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Attenti al Caucaso: Al Qaida si allarga e sogna un califfato

di Massimo Introvigne (il Giornale, 25 giugno 2004)

Il bagno di sangue in Inguscezia – la repubblica autonoma della Federazione Russa confinante con la Cecenia, attaccata nella notte fra lunedì e martedì da militanti ultra-fondamentalisti ceceni che hanno fatto una cinquantina di morti – potrebbe sembrare a prima vista incomprensibile. L’attacco rende i guerriglieri ceceni ancor meno popolari nella vicina Inguscezia di quanto già non siano.
Ceceni e ingusci hanno caratteristiche etniche e linguistiche simili, ma gli ingusci si sono convertiti più tardi all’islam e ne hanno adottato una versione strettamente legata alle confraternite sufi. Due di queste, la Naqshbandiyya e la Qadiriyya – entrambe internazionalmente diffuse – di fatto controllano la vita religiosa dell’Inguscezia.
Anche il recente risveglio religioso – quattrocento moschee costruite dopo la caduta del comunismo – è ampiamente rimasto nell’ambito delle confraternite, che hanno dell’islam una visione sostanzialmente moderata.
Nonostante tutto, molti ingusci, per solidarietà etnica e religiosa, hanno combattuto a fianco dei ceceni nella prima fase dell’insurrezione anti-russa. Negli ultimi anni, tuttavia, la dirigenza religiosa sufi e l’opinione pubblica dell’Inguscezia hanno manifestato una crescente disaffezione per la causa della Cecenia, dove vedono emergere con preoccupazione un islam ultra-fondamentalista lontano dalle loro tradizioni, una propaganda di origine saudita ostile al sufismo, e legami crescenti di una parte della guerriglia con Al Qaida.
Proprio l’ultimo punto spiega l’attacco di lunedì notte. Dopo la perdita dell’Afghanistan, Al Qaida è priva di un luogo geografico che possa essere presentato come il nucleo mitico di un futuro califfato mondiale. Certamente questo ruolo non può essere assunto da qualche remota vallata al confine fra Pakistan e Afghanistan, buona al più per nascondere qualche dirigente del movimento.
La cupola di Al Qaida sta esplorando varie opzioni: forse è divisa al suo interno. Alcune possibilità sono venute meno sul piano militare. La collaborazione fra le truppe americane e l’esercito filippino ha spinto i separatisti di Mindanao – dove Bin Laden sperava di creare uno Stato musulmano indipendente – a isolare il gruppo Abu Sayyaf, il più legato ad Al Qaida, e a sedersi al tavolo della pace con il governo di Manila. In Algeria il terrorismo salafita legato a Bin Laden, il cui leader Sahraoui è stato ucciso domenica scorsa, non controlla più alcuna parte significativa del territorio.
Restano tre opzioni. La prima appartiene al futuro: è la ricerca nell’Africa subsahariana di una “zona franca” per il terrorismo sfruttando i conflitti regionali in Congo, Uganda e Nigeria, dove Al Qaida ha appena cominciato a inserirsi.
La seconda – l’idea di un califfato del Sud-Est asiatico che dovrebbe comprendere il Sud della Tailandia, la Malaysia, l’Indonesia – esercita una forte attrazione emotiva su molti musulmani, ma si scontra con il successo nelle elezioni malesi del 2004 di forze islamiche moderate insieme ostili al terrorismo e capaci di convincere l’opinione pubblica. Resta la terza opzione: un califfato del Caucaso che dovrebbe comprendere Cecenia, Inguscezia e Daghestan (l’altra repubblica russa dove pure ci sono stati attacchi in questi giorni).
Sul piano militare, l’avventura sembra disperata. Ma, come bandiera da agitare, il sogno del califfato del Caucaso ha una storia centenaria, di cui Al Qaida cerca ora di appropriarsi.

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