CESNUR - center for studies on new religions

La scuola del terrore

di Massimo Introvigne (il Giornale, 19 aprile 2004)

imgA quale logica risponde l’uccisione del leader di Hamas a Gaza, Abdel Aziz Rantisi, dopo quella di Ahmad Ismail Yassin, che di Hamas era stato il fondatore? Da diversi anni autorevoli sociologi hanno proposto di interpretare il terrorismo islamico utilizzando la metafora del mercato: a una domanda di esperienze religiose estreme risponde l’offerta da parte di organizzazioni terroristiche che reclutano, addestrano e guidano i candidati al terrorismo suicida.
La domanda di esperienze radicali è relativamente costante. Coinvolge poche persone, ma le organizzazioni del terrorismo non hanno bisogno di personale numeroso. Questa domanda, contrariamente a quanto molti pensano, non deriva direttamente dalla povertà, dalla miseria o dall’ignoranza: gli studi sul profilo dei terroristi, in particolare di Hamas, mostrano che il loro livello di scolarizzazione e socio-economico è più alto rispetto alla media della popolazione palestinese. Del resto, molti terroristi sono reclutati in Marocco, in Arabia Saudita e anche nella diaspora islamica in Europa, dove vivono in società relativamente stabili e ricche. Pertanto, migliorare la qualità della vita, lottare contro l’analfabetismo e diffondere la scolarizzazione, ridurre le sacche di povertà, aprire ospedali – tutte attività utili, benemerite, e che assicurano altri vantaggi importanti – non elimina la domanda di estremismo religioso radicale su cui contano i movimenti terroristi, perché questa domanda non nasce dalla miseria ma dall’ideologia.
Se la domanda di radicalismo religioso produce terrorismo in certe zone e non in altre, è perché nelle prime incontra un’offerta persuasiva e bene organizzata da parte di «imprese» del terrorismo che nuotano come pesci nell’acqua in un ampio network fondamentalista. Di qui la raccomandazione degli studiosi di mettere in secondo piano il difficile obiettivo della riduzione della domanda, concentrarsi sul lato dell’offerta per colpire le organizzazioni. E Israele ha aggredito l’offerta, dedicandosi all’eliminazione sistematica dei dirigenti di Hamas.
La risposta militare che Israele ha messo in atto è necessaria, ma non sufficiente. C’è un aspetto finanziario: colpire Hamas implica paralizzare le sue forme di finanziamento, e Hamas raccoglie un buon numero di fondi, anche in Europa, diffondendo la tesi dell’autonomia delle sue strutture sociali e caritative rispetto a quelle militari: tesi falsa, perché è ormai chiaro che si tratta di vasi comunicanti.
C’è un aspetto politico: Hamas ricorre al terrorismo perché pensa di ricavarne dei vantaggi, per esempio facendosi legittimare come forza di governo per Gaza dopo il ritiro israeliano. Una risposta politica deve convincere Hamas che il terrorismo non paga, negandogli quegli spazi di manovra dove finora ha potuto raccogliere il frutto dei suoi misfatti. C’è, infine, un aspetto culturale: in Palestina, come in tutto il mondo arabo, c’è una domanda di islam politico, di islam che «c’entri» con la società e con le istituzioni. Se questa domanda – repressa dal nazionalismo laicista di Arafat – non trova altri sbocchi si rivolge per forza ad Hamas. Favorire la nascita in Palestina di una concorrenza islamica conservatrice ma non fondamentalista, decisa a contare nella vita politica, gelosa dei suoi simboli, ma ostile al terrorismo è la scommessa finale per chi vuole togliere il terreno sotto i piedi di Hamas e inserire in una strategia complessa e completa le pur necessarie operazioni militari.

mormoni
Per approfondire

Collana "Religioni e Movimenti":
Massimo Introvigne, Hamas. Fondamentalismo islamico e terrorismo suicida in Palestina
Elledici, Leumann (Torino) 2003

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