CESNUR - center for studies on new religions

Il voto in Palestina dipende dai diktat dei fanatici islamici

di Massimo Introvigne (il Giornale, 3 dicembre 2004)

La proposta di Hamas di una “tregua” (hudna) con Israele nella prospettiva dell'ordinato svolgimento di elezioni legislative (e non solo presidenziali) in Palestina riporta le lancette del delicato orologio medio-orientale indietro di tre anni, al settembre 2001. In quei mesi lo sceicco Yassin, fondatore e leader di Hamas parlava di una “tregua” da stipulare con Israele per dieci o vent'anni in cambio della nascita di uno Stato palestinese retto da un governo scelto con elezioni libere, dove - pensava Yassin - i suoi fondamentalisti islamici avrebbero potuto battere i laici di Arafat. Una “tregua” non è una pace, ma nel vocabolario islamico hudna è una parola impegnativa, e nei tempi del Medio Oriente una tregua di vent'anni alla pace assomiglia davvero molto. I discorsi di Yassin sulla “tregua” erano la ragione principale per cui gli israeliani lasciavano in vita il vecchio fondatore di Hamas, il cui indirizzo a Gaza era sull'elenco telefonico e che, costretto fin da bambino su una sedia a rotelle, non avrebbe potuto neppure scappare facilmente. Molti, in Israele, pensavano che il vecchio sceicco incarnasse un'anima di Hamas, se non “moderata”, meno sanguinaria di altre.
Vengono poi l'11 settembre, l'entusiasmo dei giovani palestinesi per Al Qaida (mai amata da Yassin), il timore di Hamas di perdere consensi nei confronti di formazioni più estremiste, sedotte anche dalla “resistenza” irachena. Anche Yassin si lascia risucchiare sulle posizioni più intransigenti, gli attentati suicidi ricominciano, ogni dialogo anche segreto diventa impossibile: di qui l'eliminazione dello shaykh da parte di Israele nel marzo 2004, seguita da quella del suo successore Rantisi.
Hamas - o almeno una sua componente - prospetta ora un ritorno alla situazione precedente all'11 settembre, pur continuando ad annunciare il boicottaggio delle elezioni presidenziali di gennaio, che i fondamentalisti considerano illegale separare da quelle politiche per il parlamento palestinese, cui invece pensano di partecipare.
Gli ultimi sondaggi sono confusi. Hamas sventola il dato di un'agenzia libanese secondo cui raccoglierebbe il 74%. Un gruppo di agenzie americane dà Hamas al 31%, Fatah (il partito di Arafat e di Abu Mazen) al 29%, con il 40% di indecisi o di persone che non si riconoscono in nessuna delle due maggiori forze politiche. Comunque sia, Hamas dovrebbe rappresentare almeno un buon terzo della popolazione dei Territori.
Né l'Europa né gli Stati Uniti vogliono in Palestina elezioni fasulle di tipo ucraino. Javier Solana, il responsabile della politica estera europea, ha dichiarato di avere incontrato un “portavoce” di Hamas, che ha peraltro smentito l'incontro in uno strano balletto di comunicati. Il ministro degli esteri del Qatar starebbe cercando, secondo fonti israeliane, di fare incontrare in segreto esponenti di Hamas addirittura con diplomatici americani.
Nessuno vuole davvero in Palestina delle mezze elezioni, interne alla componente nazionalista e che escludano quella islamica. Nello stesso tempo, tutti hanno paura di una vittoria di Hamas in elezioni vere.
La soluzione è forse la formazione di un nuovo partito islamico, eventualmente con un nome diverso da quello troppo legato al terrorismo di Hamas, raccolto intorno all'idea della “tregua”. Ma è una soluzione che non arriverà per le presidenziali del 9 gennaio.
Tutto è rimandato alle elezioni legislative palestinesi che dovrebbero tenersi nel corso del 2005: ma tutto è ancora molto nebuloso.

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