figli saranno soltanto italiani ed avranno un'unica cultura, ovvero quella italiana.

Vorrei essere pratico ed entrare anche nel merito della proposta di legge. Il professor Zaccaria ha affermato che si deve decidere in merito alla natura interna od esterna dell'atto relativo all'intesa, ma essa non può che essere interna in base all'obiettivo che ci siamo dati come componenti della Consulta.

L'articolo 12 della proposta di legge Spini dà la possibilità agli alunni e ai loro genitori di programmare insieme agli istituti scolastici alcuni corsi. Vorrei che tale facoltà non fosse limitata soltanto ai genitori, ma estesa anche alle associazioni o ad enti giuridici che comunque svolgono questo tipo di attività. La limitazione nei confronti dei genitori è troppo stretta. In questo momento sul territorio nazionale esistono corsi organizzati in seno ad enti pubblici con finanziamenti anche essi pubblici, all'interno degli istituti scolastici.

Gli articoli 17 e 26, relativi al ministro di culto, sono a mio avviso contraddittori. Non vorrei infatti che la questione si limitasse soltanto alla cittadinanza italiana. Spero che in

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questa occasione le leggi italiane camminino su un binario unico. Se si ragiona intorno ad una legge organica sull'immigrazione e sul conferimento della cittadinanza dopo cinque anni per dare al l'immigrato i diritti sociali e di voto amministrativo, non capisco perché ad esempio uno studente universitario, che magari frequenta un corso specifico, non possa avere il diritto di presentare domanda e diventare ministro di culto.

Un'altra questione riguarda l'articolo 5, nel quale sussiste un'ambiguità. Il luogo di culto per noi è concepito come un luogo per la preghiera, non per altro. Se in tale luogo si consente lo svolgimento di riunioni pubbliche o di assemblee con finalità propagandistica, non si tratta più di un luogo di culto.

Le associazioni religiose hanno il diritto di riunirsi, ma occorre distinguere tra una moschea e una struttura dove si svolgono le riunioni delle assemblee. Dico ciò perché anche il sottoscritto, nel 1995, è stato invitato dall'imam della grande moschea di Napoli per spiegare ai musulmani, dopo la preghiera del venerdì, l'allora legge Dini sull'immigrazione. In quell'occasione, ho avuto delle perplessità, in quanto ho sempre concepito la moschea come un luogo deputato esclusivamente alla preghiera e ho anche compreso la necessità dell'esistenza di luoghi dove ci si possa riunire per discutere dei problemi della comunità.

L'articolo 9 della proposta di legge dovrebbe essere rafforzato con riferimento al lavoro domestico, nel senso di creare anche un certo equilibrio nelle modalità di realizzazione. Infatti, spesso i musulmani hanno difficoltà a trovare un lavoro domestico, in quanto - come ho potuto constatare nel 1990 nella comunità somala - alcuni lavoratori rifiutano di

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servire a tavola il vino e la carne di maiale. Pertanto, molte famiglie italiane preferiscono l'impiego di una donna che non sia musulmana.

Per quanto concerne la questione del matrimonio, con particolare riferimento alla poligamia, occorre chiarire che storicamente anche le altre religioni hanno vissuto tale situazione. Infatti, sia nella religione cattolica sia in quella ebraica, era prevista la poligamia; tuttavia, queste religioni hanno saputo adeguarsi, modificando tale impostazione. Anche noi potremmo affermare che la nostra religione ha saputo adeguarsi nel percorso storico, come dimostrato dalle esperienze della Tunisia e del Marocco che ormai hanno praticamente rifiutato la poligamia. Inoltre, occorre stare attenti che i matrimoni avvengano davanti a notai presso le ambasciate e i consolati. A questo punto sorge il rischio che il al matrimonio debba essere celebrato più volte; ad esempio, nel caso di matrimonio tra una marocchina e un egiziano entrambi i consolati chiederanno che il rito sia celebrato presso il consolato di appartenenza da una notaio religioso.

Nella proposta di legge in esame, vi è ben poco sulla formazione degli imam. Inoltre, occorre precisare che tutti coloro che pregano nelle moschee non possono essere considerati come degli iscritti alle varie associazioni religiose. Non bisogna paragonare una moschea ad una organizzazione sindacale o datoriale, oppure ad un partito politico nel quale sono previsti tesseramenti e deleghe. Quindi, non si possono rappresentare persone per il semplice fatto che queste ultime pregano nelle moschee. Occorre avere il quadro chiaro: chi rappresenta chi? E con quali modalità? Altrimenti si rischia di fare una grande confusione!

KALTHOUM BENT AMOR BEN SOLTANE, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Sono tunisina e sono lettrice di

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lingua araba all'Università di Urbino. Il mio intervento non verterà sullo specifico degli articoli della proposta di legge, ma sulla legislazione in generale.

Una riforma in materia di libertà religiosa era auspicabile ed urgente, dunque saluto questa proposta di legge in quanto garantisce il diritto di libertà religiosa e l'uguaglianza di tutte le comunità di fede di fronte allo Stato. Infatti, fino a questo momento, le comunità che non godevano di specifiche intese apparivano discriminate. Dunque, ben venga una nuova legge che non tollera e ammette soltanto, ma accorda i diritti ai credenti di tutte le fedi. Infatti, la libertà di un individuo di avere una religione, di cambiarla, di professarla e di trasmetterla, nonché la libertà di ogni comunità religiosa di celebrare le sue feste e di insegnare le proprie dottrine sono aspetti che non dovrebbero essere subordinati alla stipulazione di un'intesa. Adesso, attraverso una legge sulla libertà religiosa, tali diritti saranno immediatamente attuabili. Dunque saluto questa legge per le ragioni citate prima.

Il secondo punto è legato a quello che l'onorevole Zaccaria ha detto nell'introduzione, cioè la difficoltà del compito; il fatto che una tale legge è stata più o meno congelata per tre legislature, non arrivando a buon fine. Sappiamo tutti, sia seguendo l'attualità politica degli ultimi anni sia leggendo i verbali delle discussioni che sono state fatte in seno a questa Commissione, da chi è stata bloccata la legge, ossia da schieramenti il cui approccio è basato sulla sicurezza e l'ordine pubblico. L'anno bloccata perché hanno sempre evidenziato il pericolo di invasione islamica e la perdita di identità cristiana. Il problema esiste e non può essere negato: come riconoscere l'Islam e garantire che, se riconosciuto, possa debordare nel terrorismo e nell'estremismo? Come fidarsi di una religione che non scinde ancora tra il religioso e il

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secolare? Come garantire che dando maggior libertà, questa libertà non si rivolga contro chi l'ha concessa, creando un vero problema di sicurezza? Non si nega il problema, ma non lo si risolve certamente rimandandolo; infatti, non è ritardando l'approvazione di una legge sulla libertà religiosa e nemmeno rinviando il riconoscimento di quella che è la seconda religione europea che si risolve il problema. Penso proprio di no!

Sono anni che la legge sulla libertà religiosa è congelata e ciò non ha risolto o fermato minimamente i problemi di violenza, generate dal fanatismo religioso. Anzi, direi che potrebbe alimentarlo ulteriormente; infatti, le richieste dei fanatici potrebbero anche innescarsi in quei vuoti legislativi che sarebbero presi a pretesto per andare avanti nelle loro richieste. Dunque la prima ragione è che in questo modo non ci si garantisce da tutte le manifestazioni di fanatismo religioso, l'altra perché sarebbe semplicemente anticostituzionale e antidemocratico non riconoscere la libertà religiosa. Il senso della democrazia - è l'Occidente a volercelo insegnare, delle volte anche a colpi di bombe - risiede anche in una sua fragilità. Questa è la democrazia: si vota liberamente e democraticamente e può giungere a governare un partito non democratico. Non si può dire, quindi, non voto questa legge, non la porto avanti perché ci sono dei gruppi di fanatici estremisti; infatti, non si può punire una comunità intera per colpa di una minoranza estremista perché questo rappresenta nello stesso momento il senso della democrazia e della sua fragilità.

Ritengo che sia molto importante che questa legge sia approvata; infatti, se guardiamo al panorama italiano e seguiamo tutto ciò che si e detto finora intorno all'Islam e al suo riconoscimento che cosa vediamo? Notiamo che ci sono delle comunità organizzate ben note anche mediaticamente -

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UCOII, COREIS - che sono state fino adesso presenti sulla scena e che sono gruppi ben organizzati che hanno iniziato un dialogo con il Governo, presentando bozze di intese. Ognuna di queste organizzazioni a suo modo pretende la rappresentanza del mondo musulmano più dell'altra. A questo punto, polemicamente mi chiedo: chi è più rappresentativa l'associazione che ha maggior numero di fedeli e di moschee? L'associazione che è più ortodossa? L'associazione più moderata? Sapere chi è l'interlocutore preferito nella fase attuale non è per niente facile.

Si argomenta che non si è arrivati alla concretizzazione di un'intesa o di un riconoscimento a causa della pluralità di richieste di rappresentanza, per la mancanza di una autorità religiosa centrale e per la frammentazione dell'Islam. Penso che il problema non sia di ordine religioso, ma essenzialmente di ordine ideologico-politico perché queste scissioni e frammentazioni sono sempre esistite,. Il problema quindi è di ordine ideologico-politico. Perché dico questo? Affermo ciò perché vorrei portare avanti la voce di una maggioranza che io penso sia una maggioranza silenziosa.

Le comunità riconosciute sono realmente rappresentative di tutti musulmani che esistono sul territorio italiano? Io non lo credo perché penso che ci sia una si maggioranza silenziosa che forse non sa nemmeno che esiste una Consulta per l'Islam e che non sa neppure che oggi siamo in quest'aula a discutere di una proposta di legge per la libertà religiosa. Questa maggioranza silenziosa in fin dei conti è rappresentata da tutti quelli che chiedono la rappresentanza; infatti, se ci limitiamo alle richieste di diritti fondamentali - avere un luogo di culto, festeggiare le proprie feste, insegnare la propria dottrina - tutti la rappresentano, ma non penso che questa maggioranza silenziosa segua coloro che pretendono di essere rappresentativi

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nelle loro richieste politiche. Dunque presto il termine a qualcuno che ha scritto che rappresenta questo Islam sommerso che ignora di poter essere rappresentato. C'è una grande fetta silenziosa che io ritengo non sia rappresentata e, dunque una legge del genere non può che tutelarla.

Spero veramente che la legge sia approvata in modo da spianare la strada ad un naturale riconoscimento dell'Islam che sarà vissuta dalla comunità islamica come segno di integrazione, evitando forse che avvenimenti come quelli che si sono verificati in Francia e in altri paesi europei si creino anche in Italia.

MAHADOU SIRADIO THIAM, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Mi chiamo Mahadou Siradio Thiam, sono del Senegal e lavoro nel mondo del volontariato. Farò un breve intervento. Apprezzo molto l'iniziativa legislativa, che considero positiva e condivisibile. Il mondo del volontariato è una sorta di fase 1 dell'immigrazione ed è molto importante dato che il primo momento in cui si giunge nel nuovo paese è quello più critico. L'Italia è fortunata ad avere molte associazioni che lavorano in questo ambito. La situazione in Italia, fino ad ora, è molto diversa da quella di altri paesi come la Spagna, la Francia o la Gran Bretagna, grazie anche alla presenza di queste associazioni che accolgono gli immigrati che arrivano, aiutandoli ad inserirsi, trovare un posto dove dormire ed un lavoro. È un aiuto molto importante.

Dobbiamo essere molto attenti a non creare paure e problemi che non esistono in Italia, dove non vi è alcun problema legato all'Islam. Approvare il provvedimento è molto importante perché il problema non è avere una moschea o una scuola, ma il loro controllo. Non vedo difficoltà su questo. Ripeto, non bisogna creare problemi e paure che non esistono.

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Le intese servono e se non vengono realizzate ora, sarà tardivo e vi saranno problemi in futuro. È meglio anticiparle ora.

RACHID AMAIDIA, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Sono Amadia Rachid, imam algerino italiano. Mi scuso per il ritardo; è colpa di Trenitalia, che ha alzato il prezzo del biglietto ed anche aumentato il tempo del ritardo.

Parlo del ruolo del ministro di culto. Sono imam da diciassette anni, non un imam da strada, ma sono uscito da una struttura di formazione di ministro di culto, in Algeria.

PRESIDENTE. Mi scusi, in che città vive?

RACHID AMAIDIA, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Salerno. Ho sentito che l'onorevole Zaccaria conosce ben il ruolo dell'imam. Vi sono tanti che intendono svuotare il ruolo dell'imam, che è un ruolo importante nella religione islamica. Non è un uomo che sta dentro un luogo solo per fare il sermone del venerdì o la preghiera. Se parliamo del matrimonio, chi celebra il matrimonio non è il notaio, perché ha una funzione civile e non conosce le leggi religiose. Per celebrare il matrimonio islamico è necessario conoscere la legge islamica. L'imam prima di celebrare il matrimonio deve conoscere la storia delle due persone che intendono sposarsi: chi sono, se sono già sposati. Poi, celebrato il matrimonio, deve registrarlo. Sono due cose separate: la parte religiosa che riguarda l'imam nella moschea, mentre la parte civile si compie al comune. Il ruolo dell'imam in Italia riguarda la registrazione del matrimonio, ma è anche responsabile del matrimonio davanti a Dio. È una responsabilità. Se uno dei due ha una relazione o se sono fratelli di latte o se la signora non ha ancora divorziato da suo marito, non può celebrare il

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matrimonio. Esistono le regole e chi conosce la regole è l'imam e non il notaio.

Vediamo se troveremo imam capaci di celebrare il matrimonio. Non è che qualsiasi persona possa farlo. Il mio collega chiedeva istituti di formazione di imam in Italia; è importante. La maggior parte di chi dirige le moschee sono volontari e non sono persone formate per questo. L'imam ha un ruolo importante nella società. Se noi musulmani non diamo importanza all'imam, non lo faranno neanche gli altri ed il primo passo è la creazione di un istituto di formazione. L'imam dev'essere cittadino italiano, europeo o presente da un certo numero di anni in Italia con la carta di soggiorno per dirigere qualsiasi moschea nel territorio italiano.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi per le domande.

CARLO GIOVANARDI. Rivolgo una domanda a tutti i nostri interlocutori. In questa audizione è emerso il fulcro del problema che abbiamo dinanzi, almeno per quanto riguarda il rapporto con queste associazioni. Non è una questione soltanto italiana, dato che l'evoluzione del fenomeno religioso musulmano, anche in paesi islamici, è molto differenziata. Sono a favore di un'alleanza tra tutti coloro che ritengono che le norme sulla libertà religiosa debbano dare libertà religiosa. Però, oggi è emerso prepotentemente un problema, cioè che la libertà religiosa deve garantire anche che le singole religioni non conculchino i diritti di coloro che operano all'interno della religione, prima di tutto il diritto delle donne.

Ho con me una rassegna stampa. Mohammed Baha el-Din Ghrewati, il presidente della Casa della cultura islamica, la moschea di via Padova a Milano afferma: «la società che non permette la poligamia è incivile. Noi musulmani proponiamo la poligamia come rimedio al fallimento della società italiana».

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E così l'imam della moschea di Segrate, Ali Abu Shawaima, anche lui poligamo praticante.

Potrei citare una bella intervista con il portavoce dell'UCOII, Hamza Roberto Piccardo, il cui discorso entra nel meccanismo dalla legge, perché distingue il matrimonio registrato civilmente da quello religioso; quindi, in Italia, può esistere un matrimonio per lo Stato, ma anche la poligamia religiosa, perché le due cose non sono incompatibili.

Tuttavia, è evidente che l'esistenza sul territorio italiano di migliaia di matrimoni poligamici religiosi solleva un problema gigantesco, ossia che, quando si crea una situazione di fatto - come vediamo per altre questioni e per altre leggi -, è difficile per il legislatore non prenderne atto, sconvolgendo totalmente un'evoluzione che, invece, in tanti paesi musulmani è positiva rispetto agli atti che umiliano la donna, alle violenze incredibili che si celano dietro un rapporto teoricamente idilliaco, ma praticamente fatto di violenza, di umiliazioni, di problemi giganteschi per i figli.

Ciò rappresenterebbe un passo all'indietro assolutamente inaccettabile non solo nostro, ma anche dei musulmani rispetto a tanti paesi musulmani. Tuttavia, è attualità bruciante, perché la prima domanda è la seguente: come evitare, per legge, che ciò avvenga? È diverso dal proporre che l'imam registri un matrimonio civilmente e non registri gli altri sette! Non è una soluzione al problema! Non so se poi il fatto di leggere gli articoli del codice civile prima o dopo possa avere rilevanza. Ma rispetto alle tante associazioni che hanno lanciato questo grido d'allarme, è importante chiarire, per legge, che, in Italia, la poligamia non entra, né direttamente né indirettamente!

È come per il velo; ricordo che lo stesso viene indossato anche dalle suore, ci mancherebbe altro! È presente, dunque,

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anche nella nostra tradizione, ma un conto è il velo che indica modestia nel vestire, un altro è il burka, ossia un'umiliazione per la donna, un'imposizione. Certo che le poverette costrette ad indossarlo si dicono contente di farlo, altrimenti in determinati paesi le ammazzano o subiscono violenza!

Ci sarà un limite tra la decenza nel vestire, coprendo la testa con un velo, ed il coprirsi completamente con il burka! So cosa pensano tante donne musulmane su tale aspetto!

Vi è poi il problema della pena di morte e delle intese. Ma le intese con chi? Lo Stato italiano ha stretto un'intesa con la comunità ebraica italiana e con i valdesi. Ma in questo frastagliato arcipelago di opinioni, totalmente diverse, (mi sembra che l'UCOII abbia un punto di vista diametralmente diverso, forse opposto a quello delle tante altre associazioni musulmane presenti), chi è titolato a fare queste intese e chi rappresenta il mondo musulmano? È un altro grande problema aperto che vi sottopongo.

Dobbiamo costruire una piattaforma comune, quella della libertà religiosa, che è il riscatto della persona, uomo e donna, da ogni forma di schiavitù attraverso il suo credo religioso.

OLIVIERO DILIBERTO. Signor presidente, amici delle comunità islamiche, credo utile procedere celermente all'approvazione del provvedimento. Lo si attende da molti anni (ormai, è la terza legislatura del Parlamento italiano che ne discute) e capisco la difficoltà dell'approvazione.

Il tema è evidentemente delicatissimo, tanto più perché tutti noi abbiamo in testa un paradigma nel riflettere su questo provvedimento, ossia il paradigma del concordato, che, naturalmente, è nella nostra cultura istituzionale (di tutti, anche dei non credenti, come me) e difficilmente questo paradigma è applicabile ad altre religioni, come è ovvio.

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D'altro canto, con l'andare del tempo, il tema della libertà religiosa sarà sempre più intrecciato con altre questioni pressantissime della nostra società, come i temi della cittadinanza, dell'accoglienza, della multiculturalità. Può piacere o non piacere, ma inevitabilmente ci troveremo a fare i conti con una realtà sempre più mutevole, sempre più articolata, sempre più difficile, e non può essere affrontata con scorciatoie né con slogan, da nessuno.

Credo che, sempre, quando si fanno le leggi, vi sia un buon criterio da seguire, ossia quello di evitare di entrare nei dettagli, perché se si entra nella regolamentazione di ogni ipotesi, inevitabilmente, si creano guai, perché contempli un aspetto, sulla base di un'audizione come questa, con i rappresentanti delle comunità islamiche, ma ne tralasci altri venti (magari gli induisti rimarranno fuori).

Allora, per quanto riguarda il mio partito (siamo davvero a disposizione per lavorarci), la legge dovrebbe essere il più possibile generale ed astratta, lasciando alle intese con i singole credi e le singole fedi la regolamentazione dei problemi specifici.

Il problema del ministro di culto lo risolveremo (e lo risolveremo insieme agli amici delle comunità islamiche), se mai si riuscirà ad ottenere un'intesa. Nella legge, dobbiamo tenerci il più possibile generali, in modo tale che vi sia (sono d'accordo con l'ipotesi dell'ambasciatore Scialoja) il ministro di culto o figure affini (si troverà poi la formulazione tecnica), per dare un riconoscimento ad una figura che non è qualunque, ma non né assimilabile a quella dei ministri di culto cattolici.

Quindi, il provvedimento deve essere una bussola con due punti chiave: la libertà religiosa per tutti, sulla base di un

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criterio di uguaglianza delle religioni tra loro e il rispetto della legge dello Stato, nell'ambito della laicità dello Stato italiano. Questi sono i due criteri guida.

Per quanto riguarda il tema del matrimonio, badate che in Italia la bigamia è un reato! Il reato esiste. Allora, se si configura...

PRESIDENTE. Qui c'è un equivoco, però, ossia il doppio matrimonio è un reato, ma qui stiamo parlando di un'altra cosa.

OLIVIERO DILIBERTO. Sì, arrivo a parlare del tema che è stato posto. La possibilità che in Italia si possa contrarre un doppio matrimonio, ovviamente, non esiste, o meglio, se accade, ciò viene perseguito dalla legge. Occorre, trovare il meccanismo per cui questa «forma informale» di poligamia venga assolutamente perseguita esattamente come la normale bigamia. È tutto qui! Attraverso una legge, occorre inserire due parole nel codice penale, non nella legge sulla libertà religiosa! Sono due cose diverse! Altrimenti bisogna entrare nel dettaglio di tutti i possibili reati che si compiono nell'esercizio di una confessione religiosa. Non sto pensando all'Islam. Pensate a quei credi religiosi che impediscono le trasfusioni di sangue.

Non si può entrare nel dettaglio! Il criterio deve essere quello del rispetto della legge italiana, dello Stato italiano, che è di tutti i credenti. Questo vale anche per l'insegnamento: si vuole creare una scuola privata? Lo si faccia, ma senza oneri per lo Stato (come dovrebbe essere, a mio avviso, anche per la religione cattolica; non è così in realtà, ma questa, naturalmente, è una mia opinione politica). La Costituzione questo dice. Vi è la possibilità di creare una scuola privata.

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Naturalmente, senza che questo comporti oneri per lo Stato e rispettando tutti i criteri che la legislazione scolastica italiana prevede sia in tema di ordine pubblico, sia in tema di istruzione. Ovviamente, se è una scuola islamica insegnerà la religione islamica, non la regione cattolica, ma i programmi scolastici devono essere gli stessi per tutti i ragazzi e le ragazze d'Italia.

Vorrei svolgere, ora, una considerazione politica che ha a che fare con il tema legge ed intese. Nel linguaggio della politica spesso si usano sottili ipocrisie. Credo sia il tempo, invece, in una sede come questa, per portare un contributo vero di utilità collettiva, di dirci le cose come stanno. È palese che le comunità sono divise profondamente tra loro: gli interventi hanno evidenziato questo tema. Spesso sento espressioni come «l'Islam autentico»: chi certifica chi è l'Islam autentico? Reciprocamente ciascuno di voi può dire all'altro di essere quello autentico. D'altro canto, tra i cristiani è accaduto per duemila anni che ciascuno dicesse all'altro che era quello autentico, tant'è vero che ci sono cattolici e ci sono cristiani non cattolici e dentro al cattolicesimo ci sono gamme, sfumature e, spesso, differenze enormi. È naturale che sia così anche perché ciascuno di voi proviene - alcuni sono italiani anche di nascita - da Stati diversi e da culture profondamente diverse le une dalle altre.

Gli stessi credi che concepiamo come Islam sono spesso diversissimi gli uni dagli altri, sia per l'esperienza dell'Islam nazionale che cambia da paese a paese, sia perché l'Islam - come molti sanno - ha al suo interno filoni profondamente diversi, e non soltanto tra sciiti e sunniti. Poi vi sono divergenze politiche, come è naturale e giusto che sia. Vi è una destra, una sinistra ed un centro anche all'interno degli

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islamici italiani: è ovvio e giusto, mi stupirei del contrario. D'altro canto, gli Stati cosiddetti islamici hanno posizioni in politica estera totalmente differenti le une alle altre.

Non mi stupisco, però avanzo una preoccupazione ed un suggerimento: occorrerebbe che studiaste di più, magari litigando, il tema della rappresentanza. Se non sarà risolto democraticamente, cioè contandosi, il tema della rappresentanza non ci sarà nemmeno l'intesa. A quel punto chi ha davvero più consenso, più comunità e più sostegno rappresenterà complessivamente la comunità islamica. Altrimenti, lo Stato italiano con chi si confronta? Si tratta di un tema difficilissimo, ed io me ne sono occupato quando ho svolto la carica di ministro della Repubblica.

Concludo dicendo molto amichevolmente una cosa alla signora Souad Sbai che mi ha chiamato in causa. Io ed il mio partito abbiamo l'ambizione di confrontarci con tutte le comunità dal punto di vista della nazione di provenienza e delle diverse opinioni manifestate in questa sede. Ricordo solo, per la storia, che il rapporto che io personalmente ho con l'UCOII. nasce da un fatto specifico preciso: nel dicembre 1998, quando iniziò il Ramadan, il dottor Dachan venne da me al Ministero affinché io emanassi una circolare - e fu l'unico a chiederlo - per consentire ai detenuti islamici reclusi negli istituti di pena di avere i pasti erogati compatibilmente con le prescrizioni del Ramadan. Dunque, tale rapporto è nato perché si erano interessati di una categoria - ovviamente di colpevoli, perché sono in carcere - tra le più sfortunate delle comunità islamiche. Ho voluto dirlo alla luce del sole proprio perché questo rapporto, ormai quasi decennale, nasce in un contesto specifico e per una richiesta specifica che altri non avanzarono. Detto questo, sarò lieto - come sanno moltissimi di provenienza araba, anche totalmente laici - di confrontarmi

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con tutte le comunità proprio perché si tratta di un tema che, da laico, mi sta molto a cuore dato che le religioni sono uno dei grandissimi fattori della civiltà contemporanea.

PRESIDENTE. Vorrei affrontare brevemente due questioni, solo per chiarirci tra noi: ho l'impressione che il meccanismo delle intese facesse riferimento ad un mondo di religioni gerarchiche quali erano quelle dell'epoca nel nostro paese. L'Islam non è una religione gerarchica e per quanto possiamo metterci d'accordo - lo dico tra virgolette -, anche tra di voi, non è che rappresentate l'intero mondo islamico. Dunque, credo sia proprio il meccanismo dell'intesa che non sta in piedi nel rapporto con l'Islam. Per questo, la relazione che ha svolto l'onorevole Zaccaria non fa dell'intesa l'unico canale possibile di rapporto, ma individua livelli diversi entro i quali dobbiamo collocarci.

La seconda questione che vorrei trattare perché non ci siano equivoci sul punto, riguarda la poligamia. Il rito celebrato da un'autorità religiosa non è un nulla rispetto all'ordinamento giuridico. Oggi c'è un intervista di una scrittrice africana, peraltro molto brava, la quale dice che nel suo paese pensava di fare la quinta-sesta moglie, ma pensava che in Europa il matrimonio fosse monogamico e ha visto che non è così di fatto. Tuttavia, questo è un altro tipo di realtà. Effettivamente, vi sono relazioni plurime, sia maschili, sia femminili, ma nel momento in cui c'è un soggetto che officia la relazione plurima questa non è più un dato di fatto. È proprio l'attenzione che l'ordinamento presta all'intervento di un'autorità religiosa che rende quel tipo di rapporto visibile e non in nero dal punto di vista dell'ordinamento. Questo è un punto abbastanza delicato: anche ieri, nell'incontro con la Conferenza episcopale italiana, è emerso tale tema. È l'importanza che l'ordinamento intende dare all'intervento di

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un'autorità religiosa, nella specie islamica, che ci porta ad essere preoccupati per questo tipo di problema. Magari, per quel tipo di variante dell'Islam può essere ammissibile la poligamia, ma qui dentro no: questo è un punto dal quale non si può deflettere.

ROBERTO COTA. Signor presidente, con questa legge - che, come abbiamo già detto e riaffermato in tutte le sedi giudichiamo negativamente - si vogliono concedere diritti a chi non rispetta le nostre regole, a chi ha un sistema di regole completamente incompatibile con il nostro. Se questa legge fosse approvata riconosceremmo ad altri il diritto di imporre a noi, facendole entrare direttamente o indirettamente nel nostro ordinamento inteso anche in senso atecnico come sistema, regole assolutamente incompatibili con le nostre, disintegrando il nostro sistema di regole. Noi riscontriamo ciò quando, ad esempio, si stabilisce che il matrimonio possa essere celebrato da parte di qualsiasi ministro di culto; quindi, può essere celebrato anche un matrimonio di tipo islamico. È vero, come ha affermato anche l'onorevole Diliberto, che nel nostro ordinamento è previsto il reato di bigamia (e, quindi, è vietata la poligamia); tuttavia, se la nostra legislazione consentisse la celebrazione di un matrimonio islamico, si accetterebbe automaticamente il loro sistema, il quale ammette la poligamia!

Ciò a meno che il rappresentante dell'UCOII oggi non si esprima chiaramente in senso contrario; vorrei tuttavia osservare che, qualora affermasse ciò, ovviamente non riuscirebbe a garantire per tutti gli imam e per tutte le comunità islamiche presenti sul nostro territorio, perché da loro la poligamia è assolutamente praticata.

Vorrei sottolineare un altro aspetto. Ho sentito affermare che l'associazione è un diritto. È certo che, da noi, il diritto

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di associazione è garantito, però vorrei ricordare che, nei paesi islamici, tale diritto non è contemplato. Ciò perché un cattolico non può recarsi al La Mecca - porto l'esempio de La Mecca poiché siamo a Roma, il centro della cristianità - ed aprire una chiesa indisturbato, perché glielo impedirebbero. Glielo impedirebbero da un punto di vista non solo burocratico, ma addirittura «fisico»! È questo il problema!

Desidererei rivolgere numerose altre domande, ad esempio, al rappresentante dell'UCOII. Mi ha colpito molto l'inizio del suo intervento, poiché egli ha esordito dicendo: in nome di Dio clemente e misericordioso. Vorrei evidenziare che noi siamo in uno Stato laico e non abbiamo questo tipo di impostazione, pur essendo quella cattolica la religione maggioritaria ed essendo la stessa fondata su una serie di principi che, ormai, sono diventati patrimonio comune della nostra società. Dunque, noi rifiutiamo la poligamia in primo luogo perché non la accettano la religione cattolica e l'impostazione cristiana, ma anche perché non è accettata dal nostro sistema di valori.

Mi piacerebbe sapere sempre dal rappresentante dell'UCOII, ad esempio, cosa pensi della visita del Papa in Turchia e della stigmatizzazione della sua visita operata dal mondo islamico. Spero che egli ritenga tale atteggiamento, tenuto da una parte di quel mondo, profondamente sbagliato.

Vorrei chiedergli cosa pensi del fatto che, se una donna è riconosciuta adultera o è sospettata di aver commesso adulterio, viene condannata a morte. Desidererei sapere, inoltre, cosa pensi del fatto che, se un musulmano decidesse di sposare un cattolico e di convertirsi alla sua religione, ciò per voi è assolutamente impossibile, e rappresenta qualcosa da combattere con ogni mezzo.

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Vorrei altresì chiedergli cosa pensi riguardo al fatto che, se la figlia di un musulmano decidesse di indossare la minigonna, ovviamente passerebbe dei guai all'interno della sua famiglia e del suo sistema!

Queste, alla fine, sono le domande che oggi ci poniamo in questa sede, ma che evidenziano una incompatibilità assoluta tra il nostro ed un altro sistema. Pertanto, ritengo la proposta di legge presentata dall'onorevole Boato molto pericolosa, poiché non considera minimamente tali aspetti, nonché i rischi che, inevitabilmente, si manifesteranno.

MARCO BOATO. Desidero ringraziare, anche personalmente, tutti i nostri ospiti per la loro partecipazione agli odierni lavori della Commissione, avendo accolto l'invito del nostro presidente. Vorrei altresì ringraziarli per il modo in cui hanno deciso di intervenire, molto franco e leale, pur nella diversità, ovvia e legittima, delle nostre posizioni politiche.

Sono in totale disaccordo con il collega che mi ha immediatamente preceduto, ma in un Parlamento democratico, ovviamente, si esprimono posizioni diverse. L'intervento del collega Cota mi fa forse comprendere il motivo per cui sussiste, da tre legislature, una difficoltà nell'approvare una proposta di legge come quella di cui sono primo firmatario. Vi è, infatti, una parte del Parlamento italiano, la cui opinione è stata testè rappresentata, che si è finora opposta - direi perfino «ferocemente», anche se in termini parlamentari - all'approvazione di un provvedimento in materia di libertà religiosa.

Io, invece, ho ripresentato anche in questa legislatura una proposta di legge in tal senso (una proposta analoga è stata firmata dal collega Spini), che auspico possa essere approvata con le opportune modifiche che, anche in base alle audizioni che stiamo svolgendo, riterremmo di apportare in Parlamento.

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Vorrei dire ai nostri ospiti che, rispetto alle altre audizioni, è un po' anomalo il fatto che noi parlamentari presenti (siamo solo alcuni, ma rappresentiamo diversi gruppi) interveniamo dibattendo politicamente con voi. Le audizioni, infatti, per noi parlamentari rappresentano istituzionalmente l'occasione di ascoltare e di porre domande. In genere, la discussione sui temi in oggetto viene svolta prima o dopo, ma non durante le audizioni. Nella seduta odierna si registra questa sorta di anomalia, ma si tratta di un'anomalia che ritengo positiva, perché vi aiuta a capire la dinamica politica e favorisce la comprensione dei vostri interventi - compresi quelli che alcuni di voi, se lo riterranno, potranno svolgere tra poco in sede di replica - da parte nostra. Ritengo fondamentale che ciò avvenga.

Vorrei evidenziare che stiamo interloquendo politicamente anche tra di noi, anche se ciò, istituzionalmente, dovrebbe avvenire successivamente in altre sedi, come del resto faremo. Tuttavia, si tratta di un unicum: se non sbaglio, signor presidente, è la prima volta che, nel Parlamento italiano, vengano ascoltati gli esponenti, a vario titolo, della comunità islamica italiana. Ciò lo dobbiamo - e ne debbo dare atto pubblicamente - anche alla positiva iniziativa di un componente del Governo precedente (a cui mi sono opposto, perché appartengo al centrosinistra), vale a dire il ministro Pisanu. Infatti, egli, istituendo la Consulta per l'Islam italiano, ha intrapreso un'iniziativa che ritengo positiva.

Voi ne fate parte, e ciò ha permesso alla Commissione affari costituzionali di avere una strada già aperta, sia pure problematica, nell'individuare i nostri interlocutori: in caso contrario, infatti, sarebbe stato difficile farlo. Voi oggi - mi dispiace che qualcuno dei componenti della Consulta non

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abbia potuto essere presente, ma comunque è presente un'amplissima maggioranza - siete, dunque, i nostri interlocutori.

Da questo punto di vista, vorrei dire che non trovo fondate tutte le obiezioni che ho ascoltato. Noi non dobbiamo applicare i principi della Costituzione italiana soltanto nei confronti dei cittadini che appartengano o provengano da Stati democratici. Se vi sono cittadini provenienti da Stati a regime autoritario, integralisti o non democratici, mi dispiace per i loro paesi di origine. I cittadini di tali Stati condurranno una battaglia democratica e politica in tal senso, ma vorrei ricordare che l'Italia applica la propria Costituzione a tutti: non solo a tutti i cittadini (che, in senso tecnico, sono coloro che godono della cittadinanza italiana), ma chiunque. I principi costituzionali, infatti, trovano applicazione nei confronti di tutti coloro che si trovino sul territorio italiano.

Sotto questo profilo, vorrei osservare che non esiste un problema di reciprocità. Dispiace anche a me che vi siano paesi, intolleranti ed integralisti, che non contemplino i principi della libertà religiosa nel loro ordinamento: si tratta di una critica sacrosanta, ed è questo l'unico punto delle obiezioni sollevate che condivido.

Non posso immaginare, tuttavia, che nel mio paese - dove abbiamo abbattuto un regime dittatoriale durato vent'anni ed abbiamo adottato una Costituzione repubblicana proprio a seguito della seconda guerra mondiale e della sconfitta di quel regime totalitario - i principi della nostra Carta costituzionale non vengano integralmente applicati.

Vorrei osservare che la mia proposta di legge non innova i principi costituzionali, ma li applica. Si tratta, a mio parere, di principi elementari e mi spiace doverli in qualche modo ribadire.

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Riguardo alle differenze, è evidente che c'è un complesso processo di crescita, maturazione, dibattito, dialogo, di scontro anche all'interno della o delle comunità islamiche in Italia o, comunque, delle persone che si riconoscono nell'Islam nelle sue diverse articolazioni.

Signor presidente ed amici ospiti, noi ieri abbiamo fatto un'altra tornata di audizioni. Alla mattina, abbiamo ascoltato - devo dire con molto rispetto reciproco e con valutazioni che qui dentro sono state molto più aperte di quanto qualcuno abbia riferito fuori - il rappresentante o i rappresentanti (un ecclesiastico, un vescovo e un laico) della Conferenza episcopale italiana. Io stesso, peraltro, sono di fede cattolica e un laico in politica. Da parte della rappresentante della CEI vi è stata una valutazione positiva di questa proposta di legge, con alcune indicazioni di eventuali aspetti da emendare che, ovviamente, sono pertinenti all'ambito di audizioni che noi stiamo svolgendo. Infatti, noi ascoltiamo non per avere un sì o un no, ma per avere un'interlocuzione. Nel pomeriggio abbiamo ascoltato altre confessioni religiose e vi cito quelle che si riconoscono nel cristianesimo, oltre ovviamente alla Conferenza episcopale italiana (vale a dire il mondo cattolico e la chiesa cui anche io appartengo): la Tavola valdese, le Assemblee di Dio in Italia, l'Unione delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno, l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia, la Chiesa evangelica luterana in Italia, la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova, la Sacra arcidiocesi d'Italia e l'esarcato per l'Europa meridionale del patriarcato di Costantinopoli (sostanzialmente gli ortodossi in Italia), la Chiesa di Gesù Cristo e i santi degli ultimi giorni, la Chiesa apostolica in Italia e l'Alleanza evangelica italiana. Non

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ho citato gli ebrei o i buddhisti (che comunque sono venuti con due rappresentanze distinte) e gli induisti che abbiamo tra gli altri ascoltato ieri.

Questo è il cristianesimo - e mi dispiace che adesso l'amico Giovanardi non ci sia: la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose che vi ho indicato, che non sono tutte le confessioni cristiane, ma quelle confessioni tra queste ultime che hanno già ottenuto l'intesa, ratificata dal Parlamento, o che hanno stipulato l'intesa, ma non è ancora stata ratificata dal Parlamento, ovvero ancora che hanno in corso le procedure per un'intesa. Allora, lo dico a voi come a noi: per me l'unità dei cristiani sarebbe la cosa più bella, l'ut unum sint, l'ecumenismo ma la realtà del mondo cristiano è questa, oggi, dopo due mila anni di cristianesimo.

Dunque, il fatto che ci sia una pluralità di posizioni all'interno dell'Islam è una cosa di cui dobbiamo prendere atto e, come tutti processi di crescita, di dibattito e di confronto, anche sul piano religioso, c'è ovviamente da augurarsi che vi sia almeno una larga convergenza su alcuni principi fondamentali, non solo religiosi. Tuttavia, io su questo non entro, in quanto non sono un competente dell'Islam. Ogni tanto chiamo il mio amico Khaled Fouad Allam per farmi spiegare un po' le questioni e mi spiace che in questo momento non sia presente, anche se è stato qui tutta la mattina. Noi abbiamo per la prima volta nel Parlamento deputati islamici, proprio da questa legislatura. Questo è un fatto positivo e molto bello. Il collega Valdo Spini che è l'altro presentatore della proposta di legge - ma è parlamentare da sette legislature, se non sbaglio - è un cristiano valdese. Io sono un cristiano cattolico e siamo entrambi presentatori di due proposte di legge su questa materia, che differiscono l'una dall'altra solo per un comma, il terzo, dell'articolo 10, che - mi pare di capire - viene

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valutato positivamente e, dunque, mi auguro che venga approvato in questa versione che il collega Spini ha presentato.

Ho voluto dire questo perché noi non dobbiamo immaginare che vi sia un obbligo che tutti gli islamici in Italia - nel senso che fisicamente sono in Italia -, ma tutto l'Islam italiano per questa distinzione opportuna che viene fatta in positivo quando ci si riferisce all'islam italiano, debbano essere necessariamente tutti della stessa idea. Infatti, non è così per lo stesso mondo cristiano. È un po' meno complesso per il mondo ebraico, nell'ambito del quale - come voi sapete - vi sono anche gli ortodossi, i laici e molti posizioni intermedie, ma hanno un unico organismo di rappresentanza e sono 35 mila in Italia.

VALDO SPINI. C'è chi ha provveduto ad eliminarne qualcuno.

MARCO BOATO. Sì, qualcuno ha provveduto a ridurli con la Shoah e la cosa più terribile che avviene a volte, in certi settori del mondo islamico, è che si immagini di cancellare la memoria stessa della Shoah. È terrificante quando avviene. Ho letto una bellissima lettera del dottor Pallavicini, giratami da un'amica che l'ha ricevuta da lui, relativa alla partecipazione di un incontro nella sinagoga di Casal Monferrato, che ho trovato molto bella da questo punto di vista. Che vi sia qualcuno nel mondo islamico, e mi riferisco ad Ahmanidejad, capo del governo dell'Iran che cerca addirittura di cancellare la memoria della Shoah e la sua realtà storica, è semplicemente terrificante. Spero che tutti voi vi ribelliate anche moralmente a questo tipo di realtà. Sono questioni gravi, drammatiche, terribili, ma che non attengono direttamente a questa proposta di legge.

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Per concludere, io vorrei toccare un solo punto sul quale - se mi permette la parola - l'amica Souad Sbai, ho avuto occasione anche di un dibattito televisivo, qualche tempo fa. Lo dico esplicitamente: un grande giornalista italiano, Magdi Allam, vicedirettore del primo giornale italiano, il Corriere della Sera, ha dichiarato pubblicamente e poi si è corretto - debbo dargli atto anche di questo - che questa proposta di legge, all'articolo 11, legittimi la poligamia. Abbiamo discusso in televisione di questo aspetto. Tutto questo è semplicemente folle. Per fortuna, devo dare atto alla lealtà intellettuale di Magdi Allam, che qualche giorno dopo ha scritto un altro articolo sul Corriere della Sera ammettendo che non è vero per quanto riguarda la legge, ma che purtroppo di fatto esiste la poligamia in Italia. Mi viene da fare una provocazione che prima c'era nell'intervento del presidente poco fa: ci sono molti cristiani - e cristiane - che praticano la poligamia ma, per così dire, non la riconoscono ufficialmente.

PRESIDENTE. C'è anche la poliandria.

MARCO BOATO. Sì, ecco perché ho detto cristiani e cristiane. Ormai, gran parte dei paesi di prevalenza islamica - detto tra virgolette - hanno cancellato la poligamia, altri purtroppo la riconoscono ancora. Sono assolutamente d'accordo con lei, Souad Sbai, che questo sia per la donna una situazione terribile e per questo mi associo alla vostra denuncia. Ovviamente, in Italia, vi sono le conseguenze anche di casi di questo genere, e uno lo abbiamo discusso con la presenza di una diretta interessata, la signora Souad Sbai in quella trasmissione che ho ricordato. Non c'è nulla di tutto questo nella proposta di legge in esame. Infatti, all'articolo 11 si dice che: «L'ufficiale dello stato civile, il quale ha proceduto alle pubblicazioni richieste dai nubendi» - e questo riguarda

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islamici, cristiani, buddisti, ma parliamo anche con riferimento agli islamici - «accerta che nulla si oppone alla celebrazione del matrimonio, secondo le vigenti norme di legge». Dunque, o vi è lo stato libero del nubendo e della nubenda (quindi ciò vuol dire che entrambi non sono mai stati spostati o, in questo caso, abbiano poi divorziato) oppure non si può celebrare quel matrimonio e non ci sarebbe il nulla osta a celebrare il matrimonio, anche sotto profilo religioso. Non è obbligatorio fare un matrimonio religioso, anche per gli islamici. Lo sappiamo anche noi: quanti, cristiani, ormai vanno a fare solo il matrimonio civile? Sono di matrice cristiana, sono cristiani e battezzati, ma non sono più - tra virgolette, anche se l'espressione è brutta - praticanti (è un'espressione da Concilio di Trento, più che da Concilio Vaticano II) e si sposano soltanto davanti all'ufficiale di stato civile.

Chiunque, in questo caso un islamico, intende contrarre il matrimonio religioso che produca anche effetti civili non potrà farlo se non viene accertato da parte dell'ufficiale di stato civile che nulla si opponga alla celebrazione del matrimonio secondo le vigenti norme di legge (occorre accertare che tutti e due i soggetti si trovano in uno stato libero). Ad esempio, nella mia provincia in Trentino un italiano e, credo, una tunisina hanno manifestato l'intenzione di sposarsi, ma non possono farlo, poiché dalla Tunisia non è pervenuto il certificato di stato libero della tunisina. È un scandalo che non sia giunto questo certificato, ma non si sono potuti sposare, perché l'ufficiale di stato civile non ha dato il nulla osta!

Questo aspetto del matrimonio tocca le sensibilità delle persone, degli uomini, ma, soprattutto, quella delle donne islamiche per la situazione drammatica che molte di loro hanno vissuto ed in parte ancora vivono, ma, dal punto di vista

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della normativa, neanche una virgola fa nutrire il sospetto che vi sia una certa accondiscendenza nei confronti della poligamia.

Se dovesse sussistere una qualche forma di poligamia, si tratterebbe di un problema da affrontare non attraverso una legge sulla libertà religiosa, ma facendo riferimento al codice penale, al codice civile, sempre nella logica di repressione di questo fenomeno e di tutela delle donne che risultano vittime dello stesso nel territorio italiano.

Inoltre, non credo sia automaticamente necessario che vi siano intese. Questo provvedimento - mi rivolgo anche all'ambasciatore Scialoja che ha svolto un'osservazione sul titolo - reca al capo I il titolo: libertà di coscienza e di religione (si può utilizzare questa espressione anche nel titolo della legge). Il capo II titola: confessioni e associazioni religiose, mentre il capo III: stipulazione di intese.

Il collega Zaccaria, che ha svolto la relazione iniziale, ha spiegato ormai ripetutamente i diversi livelli: mi riferisco alla libertà religiosa per tutti, ma anche alla libertà di non credere in una confessione religiosa, all'aspetto delle confessioni e delle associazioni e del loro riconoscimento, nonché all'aspetto delle intese. Si tratta di un processo difficile e complesso, ma non direi che, per tale motivo, bisogna fermarsi: occorre procedere!

Sarà possibile in futuro stipulare un'intesa, con i problemi che il presidente Violante poco fa indicava, che andranno affrontati (non so se sarà facile risolverli), con l'intero riferimento alla Consulta per l'Islam italiano, per usare questa espressione. Oppure vi saranno una, due, tre intese eventualmente diversificate. Ciò è accaduto nel mondo cristiano: diverse intese per diverse confessioni, tutte cristiane, ma diverse fra loro! Si tratta di un tema aperto.

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Noi, con questo provvedimento, non intendiamo stipulare intese, ma creare uno strumento sistematico o sistemico, organico - sono brutte espressioni ma servono per farci capire la situazione - generale che indica i diversi livelli: mi riferisco al livello, fondamentale per tutti, della libertà religiosa e di coscienza, alle confessioni, alle possibili intese.

Le intese non sono automatiche. Si chiamano intese, perché vi deve essere un accordo fra lo Stato e la confessione religiosa. Ma se si arriva a celebrarle, forse è meglio ve ne sia una per tutti, ma può anche essere che si tratti di intese diversificate.

ITALO BOCCHINO. Signor presidente, vi è da parte nostra l'interesse a discutere ed a riconoscere la libertà religiosa. Riteniamo, tuttavia, opportuno che ciò avvenga in un contesto che, da una parte, preveda l'accoglienza del nostro paese, che, storicamente e culturalmente, ci appartiene e, dall'altro, preveda il rispetto non solo delle nostre leggi - mi permetto di dire - ma anche del modello di società che abbiamo costruito in tanti anni e che, inevitabilmente, corrisponde al modello di società alla quale ha contribuito quasi totalmente la Chiesa cattolica.

Il problema, a mio giudizio, è di individuare - voi dovrete aiutarci in tal senso - il punto di incontro tra la nostra volontà di accoglienza ed il vostro rispetto nei confronti di un modello di società che - piaccia o non piaccia a chi è cattolico o a chi è laico - si è costituita attorno ai principi del cattolicesimo e ciò si desume da come è organizzato il nostro orario di lavoro, la nostra settimana di lavoro, il nostro modo di vivere in società.

Credo, pertanto, che il primo passo che ci attendiamo da voi è una dichiarazione di rispetto nei confronti di un modello di società cattolica. Quindi, «sì» al riconoscimento della

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libertà religiosa ed a tutte le forme che favoriscano l'integrazione, ma «no» ad ogni tentativo di scardinare...

FRANCO RUSSO. Perché società cattolica? Siamo retti dalla Costituzione!

ITALO BOCCHINO. Scusa, quando interverrai successivamente potrai esprimere il tuo pensiero.

PRESIDENTE. Onorevole Bocchino, parli al presidente, come si diceva una volta!

ITALO BOCCHINO. Presidente, se il collega mi spiega perché il Parlamento è chiuso la domenica, visto che ciò non è previsto dalla Costituzione (Commenti del deputato Spini), forse ci capiremo!

Occorre una dichiarazione di rispetto nei confronti di questo modello di società, piaccia o non piaccia! Il nostro obiettivo è l'integrazione, non la libertà per ognuno di fare ciò che desidera. L'integrazione è un percorso bilaterale. Serve uno sforzo nostro e vostro!

Precedentemente si è detto che in Italia esiste un multiculturalismo, ma non ancora l'interculturalismo. A parte il fatto che in tutto il mondo il multiculturalismo è fallito, l'interculturalismo si costruisce con una maggiore vostra volontà di integrazione.

Noi rischiamo di dare vita ad una pluralità di monoculturalismi e voi rischiate di essere la punta di diamante di questo percorso.

Vorrei portare l'esempio della scuola. L'ambasciatore Scialoja ha fatto un paragone che, purtroppo, non regge, perché le scuole svizzera, americana, francese, ebraica rappresentano un'altra cosa; innanzitutto perché alla scuola francese si reca

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il figlio di un italiano che vuole imparare la cultura e la lingua francese o il figlio di un francese che transita in Italia e poi si recherà in altro paese perché si trova nel nostro per ragioni di lavoro. Alla scuola ebraica si recano al 99 per cento i cittadini italiani, mentre alle scuole islamiche ci si recano per il 7, l'8, il 10 per cento.

Non possiamo nasconderci il fatto che vi sono degli insegnamenti di queste scuole che tendono a contrastare il processo di integrazione.

Sono contrario alla scuola islamica, perché sono favorevole all'integrazione e l'integrazione passa attraverso le nuove generazioni che entrano nelle scuole. Mia figlia nel suo asilo si trova accanto a bambine di altri paesi islamici e sono sereno e tranquillo, vedendo crescere questi bambini insieme, perché so che troveranno un punto di incontro nell'integrazione delle loro culture e delle loro religioni. Mi preoccupo molto di più quando mettiamo insieme delle persone che già hanno un passato di anni alle spalle. Ecco perché dobbiamo assolutamente superare queste barriere. La scuola islamica è pericolosa, perché contrasta con il processo di integrazione specialmente nei confronti di chi come voi dovrebbe volere l'integrazione!

Vorrei, inoltre, esprimere una considerazione in relazione al problema del cibo.

Nutro grande rispetto nei confronti di chi, per ragioni religiose, utilizza alcuni cibi, ma dobbiamo fare attenzione, perché si porrà un problema nei confronti dei cittadini italiani: ad esempio, alle mie figlie viene insegnato di mangiare ciò che l'asilo prepara, senza possibilità di scelta, ma il loro vicino di banco potrebbe trovarsi nella situazione di poter scegliere per ragioni religiose. Nel nostro paese non vi sono cibi che non utilizziamo per ragioni religiose.

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Ciò fa sì che potrebbe crearsi un contrasto che non favorisce l'integrazione, così come con il problema della sepoltura. Una cosa è prevedere, in un cimitero di una grande città come Roma, una zona per le sepolture dei musulmani; altra cosa è una rivendicazione volta a farci togliere il crocifisso dei nostri cimiteri, come è stato chiesto da qualche parte.

Dobbiamo tenere presente la piena libertà religiosa, ma anche che esiste una differenza di pesi dal punto di vista della rappresentatività, che, in un sistema democratico, va sempre tenuta in conto.

Allora, le domande che pongo, in particolare al rappresentante dell'UCOII, che diventa un interlocutore privilegiato...

MOHAMED NOUR DACHAN, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Mi onora...

ITALO BOCCHINO. Se l'UCOII fosse sempre quella che emerge dall'intervista di oggi sulla Stampa, che si potrebbe definire quasi dorotea, saremmo tutti più tranquilli. Purtroppo, non è sempre così.

Innanzitutto, vorremmo una risposta da voi sulla riconoscibilità degli interlocutori. Qual è la vostra proposta sulla riconoscibilità degli interlocutori? Ci dovete dare una risposta, altrimenti sarà sempre difficile...

PRESIDENTE. Onorevole Bocchino, cosa intende per riconoscibilità degli interlocutori?

ITALO BOCCHINO. Il problema che ha posto lei: l'albo degli imam, eccetera. L'istituzione laica italiana deve avere degli interlocutori: che siano cento, dieci, mille, diecimila, ma debbono essere scritti su un pezzo di carta.

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Dobbiamo sapere chi è l'interlocutore, perché dobbiamo poter dire ad un signore, che non risulti essere l'interlocutore, che egli non rappresenta nessuno e a chi è interlocutore dobbiamo poter chiedere di impegnarsi a rispettare una serie di regole. Non basta dire che si rispetta la Costituzione italiana. Non basta.

Prendiamo ad esempio la questione del matrimonio. È evidente che la poligamia, di fatto, è possibile anche alla luce di questa legge. Ciò è evidente, perché una persona si può sposare davanti ad un imam, che registra quel matrimonio, e poi sposarsi altre tre volte senza registrare il matrimonio. Di fronte alla legge italiana, quel soggetto avrebbe una sola moglie, mentre, di fronte a Dio, avrebbe 4 mogli. Vivrebbe in una casa con quattro mogli e i figli vivrebbero con quattro donne diverse, tutte mogli del padre.

Quindi, si genera, si introduce e si innesta, di fatto, nella nostra società, la poligamia, al di là di ciò che prevede la norma.

Come si risolve questo problema? Lo si risolve in un solo modo: quando abbiamo riconosciuto gli interlocutori, questi si impegnano, nell'intesa che vogliono stipulare, a non celebrare matrimoni religiosi se già ne è stato celebrato uno. Quindi, è necessario ridurre i matrimoni religiosi ad uno per rispettare le norme del nostro paese. Voi accettate o no questo impegno nel momento in cui diventate interlocutori?

Altro tema: il ruolo della donna. Io non sono uno di quelli che si divide sul velo. Credo di non aver mai visto mia nonna uscire di casa senza velo. Ovviamente, non mi fa piacere tornare a trent'anni fa, quando mia nonna, prima di uscire di casa per andare a messa, si metteva il velo, poiché abbiamo fatto un percorso.

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SOUAD SBAI, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Mia nonna non lo portava!

ITALO BOCCHINO. Esatto: la nonna di Souad non lo portava. Quindi, la questione del velo non mi crea nessun problema.

I problemi sono altri: la parità dell'uomo e della donna all'interno della famiglia, nelle scelte che riguardano i figli, il bilancio familiare, eccetera! Anche qui vorremmo delle risposte: se intendete la parità all'interno della famiglia come la intendiamo noi, oppure no. Altrimenti, leggiamo sui servizi giornalistici di donne che vanno a fare la spesa al supermercato in Italia e che non possono parlare con la cassiera del supermercato, ma che devono portare il figlio quattordicenne, che tira fuori i soldi, chiede a quanto ammonta il conto della spesa e lo paga, perché la madre non può interloquire.

Vogliamo delle risposte chiare su questi problemi e solo voi potete risolverli per facilitare l'integrazione. Alla rigidità da parte vostra, corrisponderà una rigidità da parte nostra e, quindi, si incepperà il meccanismo di integrazione.

L'ultima questione riguarda i figli. Abbiamo avuto più di un caso in Italia: dalla ragazza picchiata a bastonate, perché scoperta dal padre con il fidanzato ad amoreggiare nella sua cameretta, alla ragazza uccisa perché non voleva andare nel suo paese a sposare la persona che la famiglia le aveva predestinato.

Anche qui ci vogliono parole forti, fortissime, da parte vostra e grande chiarezza. Se non ci sono parole forti e di grande chiarezza da parte vostra, tutto diventa più difficile.

C'è grande volontà di dare la massima libertà religiosa, ma attenzione che la vostra libertà religiosa non vada a diminuire

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la nostra libertà, che non è tanto la libertà religiosa, quanto la libertà di un modello di società che si è stratificata sulle regole della Chiesa cattolica.

VALDO SPINI. Intervengo molto brevemente. Noi stiamo studiando una legge di attuazione costituzionale valida per tutti i cittadini italiani e stiamo svolgendo delle audizioni per capire come essa interferisca con le varie realtà religiose. Non dimentichiamolo. Non è una legge confezionata perché oggi l'immigrazione ha portato il numero dei musulmani a crescere, oltre agli italiani che si riconoscono in questa fede. Noi stiamo adottando una legge valida per tutti. Lo dico perché, qualche volta, sembra che smarriamo questa bussola.

Naturalmente, l'interesse di questa audizione è quello di capire come questa legge interferisca sia sulle realtà che ci erano conosciute, sia sulle realtà nuove, come quella dello sviluppo di religioni che non erano impiantate così consistentemente all'interno del nostro paese.

Quindi, da questo punto di vista, abbiamo il dovere di attuare la nostra Costituzione. Al di là di questo, più il nostro dibattito si svolge, più l'alternativa, di fatto, tra il non avere una legge e avere questa, seppur opportunamente modificata, si scioglie a favore dell'averne una.

Qualsiasi collega che affronti la questione con libertà di intelletto, senza pregiudizi, si rende conto che mantenere questa situazione magmatica, senza alcuna possibilità di manifestazione verso le istituzioni, di riconoscimento o di rapporto con lo Stato, per chi lo vuole avere, è veramente pericoloso per la convivenza nel nostro paese.

Dobbiamo misurarci con questa legge. Può piacere, ovviamente, più una soluzione rispetto ad un'altra, ma l'idea che in alcun casi è stata prospettata, secondo cui questa legge non va fatta, non tiene conto di un dato, di cui invito tutti a prenderne

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atto: non possiamo sopprimere una realtà esistente in Italia, che vede la presenza musulmana attraverso gli immigrazione.

Possiamo decidere di ignorarla, lasciandola in queste condizioni di assoluta, magmatica e indifferente rappresentanza, oppure possiamo prospettare una via per vivere in accordo con la Costituzione, con l'ordinamento e con le leggi dello Stato.

Questo è il fatto storico che abbiamo di fronte, al di là del fatto che l'attuazione costituzionale è comunque un dovere.

Oggi, questo incontro è stato molto interessante e ringrazio tutti per le impostazioni che sono emerse. È stata confermata anche una mia ulteriore impressione personale. Effettivamente, comprendo perché lo Stato italiano non abbia avviato trattative di intesa con i singoli che l'hanno chiesta. Infatti, se lo Stato italiano avesse avviato una serie di tavoli paralleli, vi sarebbe stato l'evidente pericolo di dare a qualcuno ciò che non si dava ad un altro, oppure lo Stato avrebbe dovuto scegliere un'organizzazione, facendo, probabilmente, «arrabbiare » - lo dico con senso familiare - e deludendo le altre.

Quindi, una legge sulla libertà religiosa può consentire di considerare il tema dell'intesa alla luce della sperimentazione di un rapporto, che mi sembra francamente importantissima. In questo senso, in particolare per il mondo musulmano, credo si tratti di una sfida e della capacità di misurarsi nel rapporto con lo Stato italiano per vedere, nel tempo, quali sono i risultati e cosa può essere intrapreso.

Sulle questioni specifiche che sono state sollevate - alcune di grande interesse perché riguardano la quotidianità (ad esempio, è stata sollevata la questione della sepoltura) - ci è stato offerto un grande contributo. Non mancheremo di meditare e di verificare quali siano le soluzioni più opportune.

Ringrazio chi ha voluto mettere in evidenza il fatto che, rispetto al corrispondente testo della proposta che avevo

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presentato nel 2001, ho inserito un ulteriore comma all'articolo 10 per prevedere che il Ministero dell'interno possa riconoscere la nomina dei ministri di culto. In seguito, vedremo bene come definire la misura. Intanto, ringrazio chi ha voluto riconoscere che si tratta di una previsione opportuna, come io ritengo. In altre parole, la filosofia alla quale mi sono ispirato è quella secondo la quale - in assenza di rapporti gerarchici, come ha affermato il presidente Violante, la situazione è diversa - la situazione concreta può manifestarsi di fronte allo Stato e la confessione religiosa può consegnare il proprio statuto, salvo verificare la rispondenza dello statuto medesimo ai principi democratici del nostro Stato. Insomma, la confessione assume diritti, ma anche doveri; è chiaro, infatti, che, nel momento in cui si acquisiscono diritti, si ha anche il dovere di comportarsi in un certo modo. A me sembra che si tratti di un tassello molto importante del processo di integrazione.

Al contrario, non bisogna pensare di fare della futura legge lo strumento per risolvere il problema dell'integrazione. La legge avrà ad oggetto la libertà religiosa, ma anche la libertà di coscienza. All'articolo 2 della proposta sono sanciti, tra l'altro, il diritto di mutare religione (sappiamo che il tema è controverso nell'islam ma è importante che ci sia) o credenza, ovvero di non averne alcuna. Quindi, la proposta tutela anche chi intenda cambiare religione o non averne alcuna.

Quanto al tema del matrimonio, è certo che ci siamo trovati di fronte ad un'immigrazione che ha portato con sé il problema della poligamia. Come ha già detto bene l'onorevole Boato quando si è riferito a Tizio che deve chiedere un nulla osta implicante il possesso dello stato libero, non c'è niente nella proposta di legge che possa creare un varco alla poligamia: questa entra attraverso le frontiere! Allora, com'è

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stato giustamente detto, affrontiamo il problema nel novero di quelli posti dall'immigrazione, applicando o dettando apposite norme del codice penale e civile. Sia chiaro, però, che nella proposta non è contenuto, nella maniera più assoluta, alcun avallo alla poligamia.

Proprio con riferimento al matrimonio, un grosso contributo è stato offerto dall'ambasciatore Scialoja, il quale vi ha ammonito ad abbandonare l'idea tradizionale secondo la quale ci si reca in una chiesa o in una sinagoga, alla presenza di un religioso, e se ne esce sposati. Non è così: si tratta di un atto di diritto civile. È importante studiare il tema e chiedere, al riguardo, ogni tipo di contributo. In questa direzione, dobbiamo cercare di avere posizioni che possano scoraggiare la possibilità di creare convivenze del tipo indicato e che, di conseguenza, ci evitino di importare la poligamia. Con gli opportuni accorgimenti, la filosofia della proposta di legge ne esce confermata: il proposito è quello di incentivare i musulmani a sposarsi secondo il codice civile italiano, per evitare che si verifichino le situazioni denunciate da una delle nostre amiche (mi sembra che la signora Antivalle abbia denunciato i problemi che crea alla donna la sottoposizione a simili pratiche e ad altre ancora). Più riusciamo a creare un'integrazione che consenta di avvicinare chi è di religione musulmana al matrimonio secondo il codice civile italiano più aiutiamo a risolvere i problemi segnalati. Se, invece, lasciamo permanere una condizione che, di fatto, incentiva matrimoni nelle ambasciate e nei consolati celebrati secondo gli ordinamenti dei paesi ospitanti, le lamentele delle donne aumenteranno. Quindi, credo sia importante approfondire il dato peculiare relativo al modo in cui ha luogo il matrimonio e sapere dettare, nella legge, disposizioni appropriate. Ad ogni modo, la filosofia da seguire è quella di incentivare e di

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facilitare, in modo da assicurare alla donna ed ai figli le garanzie che sono contemplate, riguardo al matrimonio, dall'ordinamento italiano.

Sarà un vantaggio, per noi, sapere che è imam non il primo che passa per strada e che si autodefinisce tale, ma soltanto colui che è stato riconosciuto dal Ministero dell'interno. Sarà un grande vantaggio che, però, non potremo conseguire fino a quando non avremo approvato la legge. Mi rivolgo, in particolare, ad alcuni colleghi dell'opposizione: se non approviamo la legge, la situazione rimarrà, evidentemente, qual è attualmente.

Peraltro, se in Italia riuscissimo ad elaborare un modello positivo, ben funzionante, diventeremmo un esempio per altri paesi, anche sotto il profilo della libertà religiosa, sulla quale oggi non vi può essere divisione. In passato, era diffuso l'aforisma cuius regio eius religio, secondo il quale ognuno faceva i fatti suoi a casa propria; invece, la libertà religiosa non può essere limitata ad un paese. Credo che l'esempio italiano farà cultura, diciamo così, e costituirà un punto di riferimento anche per quei paesi che non hanno assicurato o non assicurano sufficientemente la libertà religiosa.

Pertanto, credo che la legge debba fare, per così dire, il suo dovere: assicurare libertà di coscienza e di religione ed integrarsi con altre leggi (ad esempio, con quelle in materia di immigrazione). Ad essa non si può chiedere, invece, di assorbire tutte le tematiche di quello che può essere indicato come un trittico (comprendendovi anche il problema della cittadinanza). La legge potrà dare un grande contributo alla soluzione degli altri problemi connessi ma, come ha ben rilevato il professor Zaccaria, dovrà richiamare esplicitamente anche il tema della laicità: sia chiaro che non vogliamo

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sommare confessionalismi a confessionalismi, o creare riconoscimenti di confessionalismi, ma vogliamo che il nostro sia uno Stato laico.

È chiaro che ci rivolgiamo all'immigrazione nel suo complesso, con i suoi diritti, ed all'immigrazione che ha una fede religiosa, per poter assicurare a chi ha una fede religiosa i suoi diritti, ma non vogliamo assolutamente stabilire un'equivalenza tra un immigrato ed una religione: l'immigrato può non avere alcuna religione, può averne una, un'altra o un'altra ancora.

Credo che questa consultazione sia stata estremamente utile e ci abbia convinti del carattere prioritario della legge. Ciò non toglie, naturalmente, che sia possibile stipulare intese; tuttavia, proprio di fronte alla varietà delle situazioni e delle pronunce, credo che una fase di sperimentazione di una legge sulla libertà religiosa possa aiutare tutti, qualsiasi traguardo si voglia raggiungere successivamente. Per questo, almeno per quello che ci riguarda, come ho già detto ieri, dobbiamo ringraziare il presidente Violante, il relatore Zaccaria e tutta la Commissione, la quale avrebbe anche potuto attendere la presentazione di un disegno di legge da parte del Governo. Il fatto che la Commissione abbia deciso di procedere autonomamente è il segno della volontà politica di arrivare finalmente a fissare alcune conclusioni al riguardo nel corso di questa legislatura. Ed io penso che in questa legislatura vi siano le condizioni per arrivare finalmente ad una soluzione positiva.

JOLE SANTELLI. Signor presidente, innanzitutto desidero rivolgere un ringraziamento a tutti gli intervenuti per avere dato vita ad un'audizione particolarmente interessante. Lo dico perché ci stiamo occupando di un mondo multiforme al quale non rende giustizia, spesso, l'approssimazione giornalistica, che

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va anche a scapito della chiarezza: è noto che ciò che fa scandalo fa più notizia delle situazioni ordinarie.

Se mi è consentita una premessa, si può essere d'accordo o meno tanto sulla necessità di approvare una legge sulla libertà di religione quanto sul modo in cui la legge debba essere scritta: si tratta di posizioni assolutamente diversificate. Dov'è, allora, il problema reale che incontriamo nello scriverne il testo?

Un primo problema non riguarda la Consulta islamica in particolare ma, in generale, il tema che è stato opportunamente ricordato, in precedenza, dal signor Pallavicini: cos'è religione? Ci troveremo, un giorno, davanti ad una setta o ad un partito politico? Cos'è religione? Cos'è fede? Si tratta di un problema che dovremo affrontare ed al quale il testo delle proposte non riesce a dare fino in fondo, a nostro parere, una soluzione reale.

Il secondo problema ci fa entrare più nel dettaglio per ciò che riguarda i nostri ospiti odierni. La nostra perplessità è che il testo è stato scritto in anni lontani. Oggi, esso si confronta con quello che è, soprattutto in termini giornalistici, in maniera esponenziale, il mondo islamico. Questa è la difficoltà.

Ringrazio gli intervenuti soprattutto per aver sottolineato un dato essenziale. Quando parliamo di islam in termini politici, sembra che si debba essere o per l'islam o contro di esso e che non ci possano essere posizioni mediane. Invece, il dato riscontrabile in maniera più netta è che c'è una distinzione reale - per l'occasione, colgo il suggerimento del collega Allam - tra un Islam democratico ed uno che si pone, o si può porre, al di fuori delle regole democratiche.

Porsi questo problema in termini politici significa soprattutto dare ragione a chi, oggi, si batte, all'interno della propria comunità, affinché esista un Islam assolutamente riconosciuto,

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in piena libertà: riconosciuto, giustamente, ma anche integrato e collocato su un piano di giusta parità rispetto ad altre religioni.

Colgo un dato iniziale: quasi tutti gli intervenuti hanno sottolineato la necessità di un'intesa. Anche l'ambasciatore Scialoja sottolineava come sia difficile immaginare che la seconda religione presente in questo paese non abbia pari dignità di livello rispetto alle altre. Forse è lo strumento principe dell'intesa che, in realtà, può meglio sottolineare il perimetro reale in cui può operare l'Islam in Italia e in questo caso abbiamo già una posizione netta. Non mi preoccupa più di tanto, forse è una mia sottovalutazione, il fatto che non siamo ancora arrivati ad una intesa. Le intese in cui lo Stato italiano è già arrivato, di solito, hanno come riferimento religioni autoctone nel nostro paese, salvo quella con i buddisti. La grossa presenza del fenomeno islamico in Italia è successiva, ovviamente cozza - ormai ne siamo consapevoli - con una religione non verticistica e, quindi, con delle difficoltà maggiori, ma questo non deve e non può costituire una resa, sia da parte dello Stato che da parte vostra, ed una rinuncia allo strumento dell'intesa.

Dico ciò perché sarebbe falso immaginare - e su tale aspetto rivolgo la mia domanda - che ci sia una terza via, la quale comporta necessariamente i problemi di cui oggi stiamo parlando. Sostanzialmente, che cos'è la terza via? Oggi viene definito un terzo status, l'ha detto già il relatore, sostanzialmente costruito sui parametri della religione cattolica: quindi, i ministri di culto, ne abbiamo parlato più volte, e tanti altri istituti. Faccio riferimento ad aspetti specifici. Si parla del diritto del genitore all'insegnamento della religione e, quindi, in riferimento alle scuole, non più con un'intesa alla base, ma come diritto del singolo. Se andassimo ad esercitarlo, cosa

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insegneremmo ai ragazzi musulmani? Il sunnismo, gli sciiti, quali scuole? Chi lo sceglierebbe o quante ne sceglieremmo? Tutto ciò costituisce un problema nelle scuole pubbliche.

Inoltre, chi potrebbe dire in astratto «no» all'assistenza del ministro di culto in un ospedale piuttosto che in un carcere? In astratto, ma poi chi è il ministro di culto reale? Chi va? Se l'imam, quale? Chi si è autodefinito tale? Allora, torniamo indietro perché, lo avete detto più volte voi, abbiamo necessità di costruire un Islam italiano e di una scuola di formazione per gli imam. Come si fa ad avviare una scuola di formazione se non ho un interlocutore ed un'intesa alla base? Con chi la faccio? Il problema vero è che da uno Stato che si autoproclama laico - non indifferente, ma che, comunque, lascia la capacità di autoorganizzazione -, ci troveremo ad avere un problema definito con la religione islamica, cioè l'interlocuzione con lo Stato deve essere, storicamente e culturalmente, notevolmente maggiore. Quella è la nostra barra di distinzione. Allora, se facessimo una legge sulla libertà di religione che preveda varie aspetti, temo che non risolveremmo il problema Islam. Credo che con questo testo non risolveremo il problema Islam perché, ancora una volta, ragioniamo in astratto con i nostri «occhi» occidentali e cattolici, e non vogliamo guardare - spesso siamo troppo disattenti - le altre realtà, in cui veramente ci dovremmo calare per comprendere anche la regolamentazione.

Un'ulteriore domanda riguarda il riconoscimento della personalità giuridica, che spesso è automatico e su una base esclusivamente astratta.

ROBERTO ZACCARIA. Non deve essere automatico.

JOLE SANTELLI. È automatico in un altro senso perché, per giunta, esiste la legge Bassanini e, quindi, c'è il silenzio-assenso

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e in alcuni casi si va per automatismi. Comunque, quel tipo di riconoscimento non sana la questione perché, allora, avrei il riconoscimento di una serie di associazioni, con difficoltà di accordi finanziari, risultati e tutto quello che sappiamo.

Vorrei rivolgere un'ultima domanda al rappresentante dell'UCOII. Signor Dachan, lei ha parlato sulla poligamia e l'ha fatto in maniera totalmente difforme da tutti gli altri colleghi, ma non voglio cadere in quella provocazione e le chiedo un'altra cosa. Uno degli intellettuali islamici forse più discussi, ma anche più riconosciuti in termini occidentali - Tariq Ramadam, che lei conosce bene -, propone e chiede all'Inghilterra la possibilità dell'obiezione di coscienza, cioè il fedele potrebbe disattendere la legge dello Stato se fosse contraria alle norme della religione. Riconosce o meno validità a questa tesi?

FRANCO RUSSO. Presidente, intervengo su alcuni punti, ma sono facilitato da alcune sue considerazioni e da quelle svolte dall'onorevole Zaccaria. Vorrei però fare una premessa perché ho sentito dei toni che sono comprensibili in una discussione di Commissione, ma meno in un'audizione. Lo dico esplicitamente - l'ho anche interrotto e me ne scuso se l'ho fatto in malo modo, ma non credo - all'onorevole Bocchino. Quando dice che è un rappresentante del Parlamento, in una sede del Parlamento e che viviamo in una società cattolica, retti dai principi della Chiesa, rimango francamente stupito. Infatti, un conto è la rilevazione sociologica dello stato di fatto della maggioranza dei cattolici, un altro che siamo retti da una Costituzione, siamo in uno Stato costituzionale e non chiediamo a nessuno - perché c'è la libertà di espressione, di coscienza e di manifestazione del pensiero - principi etici che non fanno parte della Costituzione italiana. Questo è un punto

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fondamentale e sulla vicenda dello Stato etico ritornerò fra un momento. Invece, presidente, sono facilitato da due considerazioni, una fatta esplicitamente da lei e l'altra dall'onorevole Zaccaria.

La prima considerazione è relativa alle intese. A me pare che l'onorevole Violante abbia tolto «peso» alla figura giuridica dell'intesa. Infatti, se ci muoveremo con la pluralità dei livelli indicati dall'onorevole Zaccaria, ovviamente nella realtà e nel rapporto con il mondo dell'Islam, non saremo obbligati a perseguire delle intese o, come diceva anche l'onorevole Boato, avremo più intese, ma condivido maggiormente l'idea che ho percepito dalle proposte degli onorevoli Zaccaria e Violante. In altre parole, avendo una pluralità di livelli, il riconoscimento e il rapporto fra le istituzioni pubbliche e il mondo differenziato dell'Islam potrà avere differenti livelli, ma non spetterà né alla legge né alla Commissione parlamentare stabilire le modalità con cui si dovrà interloquire fra le istituzioni pubbliche e l'Islam, così come il problema del riconoscimento degli imam sarà sottoposto ai vari livelli, cioè ai soggetti riconosciuti come diceva l'onorevole Zaccaria. In questo modo, avremo la possibilità di interloquire con il mondo islamico rispettandone le caratteristiche plurali che ha al suo interno, così come facciamo con il mondo cristiano. Quindi, ritengo che l'idea indicata dall'onorevole Zaccaria trovi riscontro dalla discussione di stamattina.

Per quanto riguarda la seconda questione, le considerazioni svolte dall'ambasciatore Scialoja - lungi dall'implicare cose strane, come alcuni colleghi hanno sostenuto - sembrano molto importanti perché questa legge è tarata su un mondo preislamico italiano. A me pare che l'audizione di questa mattina ci confermi l'importanza di averla svolta perché dobbiamo approvare una legge non più tarata sul 2001 ma sul

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2006 e sul futuro, sulla realtà - anche la religione islamica ma probabilmente non solo quella - che saranno presenti nel nostro paese. Quindi, trovo interessanti i suggerimenti formulati dall'ambasciatore Scialoja, cioè superare la dizione di ministro di culto e vedere quale figura immettere, il problema delle sepolture, eccetera. Tali suggerimenti sono apparentemente semplici, ma, invece, in una legge che voglia rivolgersi a tutti i cittadini, penso che siano particolarmente importanti, superando così il «cristianocentrico» contenuto in questa legge. A mio avviso, questo è il punto di fondo, cioè la legge sulla libertà di coscienza nasce centrata sul mondo cristiano, mentre noi dobbiamo andare oltre.

La terza questione concerne il problema dell'insegnamento, che a me pare abbastanza semplice da risolvere. Noi abbiamo delle norme costituzionali molto precise, quindi penso che chi intenda «costruire» degli insegnamenti, rispettando le leggi dello Stato e senza oneri per quest'ultimo, possa assolutamente farlo.

Senza bisogno di pronunciarsi sulla questione relativa all'autonomia scolastica si possono attivare, a secondo delle zone d'interesse, insegnamenti di differenti religioni usufruendo appunto dello strumento dell'autonomia. Se in un quartiere di Milano sono presenti dei bambini di religione islamica non vedo nessun ostacolo a che si attivi nella scuola interessata un insegnamento che vada in quella direzione poiché le leggi dello Stato italiano lo consentono.

Quindi, penso che la vicenda dell'insegnamento non vada drammatizzata, così come non drammatizzerei - in linea con il pensiero del presidente Violante - il problema delle intese.

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Riguardo alla questione matrimonio in questa sede parlo veramente a titolo strettamente personale, infatti non intendo coinvolgere il gruppo di cui faccio parte che, come tutti sapete, è Rifondazione Comunista.

Ho molto timore dello Stato etico poiché il nostro paese si è caratterizzato grazie ad una lunga maturazione civile sul problema del concubinato e, di conseguenza, sul perseguire o meno per legge tali fattispecie. Adesso, per fortuna, stiamo attraversando una fase caratterizzata anche dalla discussione sulle unioni civili, quindi sono stati fatti dei grandi passi in avanti.

In relazione al problema della poligamia vi è una posizione netta dal punto di vista del riconoscimento civile, descritta dai miei colleghi, tra cui l'onorevole Boato. Quindi, chi vuole usufruire di certi status civili deve seguire la prassi legale secondo cui ci si deve sposare davanti ad un ufficiale di stato civile, oppure davanti ad un ministro di culto che leggerà, o prima o dopo il rito religioso, le relative norme del codice civile.

MARCO BOATO. L'alternativa è: o durante la cerimonia o prima!

FRANCO RUSSO. A me pare molto difficile sindacare gli aspetti religiosi dei matrimoni; in questo senso, vedo abbastanza difficile un intervento da parte dello Stato.

Ho sentito due posizioni molto differenti circa il ruolo del matrimonio nell'Islam: la prima è stata espressa dall'ambasciatore Scialoja e la seconda dal dottor Amadia.

Sarebbe molto utile chiarire questi due punti di vista perché l'ambasciatore Scialoja ha sostenuto la tesi secondo cui non siamo in presenza di un rito, ma di un atto tanto civile da essere redatto davanti ad un notaio. Il dottor Amadia,

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invece, ha accentuato l'aspetto simbolico ma potrei non aver ben compreso, quindi desidererei avere maggiore chiarezza poiché le due prospettive sono molto diverse.

Ad esempio, se si tratta di un atto assolutamente civile penso che noi, come legislatori, saremmo molto più interessati ad intervenire sugli aspetti civili. Se l'atto è redatto da un notaio ed ha degli effetti civili penso che il Parlamento dovrebbe intervenire al riguardo. Di contro, se vi sono aspetti religiosi, al di là del mio parere sulla poligamia, penso che il Parlamento incontrerebbe più difficoltà ad intervenire. Infatti, pur essendo contrario a livello di principio a questa unione poiché ne conosco gli effetti, penso che non si possa disciplinare con legge l'aspetto religioso, se non attraverso interventi culturali di orientamento e di maturazione molto lenti. Lo Stato etico mi fa paura in quanto, in teoria, si potrebbe intervenire anche nei confronti di chi ha più amanti. Personalmente invece sono convinto che ogni persona dovrebbe essere libera di scegliere...

PRESIDENTE. Gli amanti in genere non sono ufficiali.

FRANCO RUSSO. Al riguardo presidente, avendo la sua età, ricordo tutte le lotte e le tragedie sul concubinato.

MARCO BOATO. Il problema non è il matrimonio religioso perché anche un cattolico se si sposa prima civilmente e poi, il giorno dopo o dieci anni dopo - pensiamo al presidente Rutelli -, conclude il matrimonio religioso, quest'ultimo non ha nessuna incidenza; il problema è dato dal matrimonio religioso che ha effetti civili.

FRANCO RUSSO. Siccome abbiamo già detto che l'unico matrimonio ad avere validità civile è quello concluso secondo

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le regole con il nulla osta, il matrimonio sarà uno solo in Italia, non vi è dubbio alcuno. Se successivamente o prima si realizzano delle poligamie vissute religiosamente la legge può fare ben poco.

In Italia i figli naturali già godono di protezione da parte della legge e, secondo me, dovremmo verificare puntualmente che tutto ciò avvenga.

In secondo luogo, penso che come legislatori dovremmo curare gli effetti negativi che, eventualmente, la poligamia potrebbe causare nei confronti della donna.

Bisogna capire come sanare a favore delle donne questa situazione negativa e di fatto; il legislatore può fare questo, non bacchettare che si comporta in un certo modo. Ad esempio, personalmente sono contro il burka, ma posso convincere, non vietare poiché ciò significherebbe incidere sui costumi individuali.

Perché non utilizziamo, nell'ambito di un regime transitorio e a protezione delle donne che subiscono la poligamia, quello che stanno facendo alcune regioni? Mi riferisco al riconoscimento di una serie di diritti sociali di protezione (previdenza, casa e così via) per la donna che ha subito, o comunque ha vissuto, l'esperienza della poligamia.

Ho fatto alcune domande e considerazioni che spero possano essere utili per il proseguo dei nostri lavori.

GIANPIERO D'ALIA. Signor presidente, cercherò di essere breve limitandomi a porre alcune questioni, poiché credo sia opportuno e necessario che gli amici della Consulta ci diano un contributo scritto successivo su questioni specifiche.

Il dibattito culturale ci è noto, lo abbiamo giustamente approfondito poiché attraverso il confronto si possono meglio conoscere i tanti aspetti di un mondo complesso.

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Devo ringraziare gli amici della Consulta, che peraltro conosco da tempo, perché credo che l'idea della sua istituzione sia stata utile, sia stato un passo avanti; possiamo discutere se essa abbia prodotto tanti, pochi o medi effetti, ma è stata il primo passo che oggi ci mette anche nelle condizioni di confrontarci con tante realtà importanti. Nello svolgimento della mia precedente funzione ho avuto la fortuna di incontrarli più volte, in occasione di sedute convocate dall'allora ministro Pisanu.

Mi rivolgo ora al relatore. Oggi completeremo il quadro di audizioni - lo dico con grande rispetto - con le associazioni degli atei e degli agnostici; ho una mia visione delle libertà religiose costituzionalmente garantite e credo che, nel momento in cui si affronta la discussione di una legge sulla libertà religiosa, che è per definizione una libertà positiva e attiva - quella di professare un credo, di organizzarsi, di associarsi e fare legittimo proselitismo - , difficilmente possa trovare spazio nel testo di questa legge, dal punto di vista tecnico, una libertà negativa.

MARCO BOATO. È la libertà di coscienza!

GIANPIERO D'ALIA. Ma è un'altra cosa! Questo è il mio punto di vista, poi ognuno avrà la sua opinione, che rispetto.

Oggi completiamo - dicevo - un quadro di audizioni autorevolissime ed importanti e credo che sia opportuno svolgere qualche considerazione più specifica insieme agli amici che sono qui, che potranno fornire anche un contributo successivo.

La libertà religiosa è una libertà individuale o collettiva; la libertà individuale è disciplinata nella Costituzione e non avremmo bisogno di una legge ordinaria per ricopiare quello che la Costituzione ha già previsto. Noi dobbiamo fare una

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legge che tuteli la libertà individuale di religione, rimuovendo concretamente quegli ostacoli che impediscono l'esercizio di tale libertà. In questo contesto, sono già state individuate, nelle proposte di alcuni colleghi, una serie di questioni che riguardano la libertà di credo sul luogo di lavoro, la sepoltura, i riti, il matrimonio, l'insegnamento e quant'altro; se vi sono aspetti che riguardano questo fenomeno individuale, che nei testi voi non ritrovate e che dal vostro punto di vista possono essere invece utili per codificare la rimozione di ostacoli al libero esercizio del proprio credo religioso, credo che sia opportuno segnalarli, perché nessuno di noi ha una cultura enciclopedica o ha la presunzione di conoscere tutto.

La seconda questione riguarda la libertà di associazione religiosa, che è un argomento diverso; si tratta di un tema delicato, che è stato anche trattato quando si è parlato dei luoghi di culto e dei luoghi di riunione. La libertà di associazione religiosa è anch'essa una libertà che, per definizione, è spontanea ed è difficilmente inquadrabile in categorie o in norme giuridiche; essa incontra degli limiti che l'ordinamento costituzionale definisce in maniera molto chiara e netta: la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, che vale per la libertà di associazione in genere e per la libertà di associazione religiosa in modo particolare (quindi, non è un elemento discriminatorio). Poi abbiamo la libertà religiosa collettiva, che da associativa diventa organizzata. Questo è l'aspetto che in maniera più specifica dobbiamo trattare nel nostro testo.

È evidente che la libertà religiosa organizzata produce effetti nell'ordinamento giuridico del nostro Stato, altrimenti sarebbe una libertà associativa senza alcun rilievo, che, come tale, troverebbe tutela nella Costituzione; se fosse così, non ci sarebbe neanche l'esigenza di stare qui a vedere come disciplinarla.

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Credo che dobbiamo chiarirci le idee sul contenuto necessario di una disciplina relativa alla libertà religiosa organizzata.

Sono felice e devo ringraziare - lo dico senza infingimenti - sia il presidente Violante che l'onorevole Zaccaria, perché finalmente riusciamo, nella sede propria, a discutere di temi così complessi, delicati, difficili da comprendere, senza essere costretti a leggere quotidianamente sciocchezze sesquipedali sui giornali o dibattiti il più delle volte inventati, cercando di sottrarre questo tema ad un confronto politico virtuale - qualcuno molto più autorevole di me parlerebbe del teatrino della politica - . Rispetto a questi temi, per l'impatto mediatico che tali argomenti hanno sui cittadini italiani, chi ha poca cognizione di causa, meno parla, più bene fa alla nostra nazione.

Onorevole Zaccaria, credo che ad esempio il tema della libertà, della ostentazione dei simboli religiosi debba essere affrontato in questa legge. Non dobbiamo avere paura, per il politically correct, di affrontare questioni che invece rientrano nell'ambito delle libertà individuali e collettive. Ho presentato una interpellanza urgente al Ministero dell'interno qualche settimana fa, perché sul quotidiano La Stampa è uscita una bellissima inchiesta fatta da una giornalista, che una mattina ha deciso di vestirsi alla maniera islamica integrale, cioè con il velo, e di prendere l'aereo per venire a Roma da Torino: si è fatta rilasciare un certificato di nascita e di residenza presso una circoscrizione romana, ha fatto il biglietto e superato i controlli all'aeroporto, ha passeggiato per piazza Colonna e Palazzo Chigi, ha fermato un autorevolissimo ministro della Repubblica, che dimenticava probabilmente che esisteva già una normativa del '75 su questa materia, e ha incontrato persone comuni. Tutto questo ovviamente vestita all'islamica...

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PRESIDENTE. Col burka o col velo?

GIANPIERO D'ALIA. Col burka. Ho detto all'islamica integrale. Ho voluto usare un termine diverso dal burka per non turbare nessuno. Essa documentava fotograficamente una cosa simpatica: i cittadini italiani sono molto più maturi e aperti di quanto non lo sia il ceto politico in tutte le sue accezioni...

PRESIDENTE. Che però è scelto dagli stessi cittadini italiani....

GIANPIERO D'ALIA. ...di maggioranza e di opposizione. Essa documentava proprio la normalità di una situazione di questo tipo. Ma la cosa singolare è che questa signora sia passata ai controlli di sicurezza con una borsa piena di tutto ciò che è vietato dalla normativa antiterrorismo, senza essere controllata nel viso e nei documenti e senza che venisse controllata la borsa. La cosa singolare è che, presentatasi ad un ufficio dell'anagrafe del comune di Roma, essa abbia ottenuto un certificato di nascita e di residenza senza esibire alcun documento di identità. Ella è transitata davanti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dove vi erano poliziotti e carabinieri preposti alla tutela della sicurezza del palazzo, senza che nessuno le chiedesse quale fosse la sua identità.

Benissimo, ognuno è libero di manifestare il proprio credo religioso e anche di ostentarlo, perché se mi dicessero che devo togliere il crocifisso che porto sotto la maglia, perché è una ostentazione del simbolo, riterrei questa una violazione della libertà religiosa, di un diritto personale costituzionalmente garantito. È evidente, però, che questi diritti sono contemperati con altri diritti e con altri interessi altrettanto rilevanti sotto il profilo costituzionale. Per cui, è stata introdotta,

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trent'anni fa, nel nostro ordinamento una norma che impone l'obbligo di non circolare a capo coperto, solo ai fini dell'identificazione del soggetto - che è il presupposto per la sicurezza di un paese -, salvo per motivate esigenze religiose. Vi è una norma esistente, ma su ciò si è sviluppato dibattito esilarante nel paese, con considerazioni di ogni genere e tipo. Anche ai fini dell'identificazione anagrafica vi è una circolare del Capo della polizia - faccio esempi specifici perché voglio spiegare dove voglio arrivare e chiedere anche a voi un contributo su tale aspetto - che prevede che nelle procedure per il rilascio della carta d'identità o della patente di guida non si può domandare a chi porta un copricapo di toglierselo se esso rappresenta una libera manifestazione del proprio credo religioso, l'importante è che i tratti somatici siano scoperti, poiché la comunità avverte l'esigenza di un'identificazione.

Credo pertanto che il tema vada affrontato completando - è questo senso della prima domanda che intendo rivolgervi - la normativa esistente, facendone anche una ricognizione, e questa mi sembra la sede propria per farlo, prevedendo sanzioni per chi costringe all'esercizio di un credo religioso, e tale aspetto non riguarda solo le comunità islamiche. Infatti, nei provvedimenti che esaminiamo, sia quello del collega Boato, sia quello del collega Spini, vi è una norma che prevede, in deroga all'ordinario regime della maggiore età, che il minore abbia garantito il diritto di scelta del proprio credo religioso al compimento del quattordicesimo anno di età. Tale norma, che considero importante, se non è accompagnata da una sanzione nel caso i cui genitori impediscono il libero esercizio di tale libertà positiva al minore emancipato - almeno sotto profilo religioso, poiché ha compiuto i quattordici anni - è una norma-manifesto, che difficilmente troverà applicazione nel nostro paese. Credo dunque, ed è proprio questo il senso

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della prima domanda che vi rivolgo, che sarebbe opportuno - e non so se siete d'accordo o no - che in questo provvedimento si introducessero disposizioni tali da rendere effettiva l'applicazione della libertà di culto, che riguarda tutte le confessioni religiose e non solo quella islamica.

La seconda domanda che vi rivolgo riguarda la vicenda del matrimonio. Anche in tal proposito - l'ho detto ieri e lo ripeto oggi - abbiamo bisogno di capire, anche da voi, quale debba essere il contenuto delle intese e quale debba essere il contenuto del riconoscimento della personalità giuridica di un ente di culto o di una confessione. Mi spiego meglio: se si confonde il riconoscimento della personalità giuridica con le intese, si tradisce lo spirito e la lettera degli articoli 7 ed 8 della Costituzione. Le intese, infatti, producono determinati effetti ed il riconoscimento della personalità giuridica per le singole associazioni necessariamente completa il quadro di fonti che regolano le libertà religiose, ma non possono sostituire lo strumento indicato dalla Costituzione, ossia quello delle intese. L'oggetto troppo ampio del riconoscimento della personalità giuridica rischia di portarci fuori dai binari della Costituzione, che è la nostra «religione laica» in Parlamento. Ed allora, il contributo concreto che chiedo è farci capire, dal vostro punto di vista, voi che vivete ovviamente il senso di una religione diversa dalla nostra ed anche di un modo di esprimerla all'interno della vostra comunità, quale debba essere il contenuto minimo di una legge che garantisca le libertà religiose, collettive ed organizzate, che non possano tradursi in un'intesa, per problemi sotto il profilo della rappresentanza istituzionale, o che potranno tradursi in un'intesa in un arco di tempo più ampio e cosa, viceversa, non

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possa essere disciplinato nella legge quadro che tutela tutte le manifestazioni possibili e debba essere pertanto inserito in quello delle intese.

Con riferimento al matrimonio, ho ascoltato molte belle affermazioni, anche da parte dell'onorevole Diliberto. Poiché mi sono laureato ormai da un po' di tempo - purtroppo per me e, penso, anche per i miei professori -, ho voluto rileggere sia il codice penale sia il codice civile in merito. Il reato di bigamia, perché il codice penale, al tempo in cui fu promulgato, immaginava solo la bigamia e non la poligamia ed il legislatore del tempo era ovviamente poco avvezzo all'evoluzione del mondo e dei problemi, è un reato che esiste solo nella fattispecie di un doppio matrimonio civile. Lo stesso avviene sotto il profilo del regime della nullità degli atti o del matrimonio, ai sensi dell'articolo 124 del codice civile. Ossia, per l'ordinamento italiano si configura la bigamia solo se si contraggono e si trascrivono due matrimoni che producono effetti entrambi nell'ambito dell'ordinamento civile. Se, viceversa, se ne trascrive uno solo il problema non si pone, nel senso che non si è soggetti né al regime delle sanzioni penali, né al regime dell'annullabilità o della nullità del matrimonio civile; ciò andava bene per il tempo in cui fu varato il codice civile. Oggi il tema è di attualità. Farò un'affermazione strana, signor presidente, è un tema che non riguarda solo e soltanto le comunità islamiche; è un tema - non sono d'accordo in merito con il collega Franco Russo, che stimo - che non riguarda lo Stato etico. È un tema molto, ma molto più laico di quanto non si immagini. Infatti, il matrimonio è un contratto da cui discendono diritti e doveri, obblighi, crediti e debiti.

Sotto il profilo dell'ordinamento civile, il momento valoriale è importante perché proviene dalla Costituzione, ma ai fini

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dell'organizzazione della comunità, il matrimonio, essendo un contratto, ha effetti che devono essere considerati da un altro punto di vista e con un'altra valutazione, quest'ultima molto più laica, non vorrei dire solo di natura economico-finanziaria, ma che certamente attiene ai diritti patrimoniali, successori, previdenziali ed altri. Ne stiamo discutendo, ne volete discutere a proposito di altri temi, ma questo è il punto. Ed allora, oggi perché si pone tale questione?

Faccio un esempio specifico: un cattolico che si sposa in chiesa con una donna e poi si sposa in municipio con un'altra donna non è soggetto, come ricordato, né alle sanzioni penali, né a quelle civili. Il matrimonio civile, in tal caso, non è nullo, viceversa lo è il matrimonio religioso, perché l'ordinamento canonico disciplina minutamente i vizi della volontà, tra cui la famosissima riserva mentale e lo Stato italiano ha imposto alla Chiesa l'adeguamento di tale ordinamento, alle proprie regole ai fini del riconoscimento degli effetti civili del matrimonio; è un aspetto che non dobbiamo dimenticare, altrimenti si è laici «a giorni alterni», e ieri il monsignor Betori, laicamente, lo ha riconosciuto. Affinché il matrimonio cattolico possa produrre effetti nell'ordinamento civile, lo Stato ha imposto alla Chiesa, in via pattizia, la lettura degli articoli del codice civile in sede di celebrazione del matrimonio, non come fatto formale, né come fatto simbolico, ma per affermare il principio della parità dello Stato con la Chiesa, con la circostanza, tuttavia, che lo Stato prevale sulla Chiesa laddove quest'ultima chiede che alcuni suoi atti producano effetti civili.

È evidente, dal mio punto di vista, che nel caso di un matrimonio civile, che sia stato contratto da un soggetto che ha in precedenza contratto un matrimonio religioso (cattolico, islamico, induista o altro), laddove l'ordinamento religioso non preveda ope legis, automaticamente, lo scioglimento e la nullità

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del matrimonio, ci si debba porre il problema se il doppio vincolo, religioso l'uno e civile l'altro, possa avere effetti all'interno del rapporto civile.

Recepisco, al riguardo, l'osservazione dell'onorevole Diliberto. In altri termini, bisogna domandarsi se possa essere considerata, in via generale ed astratta e indipendentemente dal fatto che si parli di monogamia o poligamia, l'ipotesi di nullità del matrimonio civile qualora sia stato contratto con un vizio della volontà, costituito dalla precedente contrazione di un matrimonio religioso con altra persona. Questa, del resto, è la sede nella quale discuterne perché, in occasione dell'esame delle due proposte di legge, stiamo trattando anche il tema della trascrizione, che è l'effetto finale. Se, infatti, interveniamo per modificare il codice civile in una sua parte, ciò significa che possiamo intervenire su più parti. Pongo questa domanda anche tecnicamente, perché il tema è molto delicato, e richiamo al riguardo anche l'attenzione del relatore. Come vedete, si tratta di un tema sul quale un contributo anche da parte vostra è importante. A mio avviso, noi dovremmo affrontare tale questione. Infatti, noi immaginiamo di introdurre in queste proposte di legge una norma antipoligamia, una norma-manifesto; ma ci illudiamo. Posto che - lo dico con la pena nel cuore - disposizioni come quelle sul velo, entrate in vigore nel 1975, non sono applicate dagli organi di polizia, tale norma-manifesto, se non sarà accompagnata da precetti e sanzioni, non sarà applicata. Approvandola, faremmo una bella cosa e compiremmo, forse, anche un passo in avanti ma, sostanzialmente, non andremmo da nessuna parte.

Un'altra riflessione attiene al tema dell'insegnamento nelle scuole. Le questioni, al riguardo, sono più d'una. Innanzitutto, vorremmo conoscere la vostra opinione circa l'insegnamento delle religioni nella scuola pubblica. Un altro quesito, invece,

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concerne il riconoscimento da parte dello Stato di scuole confessionali, cioè di scuole istituite e organizzate da confessioni religiose per i loro appartenenti, che sono riconosciute dallo Stato se ed in quanto assolvono non soltanto ad una funzione di natura religiosa e di formazione culturale e spirituale per gli aderenti alla confessione ma anche ad una funzione pubblica, perché si associano e operano in rapporto di sussidiarietà con lo Stato nell'esercizio della funzione statale dell'istruzione. È evidente che su tali due questioni un vostro contributo concreto è importante. Mi sono riferito a questo tema anche in occasione dell'audizione dei rappresentanti delle confessioni religiose che hanno stipulato intese con lo Stato o attendono di definire intese già approvate. È necessario trattare la materia del riconoscimento delle scuole confessionali - per usare un termine che può apparire inelegante ma che tecnicamente è corretto, almeno secondo il mio parere - come conseguenza del riconoscimento della personalità giuridica delle singole associazioni religiose oppure deve essere regolata dalle intese, dato che produce effetti su vasta scala? Infatti, l'interlocuzione non avviene con l'assessore all'istruzione del comune di Milano o di Napoli ma con il Ministero della pubblica istruzione poiché riguarda tutto il territorio nazionale ed è, quindi, evidente che c'è bisogno di un meccanismo di riconoscimento omogeneo e di una altrettanto omogenea presenza sul territorio. Non sfuggirà, soprattutto a voi, la delicatezza di questo tema che credo sia assolutamente importante e costituisce uno degli elementi - ho ascoltato con grande attenzione anche l'amico Pallavicini - che fanno la differenza fra l'intesa e il semplice riconoscimento della personalità giuridica.

Vorrei rivolgere una domanda, inoltre, all'amico imam di Salerno. Ovviamente, nessuno di noi ha una cultura enciclopedica

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e nella materia delle religioni è ancora più difficile averla: è difficile per i cattolici, che hanno un panorama interno molto ampio, capisco che sia lo stesso anche per voi. Precedentemente, ho illustrato l'esempio del matrimonio. In particolare, ricordavo che, nel caso in cui un cattolico contragga matrimonio religioso con una donna e matrimonio civile con un'altra donna, in base all'ordinamento canonico il matrimonio religioso è nullo. Non si produce, invece, l'effetto opposto. Ai fini del matrimonio cattolico, invece, il matrimonio civile successivo pone il presupposto automatico dello scioglimento del matrimonio religioso.

MARCO BOATO. Il matrimonio civile successivo?

GIANPIERO D'ALIA. Certamente.

MARCO BOATO. Come può celebrarsi un successivo matrimonio civile?

GIANPIERO D'ALIA. È possibile, nel caso in cui il matrimonio religioso non sia trascritto.

JOLE SANTELLI. Si tratta di matrimonio morganatico?

GIANPIERO D'ALIA. Si può scegliere di sposarsi in chiesa senza effettuare la trascrizione e senza che tale matrimonio produca effetti civili.

MARCO BOATO. Non credo che questo sia possibile, oggi, in base all'ordinamento canonico.

GIANPIERO D'ALIA. È proprio così!

MARCO BOATO. Se il matrimonio religioso è celebrato successivamente a quello civile, la questione è diversa.

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GIANPIERO D'ALIA. Chiedo scusa, onorevole Boato ma è necessario comprendersi meglio perché l'interlocuzione è importante. Mi riferisco al caso in cui qualcuno contragga semplicemente matrimonio in chiesa, senza chiedere che tale matrimonio abbia effetti civili. In tal modo, si celebra un matrimonio religioso tout court. Successivamente, lo stesso individuo può contrarre matrimonio in municipio con altra persona. Evidentemente, per l'ordinamento canonico quel matrimonio religioso è nullo.

MARCO BOATO. Il primo dei due?

GIANPIERO D'ALIA. Certamente, il primo.

ROBERTO ZACCARIA. Il matrimonio religioso è annullato, a posteriori, da quello successivo?

Non è chiaro quale dei due matrimoni sia nullo.

GIANPIERO D'ALIA. Quello religioso precedente. Se mi sposo in chiesa con una persona e successivamente mi sposo in municipio con altra persona, senza avere trascritto il primo matrimonio, ai sensi dell'ordinamento canonico...

MARCO BOATO. Il matrimonio religioso in chiesa produce automaticamente effetti civili.

GIANPIERO D'ALIA. No, questo non avviene automaticamente.

MARCO BOATO. Se non si è contratto precedentemente matrimonio con rito civile...

GIANPIERO D'ALIA. Non vi è alcun automatismo! Si può scegliere!

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PRESIDENTE. Il punto è questo: le cause di nullità non possono essere successive, devono essere precedenti.

GIANPIERO D'ALIA. Chiedo scusa, signor presidente. Tecnicamente, si definisce annullabilità. In ogni caso, ai fini dell'ordinamento canonico, avere contratto matrimonio civile con altra persona, diversa da quella con la quale è stato contratto matrimonio nella chiesa cattolica, impone l'annullamento.

PRESIDENTE. Insomma, scopriamo che tutte le religioni sono complicate.

GIANPIERO D'ALIA. Ad ogni modo, vorrei comprendere se, anche ai vostri fini, esista lo stesso meccanismo. Infatti, nell'intervento che lei ha svolto ha affermato che si tratta non soltanto di un atto notarile. Non sono interessato a questo aspetto ma alla attività che l'imam compie al fine di conoscere i nubendi e di verificarne lo stato di libertà, non potendo celebrare il matrimonio se siano già sposati con altre persone secondo il rito islamico. Vorrei sapere, quindi, se, nell'ambito del vostro ordinamento religioso, aver contratto matrimonio civile con persona diversa costituisca motivo di scioglimento dei vincoli contratti esclusivamente in via religiosa. Questo è il senso della mia domanda e sapere questo ci aiuterebbe molto.

MERCEDES LOURDES FRIAS. Signor presidente, considerata l'ora, quasi mi vergogno di intervenire, perché significa abusare della pazienza dei nostri invitati.

PRESIDENTE. Questo dipende anche dall'interesse delle cose che ci siamo detti.

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MERCEDES LOURDES FRIAS. Sicuramente.

Vorrei svolgere un intervento molto breve, quasi «tangenziale», rispetto alla discussione di questa mattina. Se qualcuno fosse entrato in aula senza essere stato convocato, avrebbe potuto pensare che questo incontro riguardasse la poligamia o sul mondo islamico. Non è né l'uno né l'altro: ma tutto vi rientra.

Vorrei ribadire che la questione della libertà religiosa riguarda tutti: italiani, stranieri, credenti e non credenti. Pertanto, la questione va allargata ed inserita in un ampio contesto, nell'ambito della propria idea di civiltà e nell'ambito delle possibilità di ognuno di esercitare ed esprimere la propria credenza sia a livello personale sia a livello collettivo, come facente parte di una comunità.

Tuttavia, tale proposta di legge, anche nel corso di questo dibattito, che è stato molto ricco (questa è una buona sede per esaminare alcune delle questioni che abbiamo trattato), è stata eccessivamente caricata di questioni che - insisto - rientrano in quest'ambito, ma che si possono risolvere anche in un altro modo. Magari, spiegherò in seguito più specificamente a cosa mi riferisco.

A mio avviso, vi è un problema che ha ingigantito le difficoltà nel dibattito e che scaturisce dall'egemonia e dal predominio della religione cattolica e della Chiesa cattolica in Italia. Dunque, vi è poco esercizio e poca abitudine anche nel confrontarsi dal punto di vista religioso con l'altro, con le altre religioni, che pure sono sempre state presenti.

In altri paesi vi è più equilibrio numerico: qui, magari, risulta più difficile capire che ci sono anche gli altri. Dunque, anche il linguaggio che stiamo usando è molto viziato da

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questa visione: non a caso, quando si fa riferimento alla Chiesa cattolica, si parla della Chiesa, con l'iniziale maiuscola, come se le altre non ci fossero. Questo è uno dei limiti.

Vorrei che ci collocassimo nel contesto culturale in cui stiamo svolgendo questa discussione. Molti degli interventi - che non riguardavano necessariamente il merito, ma ponevano problemi sull'approvazione della proposta di legge o sul fatto che si approvi una legge sulla libertà religiosa - ponevano obiezioni di tipo culturale. Mi dispiace che non sia presente l'onorevole Cota: parlerò con lui più tardi.

Tuttavia, penso che la sua posizione (egli ha elencato le barbarie di alcuni paesi islamici, chiedendosi perché noi permettiamo tante cose, quando in quei paesi le stesse non sono permesse), ci porti ad un ragionamento di reciprocità sottrattiva: facciamo meno, perché a noi, in un altro posto, è concesso meno.

Penso che questo sia un ragionamento regressivo ed anche inaccettabile da ogni punto di vista. Se stiamo parlando di apertura, di riconoscimento e di diritto, perché siamo superiori e civili, penso che tali temi debbano riguardare tutti. Ritengo che ciò sia abbastanza pacifico.

Dall'altra parte, la discussione è impostata sui concetti di «noi» e «loro», dove si cristallizza il «loro» o il «voi». Mi chiedo: noi, chi? Noi italiani? Va bene: fra noi italiani, ci sono cattolici, protestanti e musulmani. Voi, chi? Voi stranieri? Anche fra gli stranieri ci sono cattolici, protestanti, musulmani, buddisti e via dicendo.

È una cristallizzazione della diversità che la rende quasi naturale, quando naturale non è. Tutti noi, anche con le nostre religioni e le nostre non religioni siamo il prodotto di un determinato processo culturale e anche geografico. Ciò potrà sembrare una bestemmia: se fossi nata da una famiglia somala,

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in Somalia, le probabilità che fossi Pentecostale sarebbero state alquanto remote. Lo stesso vale per chi proviene dall'altra parte dell'Atlantico: le possibilità che io fossi musulmana in origine, a meno che non mi fossi convertita da grande sarebbero state molto ridotte.

Tutto ciò è anche parte di un determinato contesto culturale.

Non voglio relativizzare né essere determinista (lo dico più per noi che per le componenti della consulta presenti oggi). È importante tenere presente questo elemento, altrimenti la discussione viene snaturata.

Dico ciò anche perché, insieme alla cristallizzazione dell'altro, c'è una richiesta di integrazione come sinonimo di assimilazione. Nessuno è tabula rasa. Come ha detto l'onorevole Diliberto (forse, in questa sede, siamo stati molto generici), il rispetto della legge è un criterio. Ci sono delle differenze; ma vi sono la Costituzione e le leggi. Penso che questo debba essere il criterio fondamentale. Nell'ambito di questo contesto, se si avverte l'esigenza di una legge sulla libertà religiosa, vuol dire che non tutti hanno le stesse opportunità, e ciò va garantito. Devono essere garantiti il principio delle pari opportunità e della parità di trattamento.

Non è sempre stato così. Vorrei ricordare che i valdesi sono stati perseguitati fino alla seconda metà dell'ottocento, per non parlare poi di quanto accaduto agli ebrei cinquant'anni fa. E non è tutto: vi è ancora la questione sui culti ammessi. C'è tanta strada da fare. La presenza dei musulmani ha posto altre questioni più profonde, poiché emerge un determinato tipo di diversità, che però non si risolvono con questa proposta di legge.

Mi sembra che questa proposta di legge sia un buon punto, ma comunque rimanda ad altre questioni. Ad esempio, mi

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riferisco alla questione relativa alle coppie miste. Non mi piace questo termine, perché tutte le coppie sono miste, oppure non lo è nessuna. Penso che la questione dei diritti delle donne sia molto importante, ma la rimanderei a qualche intervento che non necessariamente sia risolutivo di tale questione. Non sto contestando questo aspetto: è un argomento importante; non risolviamo la sua complessità con una legge sulla libertà religiosa.

Lo stesso vale anche per la questione della poligamia che rimanda a tanti altri temi che non coinvolgono solo aspetti religiosi, ma anche questioni legate all'iscrizione anagrafica, ai diritti e così via.

Ci sono alcune questioni che rimangono aperte e che oggi non abbiamo risolto. Il presidente Pallavicini ha posto la questione dell'albo degli imam. A mio avviso, si tratta di un vero problema: con quale criterio e chi decide l'imam? Secondo me, questo rimane un grande problema aperto, più degli altri.

Siamo abituati ad una religione cattolica molto gerarchica in cui è facile individuare un interlocutore. Non vale lo stesso per le altre chiese cristiane e per l'Islam. A questo proposito, si pone un grosso problema, non soltanto per quanto riguarda le persone di religione musulmana.

CARLO GIOVANARDI. Vorrei chiarire un aspetto, anche se forse, come diceva la collega, ci siamo allontanati dall'oggetto della nostra indagine. Ho parlato con il presidente del tribunale ecclesiastico per chiarire il regime in vigore. In Italia possono convivere due forme diverse di matrimonio: chi si sposa in Chiesa, per il diritto canonico può risultare sposato con Anna; se, poi, dopo due anni, si sposa con Antonia, rimangono in piedi ambedue i matrimoni, uno religioso e l'altro avente effetti civili, a meno che un contraente non faccia

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ricorso alla sacra Rota, facendo valere una delle cause che rendono nullo il matrimonio fin dall'inizio. Tuttavia, se non lo fa, nel nostro ordinamento convivono un matrimonio religioso con un matrimonio civile.

Viceversa, se una persona che ha già contratto un matrimonio civile, vuole sposarsi con rito cattolico, prima deve sciogliere il primo matrimonio, attraverso il divorzio; altrimenti, il matrimonio religioso non può essere celebrato.

PRESIDENTE. Quindi, la poligamia è più frequente di quanto non si possa pensare.

MAURIZIO TURCO. L'intervento della collega Frias mi consente di andare molto veloce. Sono state dette tante cose interessanti; per esempio è stato richiamato più volte il discorso fatto da Rashid Amadia, circa l'albo degli imam: questa è una proposta di legge sul tappeto attualmente in Francia, è una proposta di Sarkozy, che mi pare anche abbastanza ragionevole, per quanto riguarda l'esplicitazione all'interno di una confessione religiosa. Poi c'è tutto il problema più vasto di quelle che vengono definite sette, che alcune volte lo sono, altre volte no; così come ci sono confessioni religiose che vengono definite tali, mentre invece presentano aspetti più simili a quelli delle sette.

Vorrei però lasciare agli atti di questa discussione un mio disagio, come deputato di questa Repubblica. Noi diamo tutti per scontato che i cittadini sono uguali di fronte alla legge, senza discriminazioni di razza, di sesso, di religione. Abbiamo cominciato questo nostro discorso - senza che alcuno dei membri della Consulta per l'Islam italiano abbia avuto nulla da ridire - dicendo, e accettando, che c'è una religione che è diversa dalle altre. Lo abbiamo sentito ieri. Non tutte le religioni sono uguali. Nessuno direbbe qui dentro: non tutte le razze

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sono uguali, non tutti i sessi sono uguali (di fronte alla legge). Eppure noi accettiamo passivamente di far finta di discutere di libertà religiosa, visto che c'è una religione che, a differenza delle altre, non solo ha una libertà ma ha anche dei privilegi, che noi peraltro riteniamo acquisiti e inamovibili. Infatti, se dovessimo davvero parlare di libertà religiosa, la prima discussione che dovremmo affrontare sarebbe perlomeno a livello costituzionale, intanto per capire se gli articoli 7 e 8 della nostra Costituzione garantiscono davvero alla religione cattolica quei privilegi di cui gode.

Vorrei soffermarmi inoltre sul tema del finanziamento delle religioni. Al riguardo, penso che molti di loro continuino a praticare la buona pratica della «decima», tirando fuori dalle loro tasche e non da quello dello Stato i soldi per finanziare il proprio credo, anziché avere il credo finanziato dallo Stato. Diciamocelo chiaramente: anche se la Consulta per l'Islam italiano avesse accesso all'8 per mille dello Stato, questo sarebbe misera cosa, rispetto a quello che ciascuno di loro, e loro tutti insieme, riescono a dare per la loro fede. Penso che alla base di tutto ci sia un problema di religiosità. È vero che si tratta di un problema individuale, tuttavia per quello che riguarda lo Stato di diritto, quindi una democrazia, una Repubblica che si dice laica, noi non possiamo fare a meno di dire che il compito del rispetto dell'uomo e della donna, nonché quello del rispetto della reciprocità tra gli esseri umani - al riguardo mi richiamo alla frase conclusiva dell'intervento dell'onorevole Giovanardi, che nel suo complesso peraltro ho condiviso, il quale attribuiva alle religioni tale compito - sono tutti valori fondamentali innanzitutto dello Stato di diritto. Poi ci può essere anche una religione che fa di questi valori i propri valori e che questi valori influiscono anche sulla società - in questo senso intendo l'intervento dell'onorevole Bocchino

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che parlava del modello di società cattolica che ha influenzato anche il modello di società politica -, però tutta la panoplia di antidiscriminazioni (razza, sesso, religione) è la base fondante dello Stato di diritto.

Concludo infine citando l'onorevole Franco Russo, il quale ci ha detto che questa legge è tarata su un mondo preislamico. Se posso, direi: figuriamoci la Costituzione!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, sono le 14,25 e alle 15 è prevista un'altra audizione con i rappresentanti degli atei, ma ancora prima dell'audizione vi sarà un ufficio di presidenza. Pertanto, se proseguiamo adesso i nostri lavori, rischiamo o di dare la parola soltanto a qualcuno dei rappresentanti oggi intervenuti oppure a costringervi ad essere particolarmente sintetici e questo non sarebbe giusto.

Dunque, potremmo far pervenire a tutti quanti voi il resoconto stenografico della seduta odierna e rivederci fra un mese, per rispondere alle questioni e ai problemi che qui sono stati posti, in modo da avere il tempo adeguato, giusto ed onesto per affrontare questi temi; altrimenti non riusciremmo a farlo nel modo in cui va fatto e con il rispetto di tutti. D'altra parte, i temi che avete posto sono importanti. L'80 per cento dei problemi in questa materia viene dal rapporto con l'Islam. Questa è quindi la ragione per cui siamo particolarmente interessati ai contributi che vorrete darci. Do ora nuovamente la parola all'onorevole Santelli e poi all'onorevole Giovanardi, che volevano aggiungere delle veloci considerazioni.

JOLE SANTELLI. Vorrei fare due domande veramente lampo che avevo dimenticato. Nel discorso sui diritti della donna, voi ritenete ancora necessaria la conversione da parte dell'uomo non musulmano per sposare una donna musulmana? È un obbligo religioso, esatto, ma questo diventa poi un

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problema in tema di educazione dei figli e comunque crea un problema di coercizione seria della libertà. Inoltre vorrei sapere, sempre in tema di libertà religiosa, come vi ponete rispetto all'abbandono della religione, quindi rispetto all'accusa di apostasia successiva.

CARLO GIOVANARDI. Mi scusi Presidente, ma approfittando anche della cortesia personale del presidente dell'UCOII vorrei che restasse agli atti di questa seduta, almeno per quanto mi riguarda - poiché questa è la prima volta che in Parlamento vi è una riunione di questo tipo, appunto con la presenza dell'UCOOI -, che espressioni come quelle che sono state usate qualche mese fa in quelle famose inserzioni che riguardavano il nazismo, Israele e i relativi paragoni, non sono passate inosservate in Parlamento. Dal momento che oggi è la prima volta che un esponente dell'UCOII è qui in Parlamento, vorrei che egli sapesse che, per quanto mi riguarda ma anche per quanto riguarda tanti altri colleghi, siamo rimasti indignati da quel comunicato.

MOHAMED NOUR DACHAN, Membro della Consulta per l'Islam italiano. Signor Presidente vorrei dire che, visto che vi è un interessamento da parte dei singoli parlamentari, noi diamo la nostra disponibilità per incontrare nel frattempo anche i gruppi parlamentari. Se i gruppi parlamentari lo desiderano, noi siamo disponibili ad incontrarli anche prima.

PRESIDENTE. Certo, ma stiamo parlando della Commissione, i gruppi parlamentari sono un'altra cosa. La Commissione si riunirà dunque fra un mese per completare la discussione. Vi faremo sapere la data e vi manderemo nel frattempo ai vostri domicili il resoconto stenografico della seduta odierna, in modo che ciascuno di voi potrà trovare le questioni di suo interesse.

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Ringrazio nuovamente tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,30.

Il progetto di legge sulla libertà religiosa in Italia - Indice