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In margine al caso Toaff: magistero pontificio e accusa del sangue contro gli ebrei, 1247-1759

di Massimo Introvigne [articolo apparso in versione abbreviata come “Chiesa, antisemitismo e accuse agli ebrei” in Famiglia Cristiana, anno LXXVII, n. 8, 25 febbraio 2007, p. 143]

Nell’interessante controversia sul volume dello storico Ariel Toaff, figlio del noto rabbino Elio Toaff, Pasque di sangue – che vorrebbe rovesciare gli ultimi cinquant’anni di storiografia e di sociologia storica che hanno considerato una fantasia anti-ebraica l’“accusa del sangue”, l’accusa cioè  rivolta agli ebrei dal Medioevo fino ai giorni nostri di sacrificare bambini cristiani per cibarsi ritualmente del loro sangue, e di cui vedi altrove su questo sito per un esame critico –  c’è un aspetto di cui curiosamente si parla assai poco, e di cui mi sono occupato in un libro del 2004 Cattolici, antisemitismo e sangue. Si tratta della reazione della Chiesa cattolica all’accusa del sangue.

 Dal 28 maggio 1247, data della prima bolla sul tema di Papa Innocenzo IV (1195-1254), ci sono numerosi documenti in cui i Papi dichiarano di avere fatto svolgere indagini sulla questione e di avere concluso che si tratta di accuse “falsissime”. A torto nella polemica sul libro di Toaff si usano i termini “inquisitori” e “Inquisizione”, perché a rigore l’Inquisizione – romana e spagnola – si è occupata di tre casi di accusa del sangue, in due dei quali ha condannato gli accusatori e non gli ebrei accusati, mentre tutti gli altri episodi (compreso quello di Trento del 1475, che è al centro della controversia Toaff) sono stati giudicati da tribunali civili e non ecclesiastici. Roma, da parte sua, si è costantemente espressa nel periodo di cui si occupa Toaff in difesa degli ebrei accusati. Innocenzo IV emana dapprima le due bolle del 28 maggio e 5 luglio 1247 (in quest’ultima afferma che gli ebrei sono “falsamente accusati di comunicarsi a Pasqua con il cuore di un fanciullo assassinato”), e un breve del 18 agosto 1247. Quindi nella bolla del 25 settembre 1253 solennemente interviene per “vietare che si accusino alcuni di loro [ebrei] di utilizzare sangue umano nei loro riti, giacché anche nel Vecchio Testamento si vieta loro di fare uso di qualunque tipo di sangue, per non parlare del sangue umano”.

Il Papa Beato Gregorio X (1210-1276) il 7 ottobre 1272 tuona contro coloro che “asseriscono in modo falsissimo [falsissime] che gli ebrei rapiscono in segreto i bambini e fanno sacrificio del loro cuore e del loro sangue, perché la loro legge vieta precisamente ed espressamente che gli stessi ebrei […] bevano il sangue, neppure degli animali […]. Ordiniamo che gli ebrei incarcerati per questa accusa frivola siano liberati dal carcere, né in futuro siano incarcerati sulla base della stessa stupida accusa”. Quando l’accusa del sangue riemerge, papa Martino V (1368-1431) con bolla del 20 febbraio 1422 condanna quanti “con falsi pretesti e argomentazioni (fictis occasionibus et coloribus) […] pretendono che gli ebrei mescolino sangue [cristiano] alle loro azzime”.

Con bolla del 2 novembre 1447, allarmato da voci che circolavano in Spagna, il papa Nicola V (1397-1455) nota che “allo scopo di rendere gli ebrei più rapidamente odiosi ai cristiani, alcune persone hanno osato e quotidianamente osano affermare falsamente, e ne persuadono i cristiani, che gli ebrei non possono celebrare e di fatto non celebrano certe loro feste senza usare il fegato o il cuore di un cristiano” e dichiarato di “proibire nel modo più rigoroso con permanente e immutabile ordinanza” di molestare gli ebrei sulla base di queste false accuse.

Nel caso di Trento del 1475 – a proposito del quale, appunto, Toaff sostiene che le confessioni estorte dai giudici agli imputati ebrei sotto tortura potrebbero nondimeno essere vere – la Santa Sede affida un’inchiesta al vescovo di Ventimiglia Battista de’ Giudici (1428-1484), un dotto domenicano che non può essere sospettato di parzialità perché ha spesso predicato contro gli ebrei, e che conclude che gli imputati di Trento sono “innocentissimi” e le accuse contro di loro “grottesche”.

È vero che a proposito del piccolo Simone di Trento e di altre presunte vittime dell’omicidio rituale i Papi hanno concesso l’approvazione del culto, e talora curiosamente si tratta di Papi che hanno a loro volta pubblicato documenti contro l’accusa del sangue. Ma, come spiega la Sacra Congregazione dei Riti in un decreto del 4 maggio 1965 – l’ultimo atto del magistero su una questione che si credeva chiusa da anni –, l’approvazione del culto non va confusa con i moderni processi di beatificazione e di canonizzazione, e non deriva da “un esame approfondito sulla vita e le virtù, o martirio” così che in realtà con l’approvazione dei culti la Santa Sede non ha mai inteso pronunciarsi “sul presunto martirio”.

Mentre sul caso di Trento infuriano ancora polemiche, il papa Paolo III (1468-1549) firma il 12 maggio 1540 l’ennesima bolla pontificia contro l’accusa del sangue, denunciando coloro che “accecati dall’avarizia e volendo impadronirsi con qualunque pretesto dei beni degli ebrei, li accusano falsamente di uccidere bambini per bere il loro sangue e di altri vari e diversi enormi crimini”.

Nel 1706, a fronte di una recrudescenza dell’accusa del sangue (che era diventata rara nell’Europa Occidentale proprio grazie agli interventi pontifici) in Polonia, il Sant’Uffizio (attuale Congregazione per la Dottrina della Fede) autorizza esplicitamente il rabbino capo di Roma, Tranquillo Vita Corcos (1660-1730), a pubblicare uno studio critico sul tema, e lo invia ai vescovi polacchi.

Il documento forse storicamente più importante – che tra l’altro Toaff cita a sproposito, sbagliando anche sulla sua data – è quello del Sant’Uffizio del 24 dicembre 1759, redatto dal cardinale Lorenzo Ganganelli, poi Papa Clemente XIV (1705-1774), e pubblicato per la prima volta in Italia in appendice al mio libro del 2004. Si tratta di un lungo documento, dove il Sant’Uffizio elenca minuziosamente le ragioni per cui all’accusa del sangue non si può prestare fede. Anche nei casi dei culti riconosciuti, il cardinale Ganganelli afferma certo che si deve prestare ossequio agli atti pontifici di riconoscimento, ma che questi sono venuti dopo molti dubbi e non inficiano le conclusioni costanti del magistero. Il Papa Clemente XIII (1693-1769) – cui succederà lo stesso Ganganelli – fa sue le raccomandazioni contenute nel rapporto del Sant’Uffizio, e in una bolla del 9 febbraio 1760 indirizzata al nunzio apostolico a Varsavia scrive che l’uso di sangue cristiano da parte degli ebrei per le azzime di Pasqua altro non è che una “mal fondata persuasione del volgo”; la posizione sarà riconfermata in un’altra bolla, del 21 marzo 1763.

I diversi atteggiamenti sul tema del mondo cattolico dopo la Rivoluzione francese, e in particolare nel XIX secolo, sono un tema diverso, interessante, controverso e ampiamente discusso nel mio testo, che non è però il caso di trattare qui perché il libro di Toaff  si arresta al XVI secolo.

Comunque sia, negli episodi studiati da Toaff non sono stati “la Chiesa” o “l’Inquisizione” a scagliarsi contro gli ebrei. Anzi, gli ebrei accusati hanno trovato nei Papi per secoli i loro più coraggiosi difensori.