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Il Papa all'Università Cattolica: con la tecnocrazia si rischiano conseguenze imprevedibili

di Massimo Introvigne

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Il 3 maggio 2012 Benedetto XVI si è recato in visita alla sede romana dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, in occasione del cinquantesimo anniversario dell'istituzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Con l'occasione, il Papa ha offerto una nuova riflessione sulla tecnocrazia, un tema che da tempo lo preoccupa e che occupa un ruolo di rilievo nell'enciclica Caritas in veritate.

«Il nostro – ha detto il Papa – è un tempo in cui le scienze sperimentali hanno trasformato la visione del mondo e la stessa auto-comprensione dell'uomo. Le molteplici scoperte, le tecnologie innovative che si susseguono a ritmo incalzante, sono ragione di motivato orgoglio, ma spesso non sono prive di inquietanti risvolti. Sullo sfondo, infatti, del diffuso ottimismo del sapere scientifico si protende l'ombra di una crisi del pensiero». All'origine, c'è sempre il relativismo. «Ricco di mezzi, ma non altrettanto di fini, l'uomo del nostro tempo vive spesso condizionato da riduzionismo e relativismo, che conducono a smarrire il significato delle cose; quasi abbagliato dall'efficacia tecnica, dimentica l'orizzonte fondamentale della domanda di senso, relegando così all'irrilevanza la dimensione trascendente».

Il cosiddetto pensiero debole segna il passaggio dal relativismo al rischio della tecnocrazia, perché dove si nega la rilevanza del riferimento a valori oggettivi e universali si apre la strada al dominio della mera tecnica, di un potere per il potere che non trova più il limite di norme e valori che s'impongono a tutti. «Su questo sfondo – ha detto il Papa – il pensiero diventa debole e acquista terreno anche un impoverimento etico, che annebbia i riferimenti normativi di valore». E non sorprende che si neghino anche le radici cristiane dell'Europa. «Quella che è stata la feconda radice europea di cultura e di progresso sembra dimenticata. In essa, la ricerca dell'assoluto - il quaerere Deum - comprendeva l'esigenza di approfondire le scienze profane, l'intero mondo del sapere (cfr Discorso al Collège des Bernardins di Parigi, 12 settembre 2008). La ricerca scientifica e la domanda di senso, infatti, pur nella specifica fisionomia epistemologica e metodologica, zampillano da un'unica sorgente, quel Logos che presiede all'opera della creazione e guida l'intelligenza della storia». Ma oggi non lo si ammette più. «Una mentalità fondamentalmente tecnopratica genera un rischioso squilibrio tra ciò che è possibile tecnicamente e ciò che è moralmente buono, con imprevedibili conseguenze».

Che fare? Il dominio della tecnocrazia è irreversibile? Non lo è, risponde il Pontefice, a patto «che la cultura riscopra il vigore del significato e il dinamismo della trascendenza, in una parola, apra con decisione l'orizzonte del quaerere Deum. Viene in mente la celebre frase agostiniana «Ci hai creati per te [Signore], e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Le Confessioni, I, 1)».

Ma attenzione: questo non presuppone affatto una rinuncia alla scienza e ai suoi progressi utili all'uomo. Infatti, «si può dire che lo stesso impulso alla ricerca scientifica scaturisce dalla nostalgia di Dio che abita il cuore umano: in fondo, l'uomo di scienza tende, anche inconsciamente, a raggiungere quella verità che può dare senso alla vita». E tuttavia la scienza deve aprirsi alla fede. Se si considera autosufficiente, una scienza per la scienza come c'è un'arte per l'arte, di nuovo prepara la strada alla tecnocrazia. Perché «per quanto sia appassionata e tenace la ricerca umana, essa non è capace con le proprie forze di approdo sicuro, perché "l'uomo non è in grado di chiarire completamente la strana penombra che grava sulla questione delle realtà eterne... Dio deve prendere l'iniziativa di venire incontro e di rivolgerSi all'uomo" (J. Ratzinger, L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Roma 2005, 124). Per restituire alla ragione la sua nativa, integrale dimensione bisogna allora riscoprire il luogo sorgivo che la ricerca scientifica condivide con la ricerca di fede, fides quaerens intellectum, secondo l'intuizione anselmiana. Scienza e fede hanno una reciprocità feconda, quasi una complementare esigenza dell'intelligenza del reale».

La chiusura pregiudiziale della scienza alla fede non fa tanto male alla fede quanto alla scienza stessa: «paradossalmente, proprio la cultura positivista, escludendo la domanda su Dio dal dibattito scientifico, determina il declino del pensiero e l'indebolimento della capacità di intelligenza del reale». Al contrario, chi si apre alla fede può contare se n Dio che gli viene incontro: «il quaerere Deum dell'uomo si perderebbe in un groviglio di strade se non gli venisse incontro una via di illuminazione e di sicuro orientamento, che è quella di Dio stesso che si fa vicino all'uomo con immenso amore: "In Gesù Cristo Dio non solo parla all'uomo, ma lo cerca.... E' una ricerca che nasce nell'intimo di Dio e ha il suo punto culminante nell'incarnazione del Verbo" ([beato] Giovanni Paolo II [1920-2005], Tertio Millennio Adveniente, 7)».

Il Papa ha rivendicato – ed è un tema costante nel suo Magistero – la difesa della ragione che segna la storia del cristianesimo. «Religione del Logos, il Cristianesimo non relega la fede nell'ambito dell'irrazionale, ma attribuisce l'origine e il senso della realtà alla Ragione creatrice, che nel Dio crocifisso si è manifestata come amore e che invita a percorrere la strada del quaerere Deum: "Io sono la via, la verità, la vita"». Il Pontefice cita san Tommaso d'Aquino (1225-1274): «Il punto di arrivo di questa via infatti è il fine del desiderio umano. Ora l'uomo desidera due cose principalmente: in primo luogo quella conoscenza della verità che è propria della sua natura. In secondo luogo la permanenza nell'essere, proprietà questa comune a tutte le cose. In Cristo si trova l'una e l'altra... Se dunque cerchi per dove passare, accogli Cristo perché egli è la via» (Esposizioni su Giovanni, cap. 14, lectio 2). E, «davanti alla tentazione dell'autonomia assoluta», il beato Giovanni Paolo II ricorda che «la vita dell'uomo proviene da Dio, è suo dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo soffio vitale» (Evangelium vitae, 39).

Una lezione che non a caso il Papa riprende in una Facoltà di Medicina: è «proprio percorrendo il sentiero della fede che l'uomo è messo in grado di scorgere nelle stesse realtà di sofferenza e di morte, che attraversano la sua esistenza, una possibilità autentica di bene e di vita. Nella Croce di Cristo riconosce l'Albero della vita, rivelazione dell'amore appassionato di Dio per l'uomo. La cura di coloro che soffrono è allora incontro quotidiano con il volto di Cristo, e la dedizione dell'intelligenza e del cuore si fa segno della misericordia di Dio e della sua vittoria sulla morte».

Quanto alla ricerca scientifica e medica, «vissuta nella sua integralità, la ricerca è illuminata da scienza e fede, e da queste due "ali" trae impulso e slancio, senza mai perdere la giusta umiltà, il senso del proprio limite. In tal modo la ricerca di Dio diventa feconda per l'intelligenza, fermento di cultura, promotrice di vero umanesimo, ricerca che non si arresta alla superficie».

L'Università Cattolica è definita «luogo in cui la relazione educativa è posta a servizio della persona nella costruzione di una qualificata competenza scientifica, radicata in un patrimonio di saperi che il volgere delle generazioni ha distillato in sapienza di vita; luogo in cui la relazione di cura non è mestiere, ma missione; dove la carità del Buon Samaritano è la prima cattedra e il volto dell'uomo sofferente il Volto stesso di Cristo»; «dove l'identità cristiana penetra il vissuto quotidiano e si esprime dall'interno di una professionalità eccellente».

Forse con riferimento implicito a polemiche che hanno toccato altre istituzioni, Benedetto XVI ricorda che «l'Università Cattolica, che ha con la sede di Pietro un particolare rapporto, è chiamata oggi ad essere istituzione esemplare che non restringe l'apprendimento alla funzionalità di un esito economico, ma allarga il respiro su progettualità in cui il dono dell'intelligenza investiga e sviluppa i doni del mondo creato, superando una visione solo produttivistica e utilitaristica dell'esistenza, perché "l'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza" (Caritas in veritate, 34)». Una vera Università Cattolica sa che «la prospettiva della fede è interiore – non sovrapposta, né giustapposta – alla ricerca acuta e tenace del sapere». E «una Facoltà cattolica di Medicina è luogo dove l'umanesimo trascendente non è slogan retorico, ma regola vissuta della dedizione quotidiana».

Alla fine, «è proprio l'amore di Dio, che risplende in Cristo, a rendere acuto e penetrante lo sguardo della ricerca e a cogliere ciò che nessuna indagine è in grado di cogliere. L'aveva ben presente il beato Giuseppe Toniolo [1845-1918], che affermava come è della natura dell'uomo leggere negli altri l'immagine di Dio amore e nel creato la sua impronta. Senza amore, anche la scienza perde la sua nobiltà. Solo l'amore garantisce l'umanità della ricerca».