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La guerra che Sharon non avrebbe permesso

di Massimo Introvigne (il Giornale, 29 gennaio 2007)

Quel che sta succedendo in Palestina dimostra che lo scontro di civiltà è qualche cosa di diverso da quanto molti pensano. Certo, l'ultra-fondamentalismo islamico ha dichiarato guerra all'Occidente. Ma il punto di partenza del caos in Medio Oriente non è questo. È molto più antico. Comincia alla fine del Seicento, quando l'esercito ottomano - che aveva sempre vinto - inizia a perdere. Continua nell'Ottocento, quando il colonialismo riduce la maggioranza dei Paesi islamici a colonie europee. E le risposte alla domanda «Perché l'islam perde?» sono soltanto due. Secondo una prima risposta, modernizzatrice, l'islam perde perché è rimasto indietro rispetto all'Occidente, che lo ha superato nella tecnologia, nella cultura, nelle armi. Deve dunque modernizzarsi e diventare più simile all'Europa. La seconda risposta attribuisce le sconfitte a un castigo divino. Allah punisce i suoi fedeli perché sono diventati troppo, non troppo poco, simili agli europei.

Le due posizioni si sono scontrate in armi nel mondo islamico fin dal Settecento: pascià illuminati di Istanbul contro puritani del deserto arabo, scià dell'Iran educati dagli inglesi contro predicatori fondamentalisti sciiti, dittatori militari contro Fratelli Musulmani, Hamas contro Arafat e oggi contro Abu Mazen. Questa guerra civile islamica è diventata importante per l'Occidente da quando nel XX secolo l'energia - il petrolio - e la demografia - le madri islamiche che fanno tre volte il numero di figli di quelle occidentali - le hanno dato un rilievo mondiale.

Da mesi Israele non spara un colpo in Palestina. La guerra civile fra Hamas e Fatah è solo l'ennesimo capitolo della guerra infinita tra laicisti e fondamentalisti. In Irak muoiono molti meno americani che irakeni, e la guerra non è neppure soltanto fra sunniti e sciiti. È anche fra una visione laica e una rigorosamente religiosa dello Stato.

Con chi stare? L'errore principale di una parte dell'amministrazione Bush è stata dare credito al laicissimo Chalabi, che alle ultime elezioni ha preso lo 0,4%. Certamente Abu Mazen - nonostante un passato non proprio limpido quanto alla corruzione e alla propaganda internazionale dell'antisemitismo - è meno incline all'uso del terrorismo di Hamas.

Ma almeno metà dei palestinesi preferisce la religione di Hamas all'ostentata laicità di Abu Mazen. La lezione di Sharon - un uomo di cui ci sarebbe oggi molto bisogno - è che l'Occidente, per quanto possibile, non deve stare né con gli uni né con gli altri. Hamas vive di terrorismo, Abu Mazen è impopolare e troppo legato al corrotto passato di Arafat.

La difficile rotta di Sharon consisteva nel tenere contatti con tutti: aperti con i laici, sotterranei con i fondamentalisti, che cercava di spingere il più possibile verso l'Arabia Saudita, alleato difficile dell'Occidente ma unica alternativa all'Iran quando si tratta di finanziare e orientare l'islam politico. E la speranza di Sharon era quella che emergesse una terza via: vicina alla religione per accontentare il popolo delle moschee, ma nello stesso tempo lontana dal terrorismo - la via delle monarchie della Giordania e del Marocco, ma anche dell'attuale governo turco. In fondo, è lo stesso augurio che Benedetto XVI ha rivolto all'islam a Ratisbona e in Turchia. Non gli ha augurato di perdere la sua fede, ma di coniugarla con la ragione. Nel buio della Palestina oggi questa terza via non si vede. Ma la speranza, come dice un proverbio musulmano assai simile al nostro, morirà solo quando il sole smetterà di sorgere sul deserto.