CESNUR - center for studies on new religions

Ma sulla religione la Cina tace
L'altra faccia della medaglia

di Massimo Introvigne (il Giornale, 28 gennaio 2004, p. 10 / Esteri)

imgAccolto come un imperatore a Parigi, osannato da molti governatori occidentali, il leader cinese Hu Jintao si presenta come il nuovo che avanza in Cina, il trionfante protagonista di una cavalcata che porterà il suo Paese a diventare la seconda potenza economica mondiale, partner rispettato dell’Europa e degli Stati Uniti nel campo del commercio (con l’adesione al Wto), dello sport (con le Olimpiadi a Pechino nel 2008), della lotta al terrorismo. Ma non è tutto oro quello che luccica. Mentre le difficoltà del sistema sanitario cinese, evidenziate dal fenomeno Sars, e le ricorrenti crisi di povertà nelle campagne raccontano una storia diversa da quella che brilla nelle vetrine di Chanel o di Prada a Pechino e a Shangai, qualche vocina fastidiosa – dal Papa al Dalai Lama – continua a ripetere che non c’è reale progresso verso la libertà, senza libertà religiosa.

Quando si parla di religione in Cina, occorre partire da un dato che programmi di ricerca internazionali (oggi non più sempre e soltanto ostacolati dalle istituzioni accademiche cinesi – che anzi, meritoriamente, spesso collaborano) stanno portando alla luce in modo incontrovertibile. Secondo le statistiche del governo, in Cina ci sarebbero poco più di cento milioni di credenti cattolici, protestanti, musulmani e buddhisti (il 10% della popolazione), anche se a questi – a fronte di un 63,9% ufficiale di atei – andrebbe aggiunto un abbondante 20% ancorato alla “religiosità cinese popolare”. Ma queste statistiche sono false e non tengono conto delle numerose organizzazioni religiose “non ufficiali” o illegali. Assai più realistico è rovesciare il dato: i credenti in contatto con forme organizzate di religione sono il 60%, quelli legati a forme di religiosità popolare il 20%, gli atei e gli agnostici il 20%.

La profezia del “grande timoniere” Mao, secondo cui la religione sarebbe “naturalmente” scomparsa nella nuova Cina, non si è realizzata. Ma il fatto che la realtà non si conformi alle profezie di Mao irrita molti dirigenti comunisti, e scatena rinnovate campagne di persecuzione. Come era facile prevedere, la legge contro le “sette malvagie”, che sembrava tagliata su misura sul solo movimento Falun Gong (sul conto del quale, peraltro, troppa stampa occidentale ha accettato la propaganda cinese senza andare a fondo della questione), è stata immediatamente applicata contro le grandi Chiese protestanti clandestine e la Chiesa cattolica “sotterranea” fedele a Roma (la legge ammette solo una “Chiesa patriottica”, che da Roma si è separata: ma anche in questa le simpatie per il Papa oggi crescono). Anche in Tibet la repressione non accenna a diminuire.

Che cosa può fare l’Europa? Sacrificare i diritti umani sull’altare del dio commercio crea un debito che in una futura Cina democratica qualcuno dovrà pagare, ma non aiuta neppure a conquistarsi il rispetto dei governanti attuali. Gli oppositori di qualunque seria censura alla Cina per le sue violazioni della libertà religiosa, come Prodi e Chirac, dovrebbero riflettere sul fatto che i contratti più lucrosi continuano ad andare a quegli americani che in ogni contatto bilaterale non mancano mai di alzare la voce sulla religione e di chiedere e ottenere la liberazione di qualche prete o pastore incarcerato.

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