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Lezione indonesiana. L'Islam è compatibile con la democrazia

di Massimo Introvigne (il Giornale, 25 settembre 2004)

Un passaggio cruciale sulla via della costruzione di un islam democratico è avvenuto questa settimana in Indonesia. Si tratta, né più né meno, della maggiore consultazione elettorale della storia per numero di votanti in una paese a maggioranza islamica: centocinquanta milioni di elettori sono stati chiamati al ballottaggio per eleggere direttamente il presidente della Repubblica.
Sembra ormai certo che abbia vinto il generale Yudhoyono, ex-ministro dell'Interno, che era andato al ballottaggio con la presidente uscente Megawati Sukarnoputri, figlia del “padre della patria” Sukarno. I fondamentalisti islamici radicali e i loro principali antagonisti “laici”, i nostalgici duri e puri della dittatura di Suharto, erano invece rimasti fuori dal ballottaggio.
Si tratta di una vittoria degli Stati Uniti, convinti sostenitori di Yudhoyono, un generale affabile e perfettamente anglofono che predica insieme la “tolleranza zero” per i terroristi e il dialogo con il popolo delle moschee.
Ma è anche un successo della più grande organizzazione mondiale dell'islam conservatore e moderato, la Nahdlatul Ulama (Nu), che conta in Indonesia quaranta milioni di membri. La Nu ha già espresso un presidente dell'Indonesia, Abdurrahman Wahid, tuttora influente ma escluso dall'attuale competizione elettorale a causa della salute malferma.
Stavolta la Nu aveva giocato su tre tavoli, candidando tre suoi esponenti alla vice-presidenza: Hasyim Muzadi, presidente del movimento, a fianco della Sukarnoputri; Salahuddin Wahid, fratello dell'ex presidente Wahid e vice-presidente anche della Nu, con il “suhartiano” generale Wiranto; e il miliardario Jusuf Kalla il principale finanziatore della Nu, con Yudhoyono. Mentre la Sukarnoputri è dichiaratamente una abangan (musulmana non praticante), Yudhoyono si è sempre proclamato religioso, anche se non è precisamente un pio sufi come il suo vice-presidente Kalla.
Quest'ultimo, peraltro, è stato - con altri grandi uomini d'affari indonesiani - uno dei registi dell'operazione che ha convinto Suharto ad abbandonare il potere senza spargimenti di sangue: ha ancora in tasca la tessera del partito Golkar (che peraltro candidava Wiranto) e ha portato molti voti di questo partito a Yudhoyono nel ballottaggio.
L'altra grande organizzazione islamica indonesiana, la Muhammadiyya (trenta milioni di membri), aveva candidato il suo ex-presidente Amien Rais direttamente alla presidenza della repubblica. Rais aveva avuto l'appoggio del Pks, Partito della Prosperità e della Giustizia affine ai Fratelli Musulmani, che nelle elezioni legislative del 2004 aveva lucrato il 20% ed era emerso come primo partito nella capitale Jakarta. L'alleanza Rais-PKS non ha vinto, ma con il suo 14% al primo turno si candida a rappresentare legittimamente un fondamentalismo islamico non terrorista e democratico nella politica indonesiana della prossima amministrazione Yudhoyono.
Questa avrebbe torto a non aprire un dialogo con Rais, perché solo così si isoleranno gli ultra-fondamentalisti radicali.
Sembra comunque certo che il tradizionale islam indonesiano delle confraternite avrà più di un piede nel nuovo governo. Non c'è due senza tre: dopo la Turchia e la Malaysia anche l'Indonesia conferma che nel mondo islamico, dove arriva la democrazia, e le elezioni non sono truccate a favore di laicisti invisi alla popolazione, l'islam moderato batte quello fondamentalista e radicale.

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