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Fitna di Gilles Kepel: un discutibile manifesto per la politica di Jacques Chirac

di Massimo Introvigne

Nella guerra al terrorismo emerge sempre di più un fattore F, riferito a una Francia che cerca spesso di ostacolare gli Stati Uniti e ispira altri paesi e forze politiche, tra cui buona parte della sinistra italiana. Capire che cosa vuole davvero la Francia è dunque cruciale. Di qui l'interesse del libro appena uscito del sociologo Gilles Kepel, notoriamente consigliere e talora ispiratore della politica islamica di Chirac, Fitna. Guerre au coeur de l'islam (Gallimard, Parigi 2004, da cui sono tratte le citazioni che seguono; tr. italiana: Fitna. Guerra al cuore dell'Islam, Laterza, Bari-Roma 2004). Kepel è un raffinato studioso da cui tutti molto abbiamo appreso, che esce peraltro da un infortunio: alla vigilia dell'11 settembre aveva ripetutamente dichiarato che Al-Qa'ida era un'organizzazione sopravvalutata dalla propaganda americana. Dal momento che Al-Qa'ida è invece viva e vitale, e il sociologo parigino sa anche che non è composta da disperati dei campi profughi ma da giovani della buona borghesia araba, Kepel se la cava ora imputando i successi di bin Laden - secondo uno schema classico nel laicismo francese - al “lavaggio del cervello” (p. 136) e a un “[…] indottrinamento [che] scalza i fondamenti minimi della libertà di coscienza” (p. 333), che sarebbe del resto stato praticato in passato dal “Vaticano” (p. 332) e ancora oggi dalle “sette”, dall'ebraismo hassidico, da “[…] certi movimenti carismatici ed evangelici cristiani […]” (p. 333). Il problema, qui, è anzitutto metodologico: legato allo schema sociologico della secolarizzazione, secondo cui la religione di tipo conservatore e fondamentalista deve essere in declino, Kepel - quando i fatti rifiutano di conformarsi alla teoria - applica il riduzionismo tipico dei teorici della secolarizzazione classici, e sostiene che fatti e movimenti che si presentano apparentemente come religiosi si spiegano invece riconducendoli alle loro “vere” cause politiche o psicologiche.
Kepel sa bene che la nuova guerra mondiale è anzitutto una guerra civile all'interno dell'islam. Ricorda giustamente che i tradizionalisti (da lui chiamati, con termine ambiguo, “salafiti”) di ispirazione saudita che insistono sul puritanesimo sessuale, non coincidono con i fondamentalisti, per cui è centrale invece la politica; che non tutti i fondamentalisti sono terroristi; e che all'interno del terrorismo solo Al-Qa'ida teorizza che i regimi arabi non fondamentalisti vanno rovesciati andando a colpire direttamente in Occidente chi li sostiene. Kepel ha però torto quando sostiene che Bush, Sharon e i neo-conservatori americani (di cui offre - spingendosi in un campo che certamente non è il suo - una ricostruzione storica talora caricaturale, riprendendo “informazioni” persino dal discusso cineasta Michael Moore, una fonte per dire il meno non precisamente accademica) hanno fatto il gioco del terrorismo e hanno ottenuto poco o nulla quanto ai loro tre obiettivi - dove invece qualche progresso c' è stato -: la lotta agli attentati, l'avvio di un processo riformatore in Arabia Saudita, e il passaggio dalla dittatura a un embrione di democrazia in Irak.
Del fattore F Kepel ricorda l'origine: la svolta di de Gaulle che, dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, si rende conto che la Francia per contare qualcosa deve essere anti-americana, e per essere anti-americana deve essere anti-israeliana. Ma sui mezzi non tutti sono d'accordo. C'è in Francia un mondo accademico (dove, senza nominare contradditori come François Burgat, Kepel li paragona agli “utili idioti” [p, 311] che collaborarono con lo stalinismo) e politico (Sarkozy) che vuole isolare l'ultra-fondamentalismo tramite un dialogo con i Fratelli Musulmani fondamentalisti e il tradizionalismo di ispirazione saudita. La linea Kepel-Chirac è un'altra: nessuna concessione a fondamentalisti e tradizionalisti (con la legge anti-velo come bandiera), e promozione di un islam “[…] riconciliato con la modernità” (p. 342) e con il laicismo alla francese. Se la variante nazionalista dei Saddam e degli Arafat (ma quest'ultimo è ancora in qualche misura sostenuto) è naufragata nella corruzione, in Francia può nascerne oggi una versione “illuminista” da esportare poi nei paesi islamici.
Tuttavia, mentre il consenso all'islam “illuminista” coinvolge percentuali minime di musulmani, le quasi quattrocento pagine di Kepel riescono a non menzionare neppure una volta l'islam centrista e conservatore del primo ministro turco Erdogan, dei grandi movimenti indonesiani e di partiti come il Wasat egiziano, che la Francia ha deciso di ignorare perché non sono strutturalmente anti-americani. Delle cinque componenti che si combattono nella guerra civile intra-islamica - il minuscolo “illuminismo” degli intellettuali, il nazionalismo laico alla Arafat, il conservatorismo, il rigorismo nelle sue versioni fondamentalista e tradizionalista, e l'ultra-fondamentalismo dei terroristi - Kepel ignora proprio la tendenza probabilmente maggioritaria, anche se si tratta in alcuni paesi (non in tutti) di una maggioranza silenziosa: i movimenti centristi e conservatori che, sostenuti da milioni di persone, costituiscono invece l'unico antidoto reale all'ultra-fondamentalismo terrorista.

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