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COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta antimeridiana di lunedì 16 luglio 2007

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUCIANO VIOLANTE

La seduta comincia alle 12.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza episcopale italiana.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di libertà religiosa, l'audizione di rappresentanti della Conferenza episcopale italiana.
Come sapete, l'audizione odierna - che riguarda prima la Conferenza episcopale e poi anche altri soggetti -, a differenza della precedente, ha ad oggetto il testo elaborato dal relatore e approvato dalla Commissione come testo base. Su di esso ci interessa raccogliere gli orientamenti e le valutazioni delle personalità che hanno accettato il nostro invito.
Prima di dare la parola ai nostri ospiti, invito il relatore, professor Zaccaria, ad introdurre il tema.

ROBERTO ZACCARIA. Dirò pochissime parole, innanzitutto per cortesia verso i nostri ospiti, al fine di riferire loro il metodo dell'intervento che è stato attuato su questo testo.
Essenzialmente, il relatore ha lavorato avendo come base i due testi Boato e Spini, che in larga misura raccoglievano il punto di arrivo dei lavori delle legislature precedenti, che, a loro volta, contenevano molti princìpi già presenti rispettivamente nei testi Prodi (XIII legislatura) e Berlusconi (XIV legislatura).
Naturalmente, un elemento molto importante di riflessione è stato rappresentato dal materiale ingente derivante dalle audizioni che abbiamo svolto in questa stessa sede. Peraltro, come diceva prima il presidente, le audizioni avevano in qualche modo uno spettro più ampio, mentre adesso l'iter dei lavori parlamentari ci consente di concentrarci su un testo che non ha questo carattere di novità assoluta, ma semplicemente ha mirato - questo è il primo elemento che vorrei sottolineare - a dare sistematicità ancora maggiore all'impostazione che risultava dai due testi.
Oggi, nei diversi capi di cui la legge si compone, risulta chiaramente delineata la fisionomia dell'intervento normativo di attuazione costituzionale. Da un lato, potremmo dire che il lavoro è mirato all'applicazione di tutte le norme costituzionali, in particolare dell'articolo 8, che prevede il principio dell'uguale libertà, che non significa eguali trattamenti, ma una soglia di libertà garantita per tutti.
Il primo capo, sostanzialmente, delinea la condizione individuale e collettiva, quindi dei singoli e delle confessioni, sul piano generale. Esiste, poi, un secondo capo che individua le confessioni che in qualche modo entrano in rapporto con lo Stato. Da questo punto di vista c'è un elemento di novità, ma è prevalentemente estetico: anziché il conseguimento, a titolo quasi individuale, della personalità giuridica, quindi del procedimento che accompagna

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questa fase, si individua un registro delle confessioni che entrano in rapporto con lo Stato. Il registro tende a realizzare due princìpi: la libertà (con l'attribuzione della personalità giuridica, vi è uno status in qualche modo rafforzato) e l'elemento di controllo e di trasparenza che deriva dalla configurazione di un registro delle confessioni religiose, che sarebbe una novità più formale che sostanziale nel nostro ordinamento.
Esiste, inoltre, una serie di istituti che si ricollegano a questo particolare status. Per quanto riguarda i ministri del culto, o sono ministri del culto di confessioni iscritte al registro, oppure, diversamente, previa valutazione della conformità degli statuti cui si riferiscono gli ordinamenti dello Stato, esiste - questa è una seconda novità - un elenco dei ministri del culto. Anche questo è un elemento che coniuga libertà e conoscenza, da parte dello Stato, dell'esistenza di questa categoria di soggetti che operano nell'ordinamento italiano.
Vi sono, poi, la parte relativa al matrimonio, evidenziata e disciplinata in maniera più completa, e quella relativa alle intese, che naturalmente rappresenta la parte finale del testo. Anche in questo caso non ci sono grandi novità. Il procedimento, tuttavia, appare meglio disciplinato. Non esiste - siamo partiti da questo punto - un diritto costituzionale alla stipulazione delle intese. L'esistenza di alcuni istituti nel capo I e nel capo II configura una minore corsa alle intese, dato che vi è lo stato intermedio del registro, che dà la possibilità alle confessioni di avere una serie di diritti nell'ordinamento, senza necessariamente richiedere il ricorso alle intese. Questo itinerario si conclude con una norma che poteva essere indifferentemente scritta all'inizio o alla fine.
So che le norme sulle abrogazioni e sulle applicazioni sono molto significative. Questa legge non si applica alle confessioni che hanno intese con lo Stato e a chi ha un regime concordatario in base all'articolo 7 della Costituzione. Ciò è ribadito anche nel testo della legge. Questa è l'impostazione di fondo della legge in esame.

PRESIDENTE. Do la parola a monsignor Betori, Segretario generale della CEI.

GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. Desidero anzitutto esprimere al presidente della Commissione, onorevole Violante, e al relatore, onorevole Zaccaria, un ringraziamento per il cortese invito che è stato rivolto alla Conferenza episcopale italiana ad intervenire nell'ambito delle audizioni sui contenuti del testo base adottato dalla Commissione nella seduta del 4 luglio scorso.
Come già in passato, a questo invito aderiamo volentieri, considerata la delicatezza dei temi in esame e considerata l'opportunità di un approfondimento che tenga conto delle valutazioni dei soggetti confessionali, anche quando tali soggetti - come nel caso della Chiesa cattolica e delle confessioni religiose diverse da quella cattolica, che hanno già stipulato intese con lo Stato - sono espressamente e necessariamente esclusi dall'ambito di applicazione della normativa, come ricordava testé l'onorevole Zaccaria.
Rispetto alle originarie proposte di legge Boato e Spini, il testo base introduce una serie di novità che riteniamo assai incisive e che finiscono per modificare sensibilmente l'impianto e i contenuti dell'intervento legislativo. Il doveroso apprezzamento per il notevole impegno di rielaborazione, che è all'origine di tali modifiche, non può essere disgiunto da vari rilievi che formuliamo con animo preoccupato, ma con intento costruttivo, confidando che possano contribuire alla ricerca di una soluzione condivisa.
Le disposizioni che appaiono problematiche e non condivisibili, in realtà, non sono poche. Volendo limitarsi ad alcuni temi essenziali, suscita anzitutto sorpresa e contrarietà l'introduzione del principio di laicità, addirittura quale fondamento della legge sulla libertà religiosa, e la correlata disposizione secondo cui a tale principio è data attuazione nelle leggi della Repubblica (come reca l'articolo 1, comma 2, del testo base).
Si tratta, come è noto, di un principio di recente acquisizione giurisprudenziale,

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fino ad oggi estraneo al lessico normativo, che non risulta espressamente sancito né a livello costituzionale, né a livello di legislazione ordinaria. Singolare e forzata, pertanto, appare la sua introduzione nell'ordinamento mediante una legge dedicata alla libertà religiosa e la sua affermazione quale fondamento di tale libertà. Invece, secondo il chiaro insegnamento della Corte costituzionale, è il diritto di libertà religiosa - insieme ad altri fondamentali diritti riconosciuti segnatamente dagli articoli 2, 3, 7, 8 e 20 della Costituzione - che concorre a strutturare il principio di laicità. Così dice la Corte costituzionale, nella sentenza n. 203 del 1989.
Analogamente, suscita perplessità e riserve la disciplina, in senso paraconcordatario, del matrimonio delle confessioni acattoliche (articolo 30 e seguenti del testo base), definito oggi, espressamente, per la prima volta, quale «matrimonio religioso con effetti civili». Esso, invece, è sempre stato considerato e disciplinato, a nostro modo di vedere più correttamente, quale matrimonio civile celebrato in forma speciale.
Risulta eccessivo, inoltre, l'ampliamento della disciplina del divieto di discriminazione prevista dal combinato disposto degli articoli 3 e 15, come pure quello della disciplina della libertà religiosa in particolari condizioni restrittive, nell'articolo 14, che prevede, fra l'altro, una indebita equiparazione al coniuge del soggetto convivente (comma 5).
Occorre valutare con attenzione le conseguenze in concreto della previsione relativa al servizio pubblico radiotelevisivo (articolo 11). Sembra richiedere ulteriori approfondimenti la previsione di un registro delle confessioni e delle relative iscrizioni (articolo 16 e seguenti), nonché dei diritti delle confessioni iscritte in tale registro (articolo 22 e seguenti), con particolare riguardo alla disciplina in materia di edifici di culto (articolo 23) e all'equiparazione alle ONLUS delle confessioni, associazioni e fondazioni religiose, ai fini della destinazione del 5 per mille e delle erogazioni liberali (articolo 29).
Queste disposizioni, delle quali in questa sede non mi interessa sviluppare una analisi più dettagliata, introducono per tutte le confessioni un regime giuridico sostanzialmente analogo, se non identico, a quello bilateralmente previsto per la Chiesa cattolica e per le confessioni diverse da quella cattolica rispettivamente dal Concordato e dalle intese stipulate ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della Costituzione. È un regime che, in talune ipotesi, risulta persino migliorativo mediante il recepimento della normativa di diritto comune più favorevole.
La dichiarata finalità di garantire le uguali libertà delle confessioni religiose si traduce così in una normativa che prevede una sostanziale omologazione tra realtà assai differenziate e comporta una tendenziale riconduzione al diritto comune della disciplina del fenomeno religioso. Questo risultato, da tempo auspicato da correnti dottrinali e gruppi politici minoritari, da un lato non appare fondato, né coerente, rispetto al disegno costituzionale delineato dagli articoli 7 e 8 della Costituzione, né tantomeno in linea con la tradizione culturale del nostro Paese e con il sentimento religioso della maggior parte della popolazione; dall'altro lato, esso potrebbe risultare inadeguato rispetto alle problematiche determinate dalla diffusione di nuovi movimenti religiosi e delle sette, come pure rispetto alle questioni legate al fenomeno dell'intercultura e della multietnicità.
Come già osservato nella precedente audizione del 9 gennaio di quest'anno, l'esigenza di favorire l'integrazione dei nuovi gruppi e, quindi, la pacifica convivenza non deve tradursi in forme di ingiustificato cedimento di fronte a dottrine o a pratiche che suscitano allarme sociale e che contrastano con princìpi irrinunciabili per la nostra civiltà giuridica. Tali esigenze, da più parti avvertite e condivise, non sembrano trovare adeguata risposta nel testo in esame, che, contrariamente alle aspettative, prevede una serie di aperture che appaiono assai problematiche e svela alcune criticità del punto di partenza.

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Per la Chiesa cattolica non è in discussione la necessità - chiaramente affermata dalla dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae e dal successivo magistero - di assicurare il pieno rispetto della libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo e pietra angolare dell'edificio dei diritti umani.
La garanzia del fondamentale diritto di libertà religiosa in tutte le sue dimensioni, non ultima quella propriamente istituzionale, costituisce infatti la condizione per una pacifica convivenza e per una corretta laicità.
Quel che pare necessario approfondire è l'impostazione dell'intervento legislativo, che rimane auspicabile se equilibrato e puntualmente circoscritto nelle sue finalità. In questa prospettiva sarà possibile, ove necessario, anche mediante una nuova impostazione, garantire in termini ampi e generali il fondamentale diritto di libertà religiosa, individuare le materie oggetto di disciplina bilaterale e precisare modalità e procedure per la stipula di eventuali intese.

PRESIDENTE. Grazie, monsignor Betori.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURIZIO TURCO. Ringrazio monsignor Betori per essere intervenuto in questa audizione e per la sua disponibilità a discutere con noi sulla proposta del collega Zaccaria.
C'è un passaggio importante, quello relativo alle sette, accennato anche nella precedente audizione del 9 gennaio, che non è stato affrontato in questa proposta di legge. A prescindere dalle mie convinzioni in materia, sarei interessato ad un approfondimento circa il modo in cui potrebbe essere affrontata la tematica delle sette all'interno di questa legge.

PRESIDENTE. Credo che la questione delle sette si collochi sulla linea di confine tra ciò che è religioso e ciò che non lo è.

GABRIELE BOSCETTO. Inizio dalla sua ultima osservazione, monsignore. In sostanza, lei ritiene che questa legge abbia una serie di criticità che possono comportare una nuova formulazione del testo, la quale, tenendo ferma la condizione necessaria costituita dalla libertà religiosa, privilegi gli accordi bilaterali, cioè le intese. Mi pare quindi di comprendere - e il mio gruppo politico la vede in questo modo - che la costituzione del registro finisca per essere un dato normativo che non solo non si inserisce nella nostra tradizione, ma rischia di omologare realtà differenziate e, quindi, di creare situazioni di difficile regolamentazione fattuale.
Il principio di laicità inserito all'articolo 1, comma 2, di questa legge ordinaria, secondo quanto lei ha affermato, si pone in particolare contrasto con le norme degli articoli 2, 3, 7, 8 e 20 della Costituzione, che sanciscono il principio di libertà religiosa.
In sostanza, quando si stabilisce che c'è un principio di laicità al quale deve essere data attuazione nelle leggi dello Stato, si pone in essere uno strumento certamente rivoluzionario e certamente difforme dalla logica costituzionale esaminata alla luce della giurisprudenza negli anni, che porta alle conseguenze che lei ha evidenziato anche in relazione al matrimonio e alla nuova denominazione del matrimonio delle confessioni religiose, che finisce per voler dire molto più di quanto non appaia.
Mi pare quindi di poter concludere - riservandomi la possibilità di formulare altre domande dopo aver ascoltato la sua risposta - che il suo giudizio, pure estremamente garbato ma certamente ben conscio delle implicazioni normative e costituzionali del testo sul quale stiamo discutendo, sia un giudizio nella sostanza negativo su tutta l'impostazione del testo stesso che richiederebbe, quindi, una nuova formulazione, come dicevo all'inizio, partendo dalle basi attuali e non creando questa escalation tra registro e intese, e anche registro dei ministri di culto. Ciò può portare all'intesa, ma può anche lasciare che queste religioni o forse sette - se entrassimo nell'esame del testo

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si potrebbe vedere, ma, come può confermare ancora una volta il relatore, il testo disciplina anche le sette - restino riconosciute, tutelate dallo Stato, suscettibili di particolari diritti fino al matrimonio senza le garanzie che attualmente esistono con le intese.
Come infatti ricordava il relatore Zaccaria - al quale va il riconoscimento per il grande lavoro svolto, che noi giudichiamo non solo buono dal punto di vista politico, ma sappiamo che tecnicamente è stato un ottimo lavoro - la possibilità di rimanere nel registro senza attivare i provvedimenti di accordo per l'intesa lascia del tutto perplessi. Infatti, se da una parte è vero che, rispetto alla situazione fattuale, l'inclusione nel registro consente di meglio verificare l'esistenza e il lavoro di queste confessioni, è altrettanto vero che l'iscrizione nel registro, come ho detto, omologa realtà differenziate e anche scelte di mera iscrizione e scelte di accordo per l'intesa.

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Vorrei ringraziarla, signor presidente, per averci dato la possibilità di incontrarci nuovamente per discutere di questo rilevante tema (in sua assenza si era parlato di dover presentare gli emendamenti la settimana passata, mentre lei ci ha concesso di riprendere le audizioni sulla base di un testo che, di fatto, è abbastanza modificato). Ringrazio anche il relatore e ovviamente, per la loro cortesia, gli ospiti che sono venuti nuovamente a riferirci le loro impressioni su questo testo.
Vorrei approfittare della presenza di monsignor Betori per porre alcune domande relative al discorso della religione cattolica. La laicità dello Stato forse neanche io l'avrei inserita nel testo, da un lato perché credo che sia assolutamente scontata e dall'altro perché credo che sia un po' pleonastico e provocatorio parlarne in questa sede, dove si parla di libertà religiosa, quindi di scelte che si devono assumere sul versante della religione.
In base a questo, vorrei dire a monsignor Betori che la revisione dei Patti lateranensi era in fondo un inno alla laicità dello Stato in quanto tale (pur non citandola mai), ma laicamente assumeva un dato - se sbaglio, monsignore, me lo dica - che, in questa nuova versione, è totalmente disatteso. Senza nessun imbarazzo, mi riferisco all'affermazione che, comunque, base di tutta la nostra cultura e del comune sentire della nostra tradizione è la religione cattolica, che dunque ha una preminenza culturale di fatto fortissima.
Da questo discendevano alcuni elementi, quali per esempio l'ora di religione cattolica nelle nostre scuole, che mi pare questa legge - correggetemi se sbaglio - non tocchi assolutamente, poiché non sono toccati i Patti lateranensi.
Vorrei chiedere a monsignor Betori di precisare meglio quel che ha detto in merito al matrimonio paraconcordatario. Noi siamo qui per ascoltare precisamente questo elemento che ci preoccupa non poco. Infatti, l'equiparazione del coniuge e del convivente introduce delle difficoltà che potrebbero tradursi non si sa in che cosa nel momento che stiamo vivendo.
Vorrei sapere - lo spiegherà forse meglio il relatore - quale sia il meccanismo della gradualità, prevista dalla legge, tra vari soggetti, cioè quelli che hanno intese e quelli che non ce l'hanno o addirittura i concordatari, dato che il registro delle confessioni pare aprire la strada a rapporti che superano di fatto la necessità di avere singole intese.

LUCA VOLONTÈ. Signor presidente, anche io vorrei ringraziarla per averci dato l'opportunità di un'ulteriore riflessione sul tema con il contributo di alcuni esperti. Questo ci potrà servire, anche nei prossimi giorni, per elaborare meglio le riflessioni sul testo - anche se, per parte nostra, sono già state anticipate dall'onorevole D'Alia - e, con uno spirito evidentemente critico ma costruttivo, presentare gli emendamenti a metà settimana.
Vorrei chiedere a monsignor Betori, che ringrazio per la sua cortesia e per la brevità e la chiarezza della sua relazione, di tornare sul punto relativo al regime addirittura migliorativo che il testo di legge introdurrebbe a nocumento di quelle

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religioni e quelle fedi che hanno già intrattenuto rapporti di intesa o di concordato con lo Stato italiano.
Questo mi sembra un punto - tra gli altri che condivido - importante anche per la nostra riflessione complessiva sul testo.

PRESIDENTE. Do la parola a monsignor Betori per la replica.

GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. Nel provare a riassumere i numerosi punti che sono stati sollevati, ringrazio per l'attenzione con cui è stata presa in considerazione la nostra esposizione.
Vorrei anzitutto esprimere una valutazione circa la prima questione riguardante l'eventualità di una nuova formulazione del testo. Ovviamente non spetta a noi dire se questo sia più o meno utile alla definizione ultima di una legge.
Noi sentiamo, come ho ribadito, l'opportunità che la legislazione italiana si doti di uno strumento legislativo specifico in ordine alla libertà religiosa. Ora, che questo possa avvenire attraverso una revisione dei testi, così come presentati a partire dal 1990 in poi, adattandoli ovviamente alle situazioni culturali e sociali che vanno evolvendosi, o che si debba invece ripartire da una formulazione diversa, non sta a noi dirlo. Ci preme sottolineare, però, che una legislazione di questo tipo deve rispettare l'impostazione generale con cui la Costituzione affronta la problematica, laddove prevede attenzioni specifiche per la Chiesa cattolica - ritenuta l'elemento confessionale più rilevante della storia e della realtà attuale del popolo italiano - e per alcune espressioni religiose bisognose di specifiche intese con lo Stato, rimandando quindi alla legislazione normale un terzo livello che non può essere assimilato ai due citati.
Dalle analisi che abbiamo svolto ci sembra, invece, che la strada che si sta intraprendendo vada piuttosto nella direzione di allargare quanto più possibile a tutte le confessioni religiose uno status paritario che elimini le differenze; mentre è proprio nella natura delle religioni e degli enti che ad esse fanno capo, l'elemento della diversità. Solo la Costituzione, prevedendo da una parte gli accordi concordatari e dall'altra le intese, vede in questi strumenti il modo per rispondere alle differenze che le confessioni manifestano nella loro specificità.
Per quanto riguarda, poi, il tema della laicità, ci sembra che il modo con cui esso viene introdotto all'interno di questo disegno di legge rispecchi una tradizione giurisprudenziale, e ancor più culturale, che non è tanto quella italiana, quanto piuttosto - detto in modo sintetico - quella francese. Ci sembra che indicare la laicità come il fondamento della libertà religiosa appartenga a una tradizione culturale e legislativa diversa da quella italiana.
Il terzo aspetto sul quale è stata richiamata la mia attenzione è quello del matrimonio. La tradizione giuridica italiana vede una specificità nel matrimonio religioso cattolico, che viene riconosciuto in quanto tale e dal quale si fanno derivare gli effetti civili. Questo è l'aspetto specifico del matrimonio cattolico nella tradizione italiana. Nel testo, invece, viene assunto come un paradigma per tutti i matrimoni celebrati in forma religiosa. La tradizione giuridica, invece, vedeva nella forma religiosa una forma speciale di celebrazione del matrimonio civile.
Questo capovolgimento, esplicito nel testo, mostra l'esito di un cammino che si è fatto all'interno dell'evoluzione legislativa, che vede il tentativo di identificare nei rapporti fra Stato e Chiesa un paradigma cui richiamare tutti i rapporti che vanno instaurati tra Stato e confessioni religiose. Questo non ci sembra rispettoso della specificità e della situazione della Chiesa cattolica e, in genere, delle confessioni. Penso a quelle confessioni che, nella natura loro propria, prevedono un matrimonio di carattere poligamico, e non è soltanto quella islamica che opera in tal senso. Mi chiedo, dunque, come si possa attribuire tout court un riconoscimento, agli effetti civili, al loro matrimonio, senza specificare ulteriormente queste materie.

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Lascio volentieri la parola al professor Marano, almeno sul tema del registro e su altri aspetti a cui ha fatto riferimento anche l'onorevole Paoletti Tangheroni.

PRESIDENTE. Grazie, monsignor Betori. Do la parola al coordinatore dell'osservatorio giuridico legislativo della CEI, professor Marano.

VENERANDO MARANO, Coordinatore dell'osservatorio giuridico legislativo della CEI. Signor presidente, desidero in primo luogo sottolineare come il registro, effettivamente, rappresenti una novità rispetto all'esperienza giuridica italiana, i cui esiti potranno essere valutati e approfonditi, ma che al momento - così come appare dalla disciplina risultante dal capo II e III di questo testo base - potrebbe effettivamente comportare il rischio di una omologazione tra realtà che rimangono assai differenziate, non sufficientemente filtrata da meccanismi di verifica in ordine alle pratiche o al credo di tutte queste realtà.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Volontè circa un'affermazione di monsignor Betori relativa al regime, che in talune ipotesi risulta persino migliorativo rispetto a quello bilaterale, ricorderei le disposizioni contenute segnatamente negli articoli 14, comma 1, 21, comma 1, e 23, comma 1. All'articolo 14, comma 1, laddove si disciplina la libertà religiosa nelle cosiddette «strutture obbliganti», si completa una formulazione, che nella prima parte del comma è tradizionale, con un ampliamento determinato dall'espressione «e in ogni altro luogo».
All'articolo 21, comma 1, laddove si indicano i requisiti per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti, si prevede che tale riconoscimento possa avvenire nel caso in cui l'ente abbia il fine di religione e di culto con carattere prevalente e costitutivo. Noi sappiamo, invece, che la legislazione pattizia, così come risulta non solo dall'accordo del 1984, all'articolo 7, ma anche dalla legge n. 222 del 1985, prevede che per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti cattolici sia necessario che il fine di religione e di culto abbia carattere costitutivo ed essenziale, non prevalente e costitutivo.
La differenza tra «essenziale» e «prevalente» è piuttosto evidente. Ad ogni modo, esiste un notevole e approfondito dibattito sul punto.
All'articolo 23, comma 1, si prevede che per gli edifici di culto si possa procedere anche in deroga alle norme urbanistiche, formulazione che in una legge di questo tipo lascia qualche perplessità sulla potenziale portata.
Probabilmente, vi potrebbero essere altre fattispecie da menzionare. Ho citato solo queste, in quanto da esse risulta in modo più evidente quella che a noi appare come una delle impostazioni di fondo: il tentativo di cumulare gli effetti positivi risultanti dalla assunzione di una legislazione largamente parabilaterale e quelli derivanti dall'assunzione di talune novità introdotte nel diritto comune, per le persone giuridiche private, in particolare per gli enti no profit.
Il risultato che consegue da questa tecnica legislativa è quello di una evoluzione che per taluni aspetti configura una sorta di fuga in avanti, uno sbilanciamento complessivo.
Inoltre, riguardo al matrimonio paraconcordatario, la qualificazione introdotta del matrimonio delle confessioni diverse dalla cattolica come matrimonio religioso innova rispetto ad un dibattito ventennale che su questo testo si è affrontato, a partire da quello base del 1990 (peraltro mai discusso). L'innovazione, che pure potrebbe essere condivisibile, avviene in senso non fondato, perché qui siamo di fronte - secondo l'orientamento, se non unanime, perlomeno prevalente - ad un matrimonio civile celebrato in forma speciale. Parlo di matrimonio civile poiché è la legge dello Stato che si fa carico puntigliosamente e dettagliatamente - ma anche opportunamente, direi - di disciplinare le cause di nullità, di impedimento, e via dicendo. Si tratta quindi, propriamente, di un matrimonio civile celebrato in forma speciale.
Esiste, nel senso della progressiva imitazione concordataria, una serie di disposizioni

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che, a mio avviso, pongono un interrogativo di fondo che, anche al di là dei quesiti specificamente posti, vorrei brevemente menzionare. Mi riferisco all'aspetto - accennato dal relatore nella sua premessa, e che io condivido - che riguarda la finalità reale del provvedimento che stiamo discutendo. Si tratta, come più volte dichiarato e come la stessa titolazione sembrerebbe indicare, di un testo sulla libertà, che negli interventi del relatore viene definito «di attuazione costituzionale».
Ebbene, l'attuazione costituzionale non può riguardare l'una o l'altra delle norme che costituiscono il cosiddetto microsistema di disciplina costituzionale del fenomeno religioso. Non si può attuare l'articolo 8, comma 1, senza tener conto dell'articolo 7, oppure ponendo come parametro di riferimento solo l'articolo 3. Non si può ignorare la sostanziale differenziazione e distinzione di condizione giuridica tra la Chiesa cattolica e le confessioni cattoliche e tra le confessioni acattoliche con intesa e quelle senza intesa.
Pongo, dunque, una domanda di fondo: si vuole, per questa via, attuare effettivamente la piena libertà o si vuole chiamare, con tale espressione, la piena eguaglianza di condizione giuridica? Laddove si riproponga una normativa paraconcordataria, sembra che la seconda ipotesi sia quella più fondata. La menzione, fin dall'articolo 1, comma 2, del principio di laicità come presunto fondamento - al di là dei rilievi tecnici sollevati prima da monsignor Betori - sembrerebbe utilizzata in questa seconda prospettiva, ossia quella di superare, tramite il diritto comune, una differenziazione di condizione giuridica. Si tratta, ripeto, di finalità tutte legittime e tutte da approfondire, ma su questo punto mi sembra che il testo solleciti alcune domande di fondo.

PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi per ulteriori considerazioni.

GABRIELE BOSCETTO. Signor presidente, abbiamo fatto cenno al tema riguardante le sette, ma non abbiamo concluso se questo testo - come io credo - lo comprenda.
Avevo chiesto un chiarimento al relatore, ma certamente la qualificatissima presenza di monsignor Betori e del professor Marano potrebbe aiutarci.
Ritengo che quando si parla di libertà delle confessioni religiose e di autonomia confessionale - soprattutto all'articolo 6 - si identifichi il «diritto di aderire liberamente ad una confessione o associazione religiosa», quindi si tratta di una valutazione a largo raggio, così come contenuta anche al comma 2 dello stesso articolo 6.
Leggendo l'articolo 16, che affronta il tema della personalità giuridica affermando che «ciascuna confessione religiosa o l'ente esponenziale che la rappresenta, secondo il suo statuto, può richiedere l'iscrizione nel registro», non vi troviamo limitazioni.
Sappiamo che esiste una limitazione, in termini di valutazione del Ministero dell'interno. Tuttavia, ci sono sette che potrebbero teoricamente ottenere anche una valutazione positiva da parte del Ministero dell'interno.
Ci pare, inoltre, che la norma relativa ai ministri di culto - all'articolo 12 - preveda la possibilità per i rappresentanti di vertice delle sette di essere ministri di culto, sia di confessioni non iscritte nel registro, sia di quelle teoricamente iscrivibili nello stesso. Dal momento che sappiamo che alcune sette hanno modalità di vita e di proselitismo estremamente negative - dal plagio delle coscienze ad atteggiamenti persino truffaldini di massa - vorremmo capire se quanto a noi sembra di comprendere sia vero e quali potrebbero essere le eventuali modifiche giuridiche da adottare per evitare che tali sette diventino confessioni religiose tutelate.

ROBERTO ZACCARIA. Signor presidente, prima di tutto intervengo sulla questione dell'attuazione costituzionale. Purtroppo in questa materia nessuno ha la certezza di interpretare adeguatamente i princìpi e soprattutto il loro carattere sistematico. Naturalmente, ci muoviamo nella convinzione che questo avvenga.

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Per quanto mi riguarda - è comprensibile, anche in relazione alla mia formazione - il tentativo di predisporre una legge di scrupolosa attuazione costituzionale è particolarmente forte. Naturalmente, questo non vuol dire pretendere che la propria soluzione sia migliore di un'altra.
Quanto al principio di laicità, ringrazio monsignor Betori per la franchezza, al di là della cortesia, con la quale ha voluto sottoporci - e sono lieto che ciò sia avvenuto nel corso di un'audizione parlamentare, con le relative forme di pubblicità - una serie di questioni e di osservazioni critiche, aiutando notevolmente, in questa fase, il mio lavoro.
Ho cercato di tener conto della pluralità delle osservazioni sollevate durante le audizioni. Nel corso della prima audizione di monsignor Betori, sono stato colpito particolarmente da quella relativa alla mancanza - mi sembra che sia stata oggetto di contestazioni in sede giornalistica - di un diritto costituzionale all'intesa. A mio parere, era comprensibile e condivisibile (ed è il motivo per cui ho cercato di raccoglierla) la preoccupazione di non determinare, per la confezione della legislazione, una sorta di rincorsa necessaria alle intese. In altre parole, molte confessioni finivano col cercare di stipulare una intesa con lo Stato per aspetti, tutto sommato, non decisivi: a volte per concorrere all'8 per mille - o per questioni simili - oppure per dettare alcune disposizioni riguardanti la sepoltura dei defunti e via dicendo. Qualcuno ha parlato di tre livelli, ma in realtà sono quattro. Credo che sia molto chiaro, ma solo dal punto di vista terminologico. Faccio presente che esiste il regime concordatario, sul quale non ho lavorato in alcun modo. Il riferimento all'articolo 7 della Costituzione non sarebbe potuto mancare, considerando l'importanza che ha avuto anche nella sua genesi. Si tratta di un primo regime che ha avuto degli aggiornamenti nel 1984, come ricordava l'onorevole Paoletti Tangheroni.
Il regime delle intese non significa uguale trattamento: è un trattamento con un connotato che si richiama all'articolo 8 della Costituzione. Sto parlando di regime, ma possiamo chiamarlo come volete. Non ho alcuna difficoltà a eliminare l'ipotesi del registro; vi invito soltanto a riflettere maggiormente su questo istituto. Difatti, il registro - prima si parlava di riconoscimento della personalità giuridica - tende sostanzialmente a garantire una serie di istituti.
Mi sento di escludere in maniera assoluta che il 5 per mille e certi benefici, con riferimento alle donazioni, possano rappresentare una equiparazione al regime delle intese o al regime concordatario: si tratta di un gradino più basso. Certo, mi aspetto che il Ministro Padoa-Schioppa svolga delle osservazioni, prima ancora di quelle che ascolteremo nel corso di queste audizioni, oppure che vi provvedano le associazioni, dinanzi alla presenza di un concorrente nuovo all'interno del paniere che, tra l'altro, dal punto di vista normativo non è consolidato, ma è solo frutto di interventi nella finanziaria, anno per anno. Credo che sarebbe un segnale di grande trasparenza ammettere l'esistenza del regime concordatario, del regime delle intese e del regime del registro. Io sono disposto ad analizzare uno per uno i singoli istituti, non molto diversi da quelli previsti nell'ordinamento precedente, laddove si parlava di riconoscimento.
Il quarto regime è quello di diritto comune, delle associazioni, ossia soggetti collettivi o individuali, che non intendono stabilire un rapporto con lo Stato. Noi sappiamo che l'Islam oggi si trova nel primo regime, quello più generale, ma probabilmente nel quadro di uno Stato moderno, che sa quanto per l'Islam oggi sia difficile arrivare ad una situazione simile a quella derivante dalle intese, per le ragioni che abbiamo più volte illustrato. Evidentemente, si tratta di avere un regime intermedio, di maggiore chiarezza, in cui si conoscano le confessioni e i ministri del culto che a queste confessioni appartengono. Insomma, un regime molto chiaro, per quanto riguarda diritti e doveri.

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L'onorevole Boscetto, da ultimo, e prima anche l'onorevole Turco, hanno posto il problema delle sette. Vi sfido a verificare se in questa legge, rispetto ai testi precedenti, vi sia un permissivismo nuovo. Vi invito a guardare il riferimento, nei testi precedenti, all'articolo 18 della Costituzione, l'articolo sulle associazioni. In quei testi, appunto, si prendeva in considerazione il comma 1; io ho eliminato il riferimento al comma 1, ma l'ho esteso all'intero articolo 18, che prevede al secondo comma il divieto di associazioni segrete e i limiti che sappiamo. Ricordo che spesso queste sette hanno la caratteristica di essere parzialmente segrete.
È vero, nel registro si entra con una domanda, ma è previsto un penetrante controllo per quanto riguarda la procedura di iscrizione e i requisiti (articolo 18). Ricordo quando monsignor Betori riferì in questa sede sulla necessità di stabilire dei paletti. Ebbene, ho tenuto presente la sua frase nel momento in cui ho proceduto alla stesura del testo: tendo ad attribuirmi solo una parte del merito, o del demerito, di questa legge. Vi invito a leggere il comma 2 dell'articolo 18: non vi è solo un problema di conformità dello statuto, come si poteva pensare, ai princìpi dell'ordinamento dello Stato e ai diritti fondamentali. Le valutazioni dello stato del soggetto all'interno delle confessioni religiose sono interessate da un controllo molto penetrante, cui si riferisce l'articolo 6.
Gli articoli 17 e 18 non si accontentano del fatto che una confessione dichiari la propria esistenza e presenti il proprio statuto. È previsto un controllo su una serie di documentazioni, compresi gli aspetti patrimoniali, per la prima volta individuate.
Con riferimento al ministro di culto, per la prima volta compare un elenco di caratteristiche: non vi è un rapporto individuale di uno a uno, ma sostanzialmente una conoscenza, che diventa un patrimonio enorme in tutto l'apparato del Ministero dell'interno. Anche in questo caso è prescritto che sia tale in presenza di certe caratteristiche e nel caso in cui lo statuto della confessione, pur non registrata, non sia in contrasto con i princìpi dell'ordinamento italiano.
Ebbene, per quanto riguarda il problema delle sette, ritengo che in questo testo vi sia qualche elemento in più, in termini di controlli e di trasparenza, rispetto ai testi precedenti.
Per quanto riguarda il principio di laicità, avevo messo in fila almeno una decina di formule equivalenti, ma di questo discuteremo in seguito. Nel momento in cui la giurisprudenza della Corte costituzionale, su questa materia, riconosce a tale principio il carattere di «principio supremo» dell'ordinamento, quindi addirittura superiore alle norme scritte nella Costituzione - sarebbe del tutto naturale - non possiamo non tenerne conto. Del modo di inserimento nel corpo del testo discuteremo. Io sono ovviamente apertissimo ad ascoltare diverse possibilità: del resto, chi ha in tasca la verità su questi temi? Probabilmente è difficile accettare le due tesi, l'una secondo cui il principio della laicità è fondato sulla libertà religiosa e l'altra che sostiene il contrario. Dovremmo trovare una formula adeguata, trattandosi evidentemente di un principio consustanziale del nostro ordinamento costituzionale, che opera su diversi piani. Il riferimento alle leggi della Repubblica significa semplicemente che è una norma di principio che vale anche per le leggi regionali. Questa è l'unica portata normativa che potrebbe avere. Tuttavia, credo che dovremmo discutere non sul «se», ma sul modo di formulazione di tale principio.
Per quanto riguarda il matrimonio, vi è un altro punto della precedente audizione di monsignor Betori che mi ha molto colpito. Ricordo che c'erano due opzioni, in base alle quali gli articoli del codice civile potevano essere letti prima o durante il matrimonio. Se non ricordo male, proprio monsignor Betori aveva riferito che «durante» fosse la scelta più adeguata e rappresentasse un sacrificio da poter chiedere all'autonomia di questi soggetti. Io ho accolto quella indicazione.
So benissimo che in dottrina - sono un costituzionalista, non un professore di diritto

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ecclesiastico - c'è un dibattito molto raffinato in merito alla questione se si tratti di un matrimonio religioso con effetti civili, o di un matrimonio civile religiosamente assistito. Anche su questo punto ascolterò i contributi dei colleghi della Commissione. Non voglio sposare una tesi dottrinale, ma di fronte alle preoccupazioni manifestate, nel corso delle audizioni, circa la possibilità che il matrimonio, in questa formula, possa diventare una sorta di cavallo di Troia, portatore di princìpi non chiari, ho inteso stabilire dei paletti. Tuttavia, non sono assolutamente innamorato della tesi del matrimonio religioso con effetti civili. Usiamo, dunque, la formula che ci appare più convincente, fermo restando che era mia intenzione raccogliere, come ho fatto, alcune delle osservazioni sollevate.
Con riferimento alle discriminazioni, nel testo mi sono limitato a un richiamo. Nel frattempo sono intervenute normative, anche di tipo internazionale, che prevedono queste discriminazioni. È chiaro, però, che da un lato si parla delle discriminazioni in generale, che possono riguardare qualsiasi soggetto, dall'altro di discriminazioni all'interno del rapporto di lavoro. Viene, poi, richiamata la norma che eccettua le organizzazioni di tendenza. Da questo punto di vista, ho ascoltato commenti un po' frettolosi, circa il fatto che in questo modo si impedirebbe l'impiego dei professori di orientamento religioso nelle scuole cattoliche. Questo punto non appartiene certamente alla mia penna, né alla formulazione proposta.
Voglio chiarire che, se facciamo una legge nel 2008 e sono intervenute alcune norme di carattere generale che riguardano questa materia, almeno la loro menzione - che naturalmente non sarebbe indispensabile - fornirebbe alla legge un certo carattere.
Per quanto riguarda gli edifici del culto, in Commissione alcuni colleghi hanno parlato di diverso trattamento. Ho già chiarito i termini del problema: nonostante l'esistenza di forti presenze organizzate, in alcune comunità, i piani regolatori dovrebbero individuare, in questo caso, degli spazi idonei per edificare.
Personalmente ai garage utilizzati come luoghi di culto preferisco luoghi di culto alla luce del sole, che si vedano e si conoscano. In questo senso, se l'amministrazione comunale non ha previsto spazi idonei in relazione alle presenze organizzate in quel territorio, dobbiamo fare un discorso diverso. Lo strumento urbanistico - voi lo sapete meglio di me - può essere impugnato nel momento in cui è approvato ed entro un certo periodo. Tuttavia, se non viene impugnato, perché non ne è stata colta, in quel momento, la portata limitativa, il problema del limite - che diventa limite alla libertà religiosa - scatterebbe nel momento in cui si vuole aprire un edificio di culto.
Nel nostro ordinamento, come voi sapete, vi sono edificazioni cosiddette «in deroga» agli strumenti urbanistici. Quello dei parcheggi, ad esempio, è un caso abbastanza noto. Non stiamo parlando di abusivismo edilizio, ci mancherebbe altro! Sostanzialmente, se non si è più nei termini per impugnare lo strumento urbanistico, che non ha dato spazi congrui alla realizzazione di quella libertà, esiste una dialettica tra il soggetto che vuole realizzare l'edificio di culto e l'amministrazione che è stata troppo restrittiva.
Anche su questo punto, è bene trovare una formulazione più efficace - ci mancherebbe altro, io sono il primo ad esserne convinto - ma dobbiamo renderci conto che i problemi pratici della libertà, come affermava Arturo Carlo Jemolo, si sviluppano a lungo.
Quanto al regime, sono convinto che questa legge applichi l'eguale libertà, ma non l'eguale trattamento. Ho già detto che esistono quattro regimi e sono disposto a discutere di questo aspetto. Ho preso nota delle osservazioni più specifiche del professor Marano, con riferimento ad alcune formulazioni. È difficile, peraltro, non tener conto che se nell'ordinamento generale dello Stato certi istituti si sono determinati, sarà difficile - nel momento in cui si procederà, nel 2008, a definire una

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legge su questa materia - ometterli o derogarli: evidentemente sarebbe una irragionevolezza non giustificata, perché si approverebbe una norma di carattere generale derogando a un beneficio già contenuto nell'ordinamento. Vi ringrazio per l'attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio molto monsignor Betori e il professor Marano per il loro contributo, così come i colleghi.
Do la parola a monsignor Betori.

GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. Signor presidente, tutto quello che la legge prevede come libertà religiosa, al di fuori dello specifico riconoscimento nei riguardi di una confessione, credo che riguardi anche le sette, essendo anch'esse un fenomeno religioso. Da questo punto di vista, è anche una nostra preoccupazione che il primo capitolo non si allarghi troppo nella concessione di riconoscimenti. Proprio in questo tipo di manifestazioni di carattere religioso potrebbero trovare spazio comportamenti difficili da delimitare.

PRESIDENTE. Negli studi esiste un confine netto?

GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. Non ci risulta. Lo storico potrebbe sempre affermare che ciò che nasce come setta evolve come religione. Il problema specifico è quello di delimitare il concetto stesso di setta religiosa. Per quel che ne so, gli studi al riguardo sono molto diversificati.
Noi sappiamo, ad esempio, che Scientology da alcuni viene definita una setta, da altri una religione tout court.

PRESIDENTE. Solo in Germania è stata riconosciuta come setta, a differenza che in altri Paesi.

GIUSEPPE BETORI, Segretario generale della CEI. È riconosciuta come religione tout court.

PRESIDENTE. Grazie.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.10.