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L'udienza del 17.10.2012. L'Anno della fede contro la «religione "fai-da-te"»

di Massimo Introvigne

imgAll'udienza generale del 17 ottobre 2012 Benedetto XVI ha avviato un nuovo ciclo di catechesi del mercoledì, che sarà dedicato alla fede accompagnando passo dopo passo l'Anno omonimo. La fede, ha detto il Papa, è «l'incontro non con un'idea o con un progetto di vita, ma con una Persona viva che trasforma in profondità noi stessi»: ci trasforma completamente, e trasforma il nostro rapporto con gli altri. «Avere fede nel Signore non è un fatto che interessa solamente la nostra intelligenza, l'area del sapere intellettuale, ma è un cambiamento che coinvolge la vita, tutto noi stessi: sentimento, cuore, intelligenza, volontà, corporeità, emozioni, relazioni umane. Con la fede cambia veramente tutto in noi e per noi, e si rivela con chiarezza il nostro destino futuro, la verità della nostra vocazione dentro la storia, il senso della vita, il gusto di essere pellegrini verso la Patria celeste».

Si tratta solo di belle parole, di teoria? Di qualche cosa che confessiamo con le labbra ma che rimane staccato dalla nostra vita di tutti i giorni, di cui invece dovrebbe essere «l'anima»? Per riportare la fede nella vita quotidiana è necessario mostrare che solo con la fede s'incontra «la pienezza dell'uomo». «Oggi è necessario ribadirlo con chiarezza, mentre le trasformazioni culturali in atto mostrano spesso tante forme di barbarie, che passano sotto il segno di "conquiste di civiltà": la fede afferma che non c'è vera umanità se non nei luoghi, nei gesti, nei tempi e nelle forme in cui l'uomo è animato dall'amore che viene da Dio». Dove invece «c'è l'arroganza dell'io chiuso in se stesso, l'uomo viene impoverito, degradato, sfigurato».

Possiamo allora definire la fede come «accogliere questo messaggio trasformante nella nostra vita». Possiamo anche dire che si tratta di «accogliere la rivelazione di Dio», ma «il mistero di Dio resta sempre oltre i nostri concetti e la nostra ragione, i nostri riti e le nostre preghiere». Ma ecco «la meraviglia della fede: Dio, nel suo amore, crea in noi – attraverso l'opera dello Spirito Santo – le condizioni adeguate perché possiamo riconoscere la sua Parola. Dio stesso, nella sua volontà di manifestarsi, di entrare in contatto con noi, di farsi presente nella nostra storia, ci rende capaci di ascoltarlo e di accoglierlo». Il Pontefice cita san Paolo: «Ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete» (1 Ts 2,13).

Con la venuta di Gesù Cristo «Dio non solo si è rivelato nella storia di un popolo, non solo ha parlato per mezzo dei Profeti, ma ha varcato il suo Cielo per entrare nella terra degli uomini come uomo, perché potessimo incontrarlo e ascoltarlo». Le parole che ci ha fatto ascoltare, però, hanno un contenuto molto preciso. Pertanto «sin dagli inizi si pose il problema della "regola della fede", ossia della fedeltà dei credenti alla verità del Vangelo, nella quale restare saldi, alla verità salvifica su Dio e sull'uomo da custodire e trasmettere». San Paolo lo esprime in un modo perfino radicale: «Ricevete la salvezza, se mantenete [il vangelo] in quella forma in cui ve l'ho annunciato. Altrimenti avreste creduto invano» (1 Cor 15,2).

La domanda essenziale per noi diventa dunque: «dove troviamo la formula essenziale della fede? Dove troviamo le verità che ci sono state fedelmente trasmesse e che costituiscono la luce per la nostra vita quotidiana?». E «la risposta è semplice: nel Credo, nella Professione di Fede o Simbolo della fede». Il Credo non è mai cambiato. Abbiamo solo «bisogno che sia meglio conosciuto, compreso e pregato. Soprattutto è importante che il Credo venga, per così dire, "riconosciuto". Conoscere, infatti, potrebbe essere un'operazione soltanto intellettuale, mentre "riconoscere" vuole significare la necessità di scoprire il legame profondo tra le verità che professiamo nel Credo e la nostra esistenza quotidiana».

Il Credo rimanda al Catechismo della Chiesa Cattolica, che il Papa definisce ancora una volta «norma sicura per l'insegnamento della fede». Il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) chiese esplicitamente che il Catechismo «fosse impostato sul Credo». Solo così si poteva costruire un testo in grado di «confermare e custodire questo nucleo centrale delle verità della fede, rendendolo in un linguaggio più intellegibile agli uomini del nostro tempo, a noi». «Oggi – ha aggiunto il Pontefice – viviamo in una società profondamente mutata anche rispetto ad un recente passato, e in continuo movimento. I processi della secolarizzazione e di una diffusa mentalità nichilista, in cui tutto è relativo, hanno segnato fortemente la mentalità comune. Così, la vita è vissuta spesso con leggerezza, senza ideali chiari e speranze solide, all'interno di legami sociali e familiari liquidi, provvisori». In particolare – è il tema, caro a Benedetto XVI, dell'emergenza educativa –, «le nuove generazioni non vengono educate alla ricerca della verità e del senso profondo dell'esistenza che superi il contingente, alla stabilità degli affetti, alla fiducia. Al contrario, il relativismo porta a non avere punti fermi, sospetto e volubilità provocano rotture nei rapporti umani, mentre la vita è vissuta dentro esperimenti che durano poco, senza assunzione di responsabilità».

Non si tratta solo di problemi che riguardano chi è fuori della Chiesa. «Se l'individualismo e il relativismo sembrano dominare l'animo di molti contemporanei, non si può dire che i credenti restino totalmente immuni da questi pericoli, con cui siamo confrontati nella trasmissione della fede. L'indagine promossa in tutti i continenti per la celebrazione del Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, ne ha evidenziato alcuni: una fede vissuta in modo passivo e privato, il rifiuto dell'educazione alla fede, la frattura tra vita e fede». E alla radice di tutto c'è la confusione dottrinale. «Il cristiano spesso non conosce neppure il nucleo centrale della propria fede cattolica, del Credo, così da lasciare spazio ad un certo sincretismo e relativismo religioso, senza chiarezza sulle verità da credere e sulla singolarità salvifica del cristianesimo. Non è così lontano oggi il rischio di costruire, per così dire, una religione "fai-da-te"». Dobbiamo, invece, tornare a Dio, al Dio di Gesù Cristo, dobbiamo riscoprire il messaggio del Vangelo, farlo entrare in modo più profondo nelle nostre coscienze e nella vita quotidiana.

Per questo era necessario l'Anno della Fede: per riaffermare che i «contenuti o verità della fede (fides quae) si collegano direttamente al nostro vissuto; chiedono una conversione dell'esistenza, che dà vita ad un nuovo modo di credere in Dio (fides qua). Conoscere Dio, incontrarlo, approfondire i tratti del suo volto mette in gioco la nostra vita, perché Egli entra nei dinamismi profondi dell'essere umano». Senza chiarezza dottrinale, non c'è fede. Senza fede, affidandosi solo alla «religione "fai-da-te"», è difficile evitare i tanti rischi di barbarie.