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L’udienza del 10 ottobre. Il Concilio fu un evento di luce, ma il suo vero messaggio è stato spesso nascosto

di Massimo Introvigne

imgL’udienza generale del 10 ottobre 2012 è caduta proprio alla vigilia del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, giorno che segnerà anche l’inizio dell’Anno della fede. Benedetto XVI ne ha tratto occasione per iniziare un ciclo di catechesi inteso a rievocare il Concilio, di cui fu «testimone diretto», a sottolinearne «la straordinaria ricchezza, a riscoprirne particolari passaggi, frammenti, tasselli». Il punto di partenza è sempre il n. 57 della lettera apostolica Novo millennio ineunte (2001) del beato Giovanni Paolo II (1920-2005), che già in altre occasioni il Papa ha richiamato a chi pensasse di poter prescindere dal Concilio: «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre». Papa Wojtyla, precisa Benedetto XVI, parlava dei documenti del Concilio: e a quei documenti «bisogna ritornare, liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso invece di farli conoscere li hanno nascosti». I documenti, infatti, «sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta».

«Io ricordo bene quel periodo», afferma il Pontefice, e non si tratta di una mera rievocazione storica. A fronte di ricostruzioni ipercritiche o tendenziose, il Papa vuole riaffermare la sua interpretazione positiva non solo dei documenti ma anche del clima conciliare: «dopo tutto il fervore e l’entusiasmo della preparazione, ho potuto vedere una Chiesa viva – quasi tremila Padri conciliari da tutte le parti del mondo riuniti sotto la guida del Successore dell’Apostolo Pietro – che si mette alla scuola dello Spirito Santo, il vero motore del Concilio. Rare volte nella storia si è potuto, come allora, quasi “toccare” concretamente l’universalità della Chiesa in un momento della grande realizzazione della sua missione di portare il Vangelo in ogni tempo e fino ai confini della terra». Mentre vi è chi considera il Concilio come evento storico una disgrazia, il Pontefice invita tutti a rivederne le fotografie e i filmati, certo che così «potrete percepire anche voi la gioia, la speranza e l’incoraggiamento che ha dato a tutti noi il prendere parte a questo evento di luce, che si irradia fino ad oggi».

Molti concili prima del Vaticano II sono stati convocati «per definire elementi fondamentali della fede, soprattutto correggendo errori che la mettevano in pericolo», dal Concilio di Nicea al Vaticano I. Invece, «se guardiamo al Concilio Ecumenico Vaticano II, vediamo che in quel momento del cammino della Chiesa non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né vi erano specifiche questioni di dottrina o di disciplina da chiarire». Dunque, dopo la sorpresa per l’annuncio del Concilio da parte del beato Giovanni XXIII (1881-1963), «la prima questione che si pose nella preparazione di questo grande evento fu proprio come cominciarlo, quale compito preciso attribuirgli». Lo stesso beato Giovanni XXIII, nel discorso di apertura dell’11 ottobre 1962, offrì «un’indicazione generale: la fede doveva parlare in un modo “rinnovato”, più incisivo – perché il mondo stava rapidamente cambiando – mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi».

Sbaglia, afferma Benedetto XVI, chi pensa che il rapporto fra Chiesa e mondo moderno auspicato dal beato Giovanni XXIII dovesse consistere in un cedimento della Chiesa alla modernità. Certo, Papa Roncalli voleva che, partendo da una «seria, approfondita riflessione sulla fede», fosse «delineato in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e l’età moderna, tra il Cristianesimo e certi elementi essenziali del pensiero moderno»: ma questo «non per conformarsi ad esso, ma per presentare a questo nostro mondo, che tende ad allontanarsi da Dio, l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua purezza».

Se dall’inizio passiamo alla fine del Concilio, nell’omelia del 7 dicembre 1965 per l’ultima sessione dell’assise ecumenica il servo di Dio Paolo VI (1897-1978), con parole che Benedetto XVI rievoca e definisce «straordinariamente attuali», confermò che il Concilio «deve essere visto nel tempo in cui si è verificato. Infatti – dice il Papa [Paolo VI] – è avvenuto in un tempo in cui, come tutti riconoscono, gli uomini sono intenti al regno della terra piuttosto che al regno dei cieli; un tempo, aggiungiamo, in cui la dimenticanza di Dio si fa abituale, quasi la suggerisse il progresso scientifico; un tempo in cui l’atto fondamentale della persona umana, resa più cosciente di sé e della propria libertà, tende a rivendicare la propria autonomia assoluta, affrancandosi da ogni legge trascendente; un tempo in cui il “laicismo” è ritenuto la conseguenza legittima del pensiero moderno e la norma più saggia per l’ordinamento temporale della società… In questo tempo si è celebrato il nostro Concilio a lode di Dio, nel nome di Cristo, ispiratore lo Spirito Santo». È difficile, come pure si fa spesso, accusare qui il servo di Dio Paolo VI di coltivare un ingenuo ottimismo riguardo al tempo in cui si era svolto il Concilio. E quanto al messaggio essenziale del Vaticano II questo, secondo Papa Montini, era consistito nel riproporre a uomini che l’avevano dimenticata la verità secondo cui Dio «esiste realmente, vive, è una persona, è provvido, è infinitamente buono; anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, è nostro Creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che l’uomo, quando si sforza di fissare la mente ed il cuore in Dio nella contemplazione, compie l’atto più alto e più pieno del suo animo, l’atto che ancor oggi può e deve essere il culmine degli innumerevoli campi dell’attività umana, dal quale essi ricevono la loro dignità».

Il nostro tempo oggi, osserva Benedetto XVI, continua «ad essere segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio». Per questo ci serve ancora «la lezione più semplice e più fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo nella sua essenza consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue». I padri conciliari videro con chiarezza, secondo il Papa, che «quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità».

Del Concilio le quattro Costituzioni sono «quasi i quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci». «La Costituzione sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium ci indica come nella Chiesa all’inizio c’è l’adorazione, c’è Dio, c’è la centralità del mistero della presenza di Cristo. E la Chiesa, corpo di Cristo e popolo pellegrinante nel tempo, ha come compito fondamentale quello di glorificare Dio, come esprime la Costituzione dogmatica Lumen gentium. Il terzo documento che vorrei citare è la Costituzione sulla divina Rivelazione Dei Verbum: la Parola vivente di Dio convoca la Chiesa e la vivifica lungo tutto il suo cammino nella storia. E il modo in cui la Chiesa porta al mondo intero la luce che ha ricevuto da Dio perché sia glorificato, è il tema di fondo della Costituzione pastorale Gaudium et spes». Su questi documenti il Papa tornerà nelle prossime udienze generali.