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L'udienza del 21 novembre, Solo la fede dà alla ragione il suo orizzonte ultimo

di Massimo Introvigne

imgNell'udienza generale del 21 novembre 2012 Benedetto XVI, riprendendo il filo del discorso dal mercoledì precedente, quando aveva parlato della conoscenza di Dio tramite la fede, la quale «permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la persona umana»  e la guida «oltre le prospettive anguste dell’individualismo e del soggettivismo che disorientano le coscienze», ha proposto un'ulteriore meditazione sulla ragionevolezza della fede.

«La tradizione cattolica - ha detto il Papa - sin dall’inizio ha rigettato il cosiddetto fideismo, che è la volontà di credere contro la ragione». L'abusata espressione «credo quia absurdum» (credo perché è assurdo) «non è formula che interpreti la fede cattolica. Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero». Il mistero, a sua volta, «non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità. Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa». È un po' come quando si cerca di guardare il sole: è troppo luminoso, e gli occhi si bruciano. Così la ragione da sola non riesce a tener  gli occhi fissi sul mistero, ma con l'aiuto della fede può davvero «guardare il sole», cioè Dio.

Ma è anche vero che la fede stimola la ragione e le apre nuovi orizzonti. «È falso il pregiudizio di certi pensatori moderni, secondo i quali la ragione umana verrebbe come bloccata dai dogmi della fede. E’ vero esattamente il contrario, come i grandi maestri della tradizione cattolica hanno dimostrato». Come fa in quasi tutte le sue catechesi, il Pontefice cita sant'Agostino (354-430): «comprendi per credere e credi per comprendere». Ed è, spiega il Papa, sulla scia di sant'Agostino e non in opposizione a lui che sant'Anselmo (1033 o 1034-1109) definirà la fede cattolica «fides quaerens intellectum», affermando che «il cercare l’intelligenza è atto interiore al credere», e ponendo le premesse per il momento più alto - e tuttora insuperato - dell'incontro tra fede e ragione nella storia del pensiero occidentale, che si realizza con san Tommaso d'Aquino (1225-1274).

Il Magistero ha confermato autorevolmente questo incontro. Il Concilio Vaticano I, nella Costituzione dogmatica Dei Filius, insegna che «la ragione è in grado di conoscere con certezza l’esistenza di Dio attraverso la via della creazione, mentre solo alla fede appartiene la possibilità di conoscere "facilmente, con assoluta certezza e senza errore" le verità che riguardano Dio, alla luce della grazia». E il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) nell'enciclica «Fides et ratio» presenta fede e ragione come le due ali entrambe necessarie perché l'uomo possa volare verso la verità. Ma già agli inizi del cristianesimo, ai filosofi greci che non comprendevano la logica della Passione, san Paolo contrapponeva «ho lògos tou staurou, “la parola della croce” (1 Cor 1,18)», un'espressione - spiega il Papa - dove «il termine lògos indica tanto la parola quanto la ragione e, se allude alla parola, è perché esprime verbalmente ciò che la ragione elabora».

Queste sono le premesse anche per un «rapporto virtuoso fra scienza e fede». La scienza è utile all'umanità, ma ha bisogno - soprattutto oggi - di un «orizzonte» etico entro il quale deve muoversi. «Così la fede, vissuta realmente, non entra in conflitto con la scienza, piuttosto coopera con essa, offrendo criteri basilari perché promuova il bene di tutti, chiedendole di rinunciare solo a quei tentativi che - opponendosi al progetto originario di Dio - possono produrre effetti che si ritorcono contro l’uomo stesso».

Come dà un orizzonte e un ordine alla scienza, così la fede regge e dà il suo significato ultimo a ogni conoscenza e opera umana, fungendo da «autentica "grammatica" dell'uomo e di tutta la realtà». Lo riassume il «Catechismo della Chiesa Cattolica»: «La verità di Dio è la sua sapienza che regge l’ordine della creazione e del governo del mondo» (n. 216).

«Senza Dio, infatti, l’uomo smarrisce se stesso». La nuova evangelizzazione deve anzitutto ricordare ai nostri contemporanei smarriti che «è ragionevole credere, è in gioco la nostra esistenza. Vale la pena di spendersi per Cristo, Lui solo appaga i desideri di verità e di bene radicati nell’anima di ogni uomo».