CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne

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Il «sentiero» dei cristiani di Sicilia

di S.E. Mons. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina (La Sicilia, 17 marzo 2011, p. 7)

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C’è un futuro per il cristianesimo in Sicilia? Qual è l’avvenire del cattolicesimo? Le nostre chiese finiranno come quelle fiorenti dell’antica Turchia e dell’Africa del Nord e oggi ridotte a ruderi? In un recente volume, L’identità in pericolo. Le credenze religiose nella Sicilia Centrale, vengono pubblicati i risultati di un’indagine curata, per conto del Centro Studi sulle Nuove Religioni, da Massimo Introvigne e PierLuigi Zoccatelli nella Diocesi di Piazza Armerina.

Dalla ricerca risulta che l’identità cristiana è ancora forte e radicata come componente importante della cultura siciliana, se la si paragona ad altre regioni italiane ed europee nelle quali il processo di secolarizzazione ha intaccato molto l’identità cristiana. Gli intervistati che si professano cattolici sono l’89,5%, i cristiani non cattolici sono il 5,3%, gli appartenenti ad altre religioni il 2,6%, quelli che non si riconoscono in nessuna religione il 2,6%. Per quanto riguarda le credenze c’è un’ampia oscillazione, testimone di influssi educativi eterogenei rispetto al monolitico sistema del passato o frutto di una crescente soggettivizzazione della fede, entrata per molti fra i beni di consumo, il “fai-da-te” delle credenze religiose. Mentre il 90,7% crede alla resurrezione di Cristo, la credenza meno condivisa (73,2%) è quella secondo cui “La Chiesa cattolica è un’organizzazione voluta e assistita da Dio”.

Si constata un’erosione dell’identità cattolica, soprattutto nelle generazioni più giovani: la fiducia nella Chiesa cattolica diminuisce fra i giovani dei quali il 21,8% dichiara di non avere nessuna fiducia. Desta meraviglia il fatto che crede negli oroscopi il 9,7% tra i giovani, certamente influenzati da certe trasmissioni televisive. Degna di rilievo è la documentata credenza negli Ufo che tra giovani raggiunge la percentuale del 37,4%, collocandosi a livelli record in Europa. Si conferma il noto paradosso di Gilbert K. Chesterton: “Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto”. Da questa e da altre indagini emerge come nel popolo siciliano, anche se sono presenti tendenze secolariste, la religione continua a essere una agenzia primaria di produzione di senso della vita, di riferimento valoriale e di appartenenza comunitaria, che si esprime nelle varie forme della pietà popolare, nella quale però tende a prevalere il sentimento su una adesione di fede convinta e coerente. Alcuni non vedono nessuna contraddizione fra il partecipare alla festa patronale e l’appartenenza ad una cosca mafiosa. A questo proposito si parla di “forza della religione e debolezza della fede”. Si assiste all’evolversi di una tendenza allo sfaldamento dell’unità delle credenze, che porta una perdita della specificità cattolica.

Guardando al futuro ci sono due ipotesi contrapposte. Per la prima “catastrofista” dei cosiddetti “profeti di sventura” la religione cattolica è destinata a svanire in futuro, dal momento che le giovani generazioni sono più lontane dalla Chiesa delle precedenti e la Chiesa cattolica oggi maggioritaria si ridurrà ad una minoranza. La seconda “possibilista-ottimista”, invece, ritiene che non vi è nessuna certezza sul fatto che le opinioni che un giovane intervistato esprime oggi rimarranno le stesse fra trent’anni. Alcune ricerche condotte in vari paesi dimostrano che parecchi, che erano stati poco o per nulla cattolici da giovani, lo diventano da adulti. Alcuni nuovi movimenti ecclesiali diventano punto di riferimento per dei giovani che, dopo momenti di crisi, hanno fatto esperienza di un cristianesimo simpatico come ipotesi positiva al problema del senso della loro vita nei fattori umani fondamentali. Nella mia diocesi – soprattutto a Gela – esistono più di una sessantina di comunità neocatecumenali con circa 2.500 membri fra cui parecchi giovani, ma anche il maggior numero di pentecostali rispetto ai cattolici di qualunque città europea. Sempre a Gela, secondo una recente inchiesta, il 15,5% dei giovani dichiarano di frequentare un gruppo religioso contro l’1% che appartiene a un gruppo politico. La disinvoltura con cui le nuove generazioni disertano la messa domenicale perché sfiniti dalla febbre delle veglie prolungate del sabato sera, solleva più di una domanda circa l’effettiva interiorizzazione dell’annuncio di fede.

Non è possibile sfuggire alla constatazione che “l’identità cattolica è in pericolo”, sebbene il fenomeno erosivo venga in parte mitigato da un profondo radicamento identitario cattolico proprio della cultura siciliana. Armando Matteo in un suo recente libro (“La prima generazione incredula”) interroga l’inedito che il modo di vivere e di credere/non credere dei giovani manifesta e individua al fondo del loro cuore la ferita di un grido di speranza, da cui bisogna ripartire per il futuro della società e della Chiesa. Realisticamente bisogna convenire che la maggioritaria adesione al credo cristiano non può assolutamente gratificarci o esaltarci. Semmai denuncia un problema: spesso alla pur sincera adesione alle verità di fede manca di fatto l’esperienza della bellezza dell’essere cristiano.

L’invito dei vescovi italiani a ripartire dall’educazione è sintomatico di una nuova coscienza ecclesiale della difficoltà che incontra la fede a dirsi e a incarnarsi, ma anche della missione primaria che oggi viene consegnata a tutti i cristiani. Oggi a una lettura della nostra società in una prospettiva post-cristiana che condurrebbe verso un gelido inverno, bisognerebbe affiancare anche una prospettiva pre-cristiana che preluderebbe ad una nuova primavera aperta ad una evangelizzazione, che presuppone che l’incontro con Cristo risponde alle attese più autentiche di ogni uomo e di ogni donna. Ora, al di là di illusioni consolatorie, è tempo di riscoprire una ardente passione per educare alla “vita buona del Vangelo”, uscendo dalla latitanza educativa e proponendoci come persone degne di fiducia, perché testimoni credibili del cammino cristiano che abbiamo sperimentato, aperto ad un futuro di speranza.