CESNUR - center for studies on new religions

Le reliquie del Buddha in Italia
L’Occidente è la «seconda casa» dei tibetani

di Andrea Menegotto (da il Domenicale, anno 2, numero 20, 17 maggio 2003)

In occasione della celebrazione del Vesak - festa buddhista che si celebra nel giorno di luna piena del mese lunare di Vaisakha (aprile-maggio) e commemora la ricorrenza del trapasso di Siddhartha Gautama, il Buddha (563-483 a.C.?), ma anche quella della sua nascita e del suo «risveglio» - gli scorsi 3 e 4 maggio, prima ad Albagnano di Bèe (Verbania), poi a Milano è stata organizzata, per la prima volta in Italia, una speciale esposizione delle sacre reliquie del Buddha e dello stupa d’oro L’evento è stato ospitato dalla Lama Gangchen World Peace Foundation (L.G.W.P.F., ONG associata alle Nazioni Unite), e dai principali centri italiani sotto la sua egida: l’Albagnano Healing Meditation Centre, il Kunpen Lama Gangchen di Milano e Centro Buddha della Medicina di Torino, tutti membri dell’Unione Buddista Italiana (U.B.I.). La L.G.W.P.F. ha come responsabile e guida Lama Gangchen Tulku Rinpoche, nato nel 1941 nel Tibet occidentale, uno dei principali diffusori in Occidente - e particolarmente in Italia - del buddhismo tibetano, anche se nel suo insegnamento non sono assenti elementi dottrinali tratti da altre tradizioni occidentali.

E proprio al buddhismo tibetano è dedicato uno studio di Donald S. Lopez Jr., uno dei maggiori esperti occidentali della religione e della lingua tibetana, che in un breve ma denso volumetto ne riassume la storia e la dottrina, senza timore di affrontare gli argomenti più controversi e di smentire qualche mito diffuso fra chi conosce il buddhismo tibetano solo dalle sue presentazioni più divulgative.

In Occidente circolano infatti due immagini sbagliate: per alcuni il buddhismo del Tibet, con la sua iconografia piena di dèi e demoni irati, rappresenta una corruzione del buddhismo «originario», che si sarebbe mescolato a elementi «pagani» tipici di una cultura locale pre-buddhista. Per altri, invece, in Tibet – un paese a lungo chiuso agli stranieri e, fino all’invasione cinese del 1950, immune dal colonialismo – si sarebbe conservato il buddhismo più genuino e profondo. Proprio l’invasione cinese, e la brutale repressione dell’insurrezione popolare del 1959, hanno determinato – insieme al tragico esilio di tanti tibetani – l’arrivo in tutto l'Occidente (Italia compresa) di lama e intellettuali buddhisti nati in Tibet, rendendo la discussione sul buddhismo tibetano un argomento direttamente rilevante sia per i molti occidentali che fanno di questa forma buddhista la loro religione, sia per coloro – ancora più numerosi – che sono comunque affascinati dalla figura del Dalai Lama e dai numerosi testi che presentano l’arte, la religione e la cultura tibetana a un pubblico sempre più vasto.

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