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Perché Sharon ordina ai coloni di ritirarsi

di Massimo Introvigne (il Giornale, 6 febbraio 2004, p. 20)

imgC’è un fattore ignorato nei commenti internazionali ma decisivo che spiega perché Sharon vuole convincere i coloni israeliani a ritirarsi da Gaza: la demografia. Non a caso l’annuncio di Sharon (che certo conosceva i dati da molto tempo) segue di una settimana la pubblicazione del rapporto annuale dell’American Jewish Committee (AJC), da oltre cento anni la «bibbia» di chi si occupa di demografia ebraica.

Secondo il rapporto, il tasso di fertilità delle madri ebree che vivono in Israele è di 2,6 figli per donna. È un tasso tutt’altro che disprezzabile se paragonato a Paesi dove lo sviluppo economico e la situazione delle donne sono simili. (Il rapporto lo definisce anzi «sorprendente»: o la propaganda di Sharon a favore della natalità funziona, o le donne israeliane sono consapevoli di stare combattendo una guerra delle culle.) Ma le madri arabe della regione hanno un tasso di fertilità ancora più elevato: 4,7 figli per le donne della minoranza musulmana in Israele, 5,4 in Cisgiordania e addirittura 7,4 a Gaza. Ogni proiezione demografica sul futuro di Israele è necessariamente incerta, perché non si può completamente prevedere l’immigrazione di ebrei che beneficiano della Legge del Ritorno. Tuttavia qui Israele ha quasi raschiato il fondo del barile, e lo confermano le polemiche di queste settimane sulla volontà del governo (non condivisa da tutti i partiti della maggioranza che lo sostiene) di considerare ebrei a pieno titolo i Falash Mura, un gruppo di 35mila etiopici (fino a ieri cristiani, a differenza dei Falashà certamente ebrei) che si afferma discendente di ebrei obbligati a convertirsi al cristianesimo nel XVI e XVII secolo e che ora desidera tornare all’ebraismo ed emigrare in Israele.

L’ipotesi più probabile è che nel 2010 la percentuale di ebrei in Israele (senza i Territori) scenda dall’attuale 81 per cento al 79 per cento. Se però si considera Israele con i Territori la percentuale di ebrei prevista per il 2010 scende al 51 per cento. Verso il 2012 nel «Grande Israele» con Cisgiordiana e Gaza, che alcuni vagheggiano, i musulmani sarebbero in maggioranza (e nel 2050 sarebbero il 75 per cento). Il rapporto dell’AJC considera anche l’ipotesi, cui la Road Map lascia la porta aperta, di «aggiustamenti» territoriali con i quali Israele cederebbe al futuro Stato palestinese alcuni villaggi in territorio israeliano a schiacciante maggioranza araba, ricevendo in cambio villaggi in zona palestinese dove i coloni ebraici hanno stabilito da anni una salda maggioranza. Effettuato questo scambio, Israele senza i Territori (ma nei confini «rivisti») avrebbe una maggioranza ebraica dell’86 per cento nel 2010 e ancora dell’84 per cento nel 2050.

Le cifre parlano chiaro. Le mamme musulmane di Gaza, con il loro tasso di fertilità del 7,4, rendono impensabile nel lungo periodo un «Grande Israele» che comprenda i Territori: «Grande» sì, ma stravolto nella sua identità di Stato ebraico in quanto abitato da una maggioranza di arabi musulmani. Sharon lo sa; i falchi di una certa ultra-destra israeliana e i coloni forse non ancora. Ma la demografia non aspetta.

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