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Il New Age? È nato a Vienna

di Massimo Introvigne (Avvenire, 9 settembre 2011)

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Propriamente il New Age in senso stretto è nato in Scozia, con la fondazione della comunità di Findhorn, nel 1962. Ma se – seguendo storici delle religioni come Wouter Hanegraaff – c’interessiamo alle sue origini remote e le rintracciamo nella diffusione socialmente rilevante dei temi esoterici, per secoli ristretti a cerchie piccole e chiuse, le cose stanno diversamente. Molti cercano queste radici più lontane del New Age nel mondo di lingua inglese, nell’Inghilterra della società segreta Golden Dawn o negli Stati Uniti della rinascita, all’inizio del Novecento, di movimenti intitolati ai Rosacroce. Altri pensano alla Francia. Due mostre in corso a Vienna ci invitano a non trascurare l’ipotesi – che pure non può essere adottata in via esclusiva – di un’origine negli ultimi anni dell’Impero Austro-Ungarico in Austria.

Se il New Age ha la sua radice nella ricerca di «alternative» – ispirate all’occultismo, al paganesimo antico o alle religioni orientali, ma anche a una lettura esoterica del cristianesimo o della scienza – alla mentalità religiosa e culturale dominante, la Vienna della fine del secolo XIX emerge come un vero laboratorio percorso da decine di ricerche ed esperimenti di questo genere. Lo storico svizzero Jean-François Mayer ha sottolineato l’importanza per il successivo New Age della corrente di lingua tedesca della Lebensreform, che attraverso la vita comunitaria, le diete vegetariane, il ritorno alla campagna – qualche volta anche il nudismo e il libero amore – nella sostanza sostituisce al cristianesimo un culto della natura e della Terra. Una mostra in corso fino al 26 ottobre alla Hermesvilla di Vienna organizzata dal Wien Museum, ci introduce a questo mondo attraverso il suo esponente più scandaloso, il «profeta» Karl Wilhelm Diefenbach (1851-1913), di cui sono esposte trenta opere per la maggior parte appartenenti a collezioni private e il famoso fregio lungo 68 metri Per aspera ad astra.

Diefenbach nasce in Germania, ad Hadamar in Assia, in una famiglia cattolica. Già convinto dalle teorie vegetariane, nel 1882 lascia la moglie durante la prima notte di nozze e dichiara di rinunciare alla Chiesa Cattolica, che è «l’istituto di Satana», al matrimonio – che dovrà essere sostituito dal libero amore –, alla carne e anche ai vestiti, perché comincia a girare per le campagne bavaresi nudo mentre quando è a Monaco è coperto da una rozza tunica. Espulso dalla Germania dove il nudismo è fuorilegge si rifugia a Vienna, e la sua fama scandalosa attira curiosi alle mostre dei suoi quadri: una raduna ben 78.000 visitatori. Nel 1897 fonda presso Vienna la comune naturista Himmelhof, che precorre le comunità hippie e New Age del secolo successivo. L’esperimento fallisce e Diefenbach si rifugia a Capri, dove trascorre gli ultimi anni povero e dimenticato. Ma tra i suoi allievi ci sono artisti di rilievo come Frantisek Kupka (1871-1957) e Hugo Höppener, «Fidus»(1868-1948), la cui adesione al nazismo – che peraltro finisce per vietarne l’attività artistica, ritenuta «degenerata» – non deve far dimenticare il suo ruolo di anello di collegamento fra l’arte europea ispirata dalle teorie esoteriche della Società Teosofica e gli artisti psichedelici californiani degli anni 1960, che lo riscopriranno con entusiasmo.

Nella Società Teosofica muove i primi passi l’altro personaggio cui Vienna dedica ora una ricca mostra in corso al museo MAK fino al 25 settembre, Rudolf Steiner (1861-1925), di cui l’esposizione Alchimia del quotidiano intende celebrare il 150° anniversario della nascita. Quello di Steiner, che fonda la Società Antroposofica, è nella sostanza uno «scisma d’Occidente» della Società Teosofica: mentre quest’ultima privilegia il buddhismo e l’induismo, Steiner riconduce l’esoterismo teosofico nell’ambito del cristianesimo, di cui dà peraltro un’interpretazione che le Chiese – cattolica e protestanti – non possono non giudicare eterodossa. La mostra viennese è stata realizzata con la collaborazione della Società Antroposofica, e qualcuno potrebbe obiettare che lo spazio alle critiche ricevute da Steiner si riduce a una sola vetrina. L’interesse dell’esposizione sta però nel mostrare un’influenza di Steiner che va molto al di là degli ambienti antroposofici, sia nell’educazione – con le scuole Waldorf – sia nell’arte, dalla danza all’architettura e alla pittura. La mostra presenta opere poco note dello stesso Steiner, e documenta la sua influenza sull’arte moderna, esplicitamente riconosciuta da figure che vanno da Wassily Kandinski (1866-1944) a Joseph Beuys (1921-1986).

Limitare al New Age – un’etichetta non simpatica ai suoi seguaci – l’influenza di Steiner sarebbe riduttivo. In modo diverso, la Lebensreform di cui fu protagonista Diefenbach e l’opera di Steiner mostrano un profondo disagio nei confronti della civiltà moderna e dell’eredità cristiana, che dalla Vienna fin de siècle esplode in mille rivoli e correnti nel secolo XX. Da questo punto di vista le due mostre sono parallele, e sono nello stesso tempo importanti e inquietanti.