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Qualcuno spieghi a Woodcock che essere massoni non è reato

di Massimo Introvigne (il Giornale, 10 giugno 2007)

L’attacco del solito giudice Woodcock contro alcune espressioni della massoneria italiana - che all’inizio sembrava limitato a singole logge tutto sommato periferiche e minori - si sta trasformando, a credere a certe ricostruzioni giornalistiche, in qualche cosa di diverso. Al magistrato si attribuiscono dichiarazioni secondo cui «costituire strutture associative di tipo massonico» sarebbe di per sé un reato.

Mi occupo di massoneria dal punto di vista storico e sociologico da circa vent’anni. Come cattolico, condivido la posizione espressa nel 1983 dalla Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dall’allora cardinale Joseph Ratzinger e con l’esplicita approvazione di Giovanni Paolo II, in una «Dichiarazione» in cui ribadiva che il metodo massonico è «inconciliabile con la dottrina della Chiesa», così che l’appartenenza di cattolici alla massoneria «rimane proibita». La Chiesa, infatti, basa la sua dottrina su dogmi e principi non negoziabili, mentre la massoneria non accetta principi dogmatici e insegna che tutto può e deve essere sottoposto alla discussione e alla mediazione. Tuttavia, altra è la critica dottrinale che la Chiesa formula nei confronti della massoneria all’interno, per così dire, di un libero mercato delle idee, e altra è l’eventuale pretesa dello Stato di vietare le «strutture associative di tipo massonico». Parliamoci chiaro: può avvenire che logge massoniche siano una semplice copertura per affari poco puliti. Questo può capitare tanto più facilmente in un paese come l’Italia dove il nome «massoneria» - a differenza di quanto avviene in Gran Bretagna o negli Stati Uniti dove è riservato dalla legge a specifiche organizzazioni - può essere ed è di fatto usato da decine di realtà diverse, alcune delle quali davvero di dubbia origine e natura. In questi casi i magistrati hanno certo il diritto e il dovere d’intervenire.

Ma, se sono esistiti massoni e logge massoniche che hanno commesso reati, essere massoni non è di per sé reato. Il modello di struttura associativa che caratterizza la massoneria - ma che si ritrova anche altrove - è stato definito dai sociologi come quello non di una società segreta ma di una società che (non importa se a torto o a ragione) si afferma detentrice di un segreto di natura iniziatica o filosofica. La sua portata da una parte è ampiamente simbolica - giacché questo cosiddetto segreto, date le dimensioni non piccolissime dell’organizzazione, è in realtà facilmente conoscibile anche dai non iniziati - dall’altra ispira una certa riservatezza. Mettere fuori legge questo modello associativo, ampiamente diffuso in tutto il mondo libero e utilizzato anche da associazioni le cui idee sono lontanissime dalla massoneria, significherebbe conferire allo Stato il diritto di sorvegliare le attività culturali e spirituali dei cittadini con un grado d’ingerenza tipico di uno Stato di polizia.

Non si deve poi neppure nascondere che, fin dai tempi della P2, abbiamo assistito troppo spesso a indagini bizzarre che distinguevano massoni «buoni» - cioè quelli impegnati politicamente a sinistra - e massoni «cattivi», che di sinistra invece non erano. Per evitare che la storia si ripeta, occorre ribadire con fermezza che si ha il diritto (se si è cattolici, anche il dovere) di criticare il metodo e le idee della massoneria sul piano della dottrina, resistendo però nello stesso tempo a uno statalismo che, quando attacca un’intera categoria di associazioni, mette in pericolo la libertà di tutti.