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Tappeti rossi ai terroristi

di Massimo Introvigne (il Giornale, 25 marzo 2004)

imgÈ forse venuto il momento di porre una domanda scomoda: quale rischio fa correre all’Italia il viavai di esponenti della cosiddetta «resistenza» irachena che si muovono nel mondo della sinistra «disobbediente» come topi nel formaggio? Secondo le definizioni delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea l’attentato alla vita e ai beni di civili non combattenti – pratica quotidiana della «resistenza» in Irak – non può essere chiamato che terrorismo: si tratta dunque di terroristi, i cui legami con l’internazionale del terrore di Bin Laden sono emersi con chiarezza prima e dopo l’11 marzo, nonostante le smentite dei «resistenti» in gita premio in Italia.
I Comitati per la Resistenza del Popolo iracheno hanno diffuso negli ultimi giorni – oltre a fotografie che documentano la loro gradita partecipazione sia alla marcia per la pace del 20 marzo, sia alla «espulsione» di Piero Fassino dal corteo – un interessante documento che sintetizza le tesi esposte dal loro referente iracheno Jabbar al-Kubbaysi, presentato come uno dei capi della «resistenza».
Al-Kubbaysi inneggia ai successi «militari» conseguiti e rivendica il diritto di «sfilare con i ritratti di Saddam»: malgrado i suoi passati peccatucci, «Saddam sta diventando un simbolo della resistenza». Leggiamo inoltre che: «L’occupazione americana dell’Irak è indistricabilmente legata a quella sionista della Palestina. Esiste un comune progetto imperialista-sionista per opprimere il popolo arabo che deve essere sconfitto dall’intera nazione araba». Quanto alle Nazioni Unite, «l’Onu non è altro che un burattino nelle mani dell’imperialismo americano».
Ancor più interessante è leggere che «la resistenza farà divampare l’incendio anche fuori dei confini dell’Irak, in quanto le occupazioni dell’Irak e della Palestina sono rivolte contro l’intero mondo arabo e musulmano e pertanto riguardano tutti quanti. Tutti i regimi fantoccio degli Stati Uniti saranno attaccati». Dunque la «resistenza» irachena minaccia gli amici degli Stati Uniti, inneggia agli attentati in Irak e proclama un antisionismo che, al di là di sottili distinzioni, sappiamo essere in tanto mondo arabo un nome in codice per l’antisemitismo.
Se la «resistenza» irachena avesse affidato i suoi proclami alla televisione araba Al Jazeera o a qualche fax mandato da Londra ci sarebbe già da preoccuparsi. Ma questo materiale è stato diffuso in Italia, non solo alla marcia della pace del 20 marzo, ma da tale Shawkhat Khazindar, anche lui definito «rappresentante della resistenza irachena» durante incontri tenuti in diverse città italiane. Se lo sconosciuto Khazindar sia un vero «resistente iracheno», cioè un terrorista, oppure – per dirla con Totò – un «turco napoletano» è relativamente poco importante: in questi casi conta, come si dice, l’intenzione. Leggiamo in una cronologia degli incontri di Khazindar diffusa sempre dai Comitati per la Resistenza del Popolo iracheno che egli ha parlato tra l’altro a Perugia l’11 marzo nella Sala del Consiglio Regionale, gentilmente concessa. Paese davvero ospitale, l’Italia. Non solo lascia che i terroristi circolino e sfilino in corteo; se si deve credere ai Comitati (una smentita della Regione Umbria sarebbe gradita) a chi tuona, minaccia e annuncia che «divamperà l’incendio» anche fuori dell’Irak offre addirittura le sale dei consigli regionali.

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