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Un testo che separa i politici dai militari

di Massimo Introvigne (il Giornale, 9 marzo 2004)

imgLa Legge amministrativa transitoria dell’8 marzo 2004 – nota anche come Costituzione provvisoria della Repubblica dell’Irak – è un buon testo. È questa la notizia che rischia di andare perduta in un dibattito tutto concentrato sui diritti della minoranza curda. Se la scommessa delle ampie concessioni (autonomia in uno Stato federale, curdo come seconda lingua ufficiale dello Stato) – che la maggioranza araba sciita ha coraggiosamente accettato – risolverà davvero, e per la prima volta, il secolare problema curdo rimane da vedere, e non resta che augurare buona fortuna agli iracheni.
Ci sono però altri aspetti del testo che non sono meno importanti. Il primo riguarda la separazione dei poteri, che in un paese arabo significa anzitutto separazione del potere politico da quello militare. L’articolo 5 stabilisce che «le Forze armate dell’Irak sono soggette al controllo civile del governo», e l’articolo 27 lettera C precisa che i militari non possono candidarsi alle elezioni e partecipare alle campagne elettorali. Inoltre, l’articolo 34 – senza troppo chiedersi se da Bagdad sia passato Maccanico o Schifani – stabilisce l’immunità parlamentare per tutti i membri dell’Assemblea Nazionale, il cui arresto è comunque subordinato all’autorizzazione a procedere del Parlamento.
Oltre che tipica dei paesi civili in genere, l’immunità è fondamentale in un paese dove il potere giudiziario ha tra le fonti del suo giudicare la legge islamica, la shari’a. È vero che secondo il cruciale articolo 7 del testo, la shari’a è definita «una fonte», e non «la fonte» del nuovo diritto iracheno. Ma è anche vero che, recita lo stesso articolo, «l’islam è la religione ufficiale dello Stato» e «nessuna legge può contraddire i principi universalmente accettati dell’islam» (cioè, sembra di capire, quelli accettati da sciiti e sunniti, e da tutte le scuole giuridiche). Senza immunità parlamentare, la politica sarebbe tenuta in scacco da giudici che in gran parte giudicheranno secondo il diritto islamico. Nello stesso tempo, gli Stati Uniti hanno avuto la saggezza di concordare il testo con il «grande ayatollah» sciita Sistani e di rinunciare a ogni impraticabile tentazione di Costituzione «laica». L’islam mantiene il suo primato, ma la Costituzione garantisce anche la libertà religiosa e fissa un limite ai principi dell’islam nei diritti fondamentali di cui alla seconda parte del testo, che garantiscono l’uguaglianza politica delle donne e dei non musulmani.
In astratto il testo è contraddittorio, perché la shari’a di per sé non riconosce a donne e non musulmani uguali diritti, né comporta la libertà per i musulmani di cambiare religione. Ma in concreto nel mondo musulmano ferve il dibattito se la shari’a debba oggi essere applicata letteralmente o fungere da semplice punto di riferimento ideale. La Costituzione provvisoria va in questa seconda direzione che è quella, per esempio, del primo ministro turco Erdogan. Il fatto che le massime autorità sciite la abbiano accettata è di per sé un evento storico, anche se il processo verso una Costituzione definitiva in Irak è appena iniziato.

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