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Se gli sciiti d'Irak rimangono senza un leader

di Massimo Introvigne (il Giornale, 11 agosto 2004)

Negli ultimi giorni il leader sciita ribelle Moktada al-Sadr, dopo mesi di relativa inattività, si è scatenato con massicci attacchi, da Najaf (dove si gioca la partita più importante) a Nassiriyah e a Bassora. Contemporaneamente a Najaf gli uffici del capo supremo degli sciiti iracheni, il grande ayatollah Sistani, attualmente a Londra per esami medici dopo che i suoi problemi di salute sono peggiorati, sono stati ripetutamente attaccati da terroristi sunniti, probabilmente stranieri e legati ad Al Qaida, prontamente respinti dalle guardie armate leali all'ayatollah. Gli stessi terroristi hanno colpito anche a Bagdad. Una scomparsa di Sistani, tradito dal suo cuore malato o ucciso dai terroristi di Zarqawi, sarebbe la maggiore iattura che potrebbe colpire in questo momento l'Irak. L'ayatollah, che gode di enorme influenza, sta infatti perseguendo una linea di basso profilo e di tacito ma decisivo sostegno all'attuale governo. La linea di Sistani nasce da due ordini di considerazioni. Da una parte Sistani non vuole dare l'impressione né agli americani né agli iracheni di aspirare al ruolo che fu in Iran di Khomeini. La teologia di Sistani è diversa, ed egli ha sempre criticato il “governo del giurista islamico”, la presa del potere diretta da parte del clero sciita teorizzata dalla guida della rivoluzione iraniana. Semmai in Irak il teorico del khomeinismo è stato l'ayatollah Mohammed Baqir al-Sadr (1935-1980), la cui influenza è stata decisiva sulla rivoluzione iraniana e che è il padre del giovane ribelle Muktada al-Sadr. Ma Sistani e al-Sadr padre non sono mai andati d'accordo. Questo non significa che Sistani proclami la separazione dalla religione dalla politica: vede piuttosto per il clero sciita un ruolo discreto, dietro le quinte, lontano dall'ostentazione del potere inaugurata in Iran da Khomeini. Questa ostentazione, pensa Sistani, determinerebbe reazioni negative tra i sunniti e gli stessi sciiti, dove solo piccole minoranze si augurano davvero l'avvento di una polizia religiosa come quella iraniana che “promuova il bene e punisca il male” bastonando chiunque si vesta all'occidentale o ascolti musica rock.
La seconda idea di Sistani è che a meno di un cataclisma politico i partiti confessionali sciiti a lui leali (nonostante qualche conflitto personale con alcuni dei leader), SCIRI e Dawa, vinceranno le elezioni irachene del 2005. Questi partiti si trovano in pole position, e qualunque grave turbativa alla situazione irachena può solo peggiorare la loro situazione, al momento ottima. Perché i partiti sciiti vincano le elezioni è necessario, anzitutto, che le elezioni si tengano. Di qui l'appoggio, non particolarmente caloroso ma cruciale, di Sistani alle mosse della coalizione guidata dagli Stati Uniti e dal governo che mirano a restaurare quel minimo di ordine pubblico necessario a garantire il rispetto del calendario che porta alle elezioni. La scelta di Sistani è saggia e rimanda la vera partita alle elezioni. C'è un solo problema. Nessuno nella gerarchia sciita irachena, per non dire mondiale, gode dell'enorme autorità di Sistani. Non si intravedono successori che possano davvero sostituirlo. Per questo la malattia di Sistani spinge al-Sadr a giocarsi le ultime carte e gli americani a reagire con durezza, senza più preoccuparsi del numero dei miliziani uccisi. Occidentali (compresi gli italiani, in prima linea contro i sadristi a Nassiriyah) e iracheni possono solo pregare, insieme, che Dio ci conservi l'ayatollah.

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