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Il documentario sui preti pedofili: tante bugie sul caso O'Grady

di Massimo Introvigne

oliver o'gradyChi ha visto su Internet o vedrà in televisione il documentario Sex Crimes and the Vatican tratto dal programma Panorama della BBC rimarrà senz’altro colpito dalla sinistra figura dell’ex prete Oliver O’Grady. Il documentario si apre o si chiude con l’ex sacerdote irlandese, che ha vissuto negli Stati Uniti dal 1971 al 2000, ripreso mentre descrive in termini piuttosto espliciti come adescava le sue vittime e quali tipi di ragazzini gli piacevano. Queste riprese sono un pugno nello stomaco: ma sono, a loro modo, anch’esse una bugia.

Non si tratta infatti di uno scoop della BBC ma di sequenze tratte dal film del 2006 Deliver Us from Evil (“Liberaci dal male”) della regista Amy Berg. Un film tecnicamente ben fatto, che ha ricevuto perfino una nomination per l’Oscar, ma dove il ruolo di O’Grady ha sollevato molte perplessità fra i sociologi e i criminologi che studiano i casi di pedofilia di cui sono stati protagonisti sacerdoti. Infatti la collaborazione di O’Grady con Amy Berg non è stata gratuita. È la conseguenza di un accordo con gli avvocati delle sue vittime che – dopo che O’Grady era stato condannato nel 1993 a quattordici anni di reclusione – hanno citato per danni in sede civile la diocesi americana di Stockton, ottenendo trenta milioni di dollari ridotti poi a sette in secondo grado. Gli avvocati che attaccano le diocesi per responsabilità oggettiva di solito lavorano secondo il principio della contingency, il che significa che una buona parte delle somme finisce nelle loro tasche, secondo accordi che per di più sono tenuti nascosti alla stampa. O’Grady si è prestato alle video-interviste degli avvocati – e di Amy Berg – e in cambio essi non si sono opposti al suo rilascio dal carcere dopo sette anni, accompagnato dall’espulsione dagli Stati Uniti verso la natia Irlanda, dove oggi il pedofilo è un uomo libero. Molti hanno criticato la Berg per avere collaborato con un individuo i cui crimini sono francamente ripugnanti, e le cui blande espressioni di pentimento non appaiono sincere. Ma per chi vede il documentario della BBC l’importante è capire che le dichiarazioni di O’Grady s’inquadrano in un accordo con avvocati che avevano bisogno soprattutto di sentirsi dire che il sacerdote pedofilo era stato protetto dalla Chiesa, cui speravano di spillare qualche milione di dollari.

Uno sguardo ai documenti del processo civile di secondo grado – dove i danni sono stati ridotti a meno di un terzo – mostra che O’Grady non la racconta del tutto giusta. Egli afferma – con evidente gioia degli avvocati – che il vescovo di Stockton (e oggi cardinale di Los Angeles) Roger Mahony sapeva che era un pedofilo e, nonostante questo, lo aveva mantenuto nel ministero sacerdotale. La causa racconta un’altra storia. Mahony diventa vescovo di Stockton nel 1980. Tra il 1980 e il 1984 deve occuparsi di tre casi di preti accusati di abusi sessuali su minori. Fa qualche cosa che stupirà i fan del documentario della BBC: non solo indaga, ma fa segnalare i sacerdoti alla polizia. In due casi la polizia conferma che, dietro al fumo, c’è del fuoco: e i sacerdoti sono sospesi a divinis, cioè esclusi dal ministero sacerdotale. Nel terzo caso, quello di O’Grady, la polizia nel 1984 archivia il caso e dichiara il sacerdote innocente. Mahony si limita a trasferirlo, dopo che due diversi psicologi che lo hanno esaminato per conto della diocesi hanno dichiarato che non costituisce un pericolo. Tutti sbagliano: non solo perché già nel 1976 O’Grady aveva “toccato in modo improprio una ragazzina” (tutto si era risolto con una lettera di scuse e, contrariamente a quanto dice l’ex prete, gli avvocati non hanno potuto provare che il vescovo lo sapesse) ma perché si trattava di un soggetto pericoloso, che finirà arrestato e condannato.

Una versione alternativa di questi fatti è stata proposta dal Los Angeles Times, un quotidiano di cui l’Arcidiocesi di Los Angeles ha ripetutamente denunciato il pregiudizio anticattolico, e cui ha risposto sul caso O’Grady con una dichiarazione ufficiale in cui afferma di “avere ormai perso il conto delle volte” in cui il Times ha diffuso su quel caso “notizie vecchie di dieci anni” e “affermazioni basate esclusivamente su persone che hanno legami (…) con gli avvocati delle parti attrici (nella causa civile)”. L’Arcidiocesi fa notare che si è battuta per pubblicare, anche a mezzo Internet, i documenti delle cause civili e in particolare i proffer, cioè i fascicoli che mostrano che cosa le diocesi cattoliche sapevano dei casi di pedofilia in genere e del caso O’Grady in particolare, e quali misure furono prese: ma un ordine della Corte d’Appello dello Stato della California del 22 settembre 2005 ha vietato questa pubblicazione per ragioni di privacy, ancorché non vieti alle diocesi di mettere le informazioni e i documenti a disposizioni di studiosi e altri che abbiano valide ragioni per conoscerle. La riservatezza qui non dipende da un desiderio della Chiesa di nascondere informazioni – al contrario, la Chiesa si è battuta in tribunale per renderle pubbliche – ma da un ordine del giudice. I fatti che emergono dai documenti che la Chiesa vorrebbe, ma non può, pubblicare e di cui hanno comunque tenuto conto i giudici di appello, smentiscono il Los Angeles Times su una serie di punti cruciali. Premesso che la Chiesa non è il KGB e non ha un sistema di fascicoli segreti sui suoi preti, il cardinale Mahony quando divenne vescovo di Stockton non fu informato dell’incidente del 1976 relativo a O’Grady. Certamente, con il senno di poi, si può dire che questo incidente fosse stato sottovalutato dal precedente vescovo: ma l’affermazione del Los Angeles Times secondo cui Mahony lo conosceva (mentre il cardinale afferma il contrario) non è sostanziata da nessun documento. Quanto all’episodio del 1984, anzitutto il Los Angeles Times – incautamente ripreso, senza tenere conto delle polemiche che lo hanno coinvolto, anche da alcuni fonte italiane – almeno, a differenza del documentario Sex Crimes and the Vatican, ammette che la Chiesa denunciò immediatamente O’Grady alla polizia. Non si tratta di una differenza di poco conto. Il Times afferma però che il detective che si occupò di O’Grady, Jerry Cranston, era convinto che il sacerdote fosse colpevole. Tuttavia quando Cranston si è presentato a testimoniare nella causa civile contro la Chiesa era ormai un ex poliziotto e la sua versione era opposta a quella della diocesi ma, vedi caso, cadeva a fagiolo per gli avvocati che cercavano di ottenere un risarcimento di milioni di dollari. Chi mentiva? Un fatto, piaccia o no al Los Angeles Times e a chi lo copia e incolla in Italia, resta indisputabile: il caso contro O’Grady fu archiviato dalla polizia. Un principio giuridico generale è che gli atti – nel caso, un’archiviazione – prevalgono sui ricordi più o meno spontanei di ex-poliziotti sulle opinioni che potevano avere espresso quattordici anni prima della loro testimonianza in tribunale. Il Times insiste pure sul fatto che O’Grady era stato dichiarato “immaturo” (ma non pericoloso, e anche qui la differenza è importante) da uno degli psichiatri che lo avevano esaminato: ma si dimentica di dire che questa informazione è stata resa pubblica dalla diocesi stessa, insieme ad altre. Ancora, il Times non spiega perché l’allora vescovo Mahony, di fronte a tre casi di sacerdoti accusati di abusi, ne sospese, come si è accennato, due – Antonio Camacho e Antonio Munoz – ma non il terzo, O’Grady. La spiegazione della diocesi è quella ovvia: solo nel caso O’Grady l’indagine di polizia era stata archiviata.

Un certo Giuseppe Regalzi è animatore di un blog che un’amica mi ha segnalato – evidentemente esagerando, ma ogni paradosso indica sia pur da lontano una verità – come un luogo dove si consiglierebbe l’eutanasia anche a chi ha preso il raffreddore. Aggiungo che Regalzi ha letto la frase precedente, e se l’è avuta a male. Tuttavia – nel definire l’accanimento terapeutico che non andrebbe praticato nei confronti dei malati – ha scritto che “l’accanimento terapeutico non è definibile oggettivamente, ma è condizionato dalla volontà (soggettiva) del paziente. Se mi infili una banale aspirina in gola, quello è accanimento terapeutico!”. Una frase che mi fa pensare che il paradosso della mia amica non fosse poi così assurdo. Sul tema che ci interessa, Regalzi si abbevera oltre che al Los Angeles Times (anche se afferma il contrario, sostenendo di usare come fonte solo una pubblicazione che aveva idee piuttosto simili a quelle del suo blog ma che ora ha chiuso i battenti, il New Times; in realtà però tutte le campagne contro l’Arcidiocesi di Los Angeles sul punto partono proprio dal Los Angeles Times anche se poi si diramano in varie direzioni, e del resto la pagina citata dal blog, che dunque in effetti cita tramite un link il Los Angeles Times, mostra bene come l’articolo del New Times del 18 aprile 2002 continua una campagna iniziata dal Los Angeles Times il precedente 7 aprile) anche a un’altra fonte piuttosto torbida: il sito americano bishopaccountability.org che, come ha almeno il buon gusto di dichiarare apertamente, ha “lo scopo di rendere più facile la chiamata in causa dei vescovi americani” accusati di favorire la pedofilia. Una vera miniera per gli studi legali che si arricchiscono con la loro fetta dei risarcimenti miliardari che chiedono alle diocesi. Uno sguardo a bishopaccountability.org rivela l’uso sistematico di una vera e propria arte che può ingannare solo chi non conosca la procedura legale americana: sono pubblicati atti parziali di processi, spesso tra l’altro non distinguendo chiaramente fra le deposition, che nelle cause civili americane non sono rese davanti al giudice ma solo davanti agli avvocati, e le vere e proprie testimonianze in tribunale, che hanno un peso ben diverso. Anche un giurista alle prime armi comprende facilmente che la pubblicazione selettiva degli atti (voluminosissimi) di cause complesse permette di far dire alle famose “carte”  di cui parlava anche Totò più o meno quello che si vuole. Tuttavia perfino qui ci sono dei limiti. Il buon Regalzi, tra un appello e l’altro per l’eutanasia, vorrebbe far credere ai suoi lettori che l’allora vescovo Mahony non sospese i sacerdoti Munoz (che nei documenti processuali e in quelli diocesani è indicato, in effetti, come Munoz e non come Muñoz) e Camacho ma si limitò a trasferirli fuori della diocesi. Ma nella stessa deposition tratta da bishopaccountability.org (con tutte le riserve sulla fonte) Mahony dichiara che, con riferimento a questi due sacerdoti, “esercitai le mie prerogative di vescovo per porre fine alle loro facoltà e al loro incarico (terminate their faculties and their assignment)”. Il riferimento alle faculties (e non solo all’assignment, che è l’incarico o mandato per uno specifico ministero nella diocesi) è evidentemente alle facoltà sacerdotali in genere. Né risulta che Camacho e Munoz abbiano cercato di esercitarle in Messico o altrove. Quando poi i documenti dicono esattamente il contrario di quanto sostiene Regalzi, allora evidentemente nei documenti ci devono essere degli “errori”. Così, a proposito del fatto che la polizia sia stata informata del caso Munoz, Regalzi parla dell’“errore di un avvocato”. Tuttavia, è l’avvocato che sta agendo contro la diocesi che pone la domanda se sia stata chiamata la polizia per Munoz, e il cardinale risponde con un monosillabo su cui non è facile equivocare: “Sì”. Quanto alla presunta contraddizione con un altro brano della deposition dove Mahony affermerebbe di avere informato la polizia prima del 1985 del solo caso Camacho (quindi, si sostiene, non del caso Munoz), le cose non stanno proprio così. La sequenza è: “Prima del 1985, ha denunciato un sacerdote alla polizia?” – “Sì” – “Chi?” – “Don Camacho”. Non si afferma esplicitamente che si sia trattato solo di Camacho (la retorica conoscendo l’elencazione esemplificativa e non solo quella tassativa), a prescindere dal fatto che il seguito della deposition dimostra che c’è una certa confusione fra denuncia sporta personalmente da Mahony alla polizia e denuncia sporta da altre persone della diocesi diverse da Mahony. Più importante di tutto questo è l’impressione che chi ci intrattiene dottamente su questi temi non abbia mai assistito a una deposition e la confonda con la testimonianza resa davanti al giudice di un processo italiano. Da noi il giudice “razionalizza” le parole del testimone in frasi coerenti, mentre una deposition (un atto giudiziale cui chi scrive assiste spesso negli Stati Uniti) è semplicemente registrata con mezzi elettronici (un tempo, magnetici) e sbobinata senza cambiare una sola parola. Chiunque tenga conferenze e si sia visto proporre la pubblicazione di una registrazione sbobinata avrà certamente fatto esperienza di quanto diversa sia la trascrizione del parlato da una sequenza di frasi scritte nate come tali… o ricostruite nelle cause italiane dalla mediazione di un giudice. In realtà nessuno “parla come un libro stampato”, e la trascrizione di uno scambio di battute (magari vivace e ostile come avviene tipicamente in una deposition) non ha mai la precisione della scrittura. Qualche volta, poi, Regalzi sega senza accorgersene il ramo stesso su cui è seduto. Per difendere il Los Angeles Times e il s sostiene che non potevano conoscere nei loro articoli del 2002 i casi Camacho e Munoz perché sono emersi nel processo in cui è stato coinvolto il cardinale Mahony solo nel 2004. Ora, la controversia sull’attendibilità di queste fonti giornalistiche nasce, come abbiamo visto, dal fatto che le loro inchieste sono presentate come frutto di indagini indipendenti, mentre l’Arcidiocesi di Los Angeles sostiene che fa semplicemente da megafono ai legali che cercano di spillare strabilianti risarcimenti alla Chiesa. Nel 2002 nel mondo delle carte bollate in cui si muovono questi avvocati i casi Camacho e Munoz non erano ancora entrati. Ma nel mondo reale esistevano fin dal 1984, e – dal momento che i vescovi che fanno sparire i preti di notte e di nascosto esistono solo nei romanzi gotici dell’Ottocento – dovevano avere lasciato qualche traccia, che un “giornalista investigativo” che si rispetti avrebbe dovuto essere capace di trovare. Conclusione: nel 2002 il Los Angeles Times e il New Times conducevano le loro inchieste esplorando il mondo delle carte bollate gentilmente fornite dagli avvocati e non andando a indagare nel mondo reale: che è precisamente quello che sostiene l’Arcidiocesi. Secondo esempio di autogol: si cita come scandaloso il fatto che “13 anni dopo aver lasciato la diocesi di Stockton” il cardinale Mahony non si ricordi più in una su testimonianza dei casi Camacho e Munoz (mentre se ne ricorderà in testimonianze successive, verosimilmente avendo fatto qualche ricerca nelle carte della sua vecchia diocesi). Ora, a parte il fatto che non si capisce bene perché il cardinale dovrebbe mentire su circostanze che avrebbero giocato a favore della Chiesa e non contro, è precisamente il contrario: non avendo passato tredici anni della sua vita a rimuginare sui casi Camacho e Munoz, è del tutto verosimile che dopo oltre un decennio Mahony non ricordi con precisione quei fatti. Se li avesse avuti, come si dice, sulla punta delle dita senz’altro il Times lo avrebbe accusato di ripetere una lezione ben preparata dagli avvocati dell’Arcidiocesi. Infine, non è ben chiaro che cosa si voglia dimostrare, dal momento che non si nega l’essenziale, e cioè che nel caso O’Grady la diocesi si rivolse alla polizia (né vale sostenere che chi materialmente informò la polizia era lo psichiatra incaricato dalla diocesi di esaminare O’Grady, perché dal punto di vista legale in quel momento il dominus dello psichiatra Guttieri era la diocesi, e ogni comunicazione dello psichiatra con la polizia era a tutti gli effetti una comunicazione della diocesi) e che il documentario Sex Crimes and the Vatican omette di riferire questo fatto essenziale, preferendo insistere sul comportamento imprudente della Chiesa (senza spiegare che questo coinvolgeva anche i terapisti consultati dal vescovo e la stessa polizia) durante e dopo i fatti del 1984.

Errori? Certo. Complotti? È un po’ difficile sostenerlo, dal momento che il vescovo e poi cardinale Mahony – uno dei “cattivi” del documentario – di fronte a tre preti accusati di abusi nella diocesi ne sospende due dal sacerdozio ma non il terzo, fidandosi in tutti e tre i casi delle indagini della polizia e del parere degli psicologi. Mahony avrebbe potuto fare di più? Certamente oggi, dopo anni di ricerca scientifica sul tema, la Chiesa spesso agisce in modo più radicale (e lo fa seguendo le direttive del cardinale Ratzinger prima e di Benedetto XVI poi) di quanto non facesse nel 1984. Ma prendere per oro colato le bugie di un delinquente non è mai buon giornalismo.

Vedi anche:

Appello contro un documentario sensazionalistico e falso

Quanti sono i preti "pedofili"?

Molto rumore per nulla. Il Papa, la pedofilia e il documentario "Sex Crimes and the Vatican", di Massimo Introvigne

Da quando la Bbc è screditata la Rai ha deciso di imitarla, di Massimo Introvigne (il Foglio, 31 maggio 2007)

Introvigne, Santoro e il Grande Fratello: "In onda (forse) una bufala dolosa, buona per fare la solita caciara" (il Foglio, 31 maggio 2007)