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Il Papa e gli ebrei

di Massimo Introvigne (il Foglio, 23 agosto 2005)

La visita di un Papa tedesco a Colonia alla sinagoga della più antica comunità ebraica della Germania ha un grande significato simbolico. È stato giusto emozionarsi, ma come il Papa ha ribadito ora, a viaggio concluso, è importante “soprattutto fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del rapporto tra ebraismo e cristianesimo”.

La cosiddetta “teologia della sostituzione”, mai insegnata dal magistero cattolico in modo ufficiale ma ampiamente diffusa per secoli nei manuali e nella predicazione, è una delle radici delle relazioni tradizionalmente difficili fra cattolici ed ebrei. Secondo questa teologia con la venuta del Messia, Gesù Cristo, e il suo rifiuto da parte del popolo ebraico l'Antica Alleanza di Dio con il popolo ebraico avrebbe cessato di esistere: la Chiesa – “nuovo Israele” –  si sarebbe “sostituita” all’Israele antico. È stato Giovanni Paolo II a prendere le distanze in modo esplicito da questa teologia. E lo ha fatto per la prima volta in Germania: a Magonza il 17 novembre 1980, ha usato l'espressione “Vecchio Testamento, da Dio mai denunziato”. Da allora Wojtyla ha ripetuto una mezza dozzina di volte che il Patto stipulato fra Dio e gli ebrei è irrevocabile ed è tutt’ora in vigore. Lo ha ribadito anche nella storica visita del 1986 alla sinagoga di Roma, nella quale ai “fratelli maggiori” ebrei ha ricordato le parole di San Paolo nella Lettera ai Romani secondo cui Dio li ha chiamati con una “vocazione irrevocabile”.

Questo magistero è confluito nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, che riporta l’espressione “fratelli maggiori” usata da Papa Wojtyla nel 1986 e afferma che “il popolo di Dio dell'Antica Alleanza [gli ebrei] e il nuovo popolo di Dio [i cristiani] tendono a fini analoghi” (il che, ovviamente, non significa identici).

Spiega il teologo don Pietro Cantoni: “Se Israele esiste ancora, allora l'Alleanza non è venuta meno. Israele nasce da una convocazione, la convocazione di Dio. Se il risultato (l’esistenza storica del popolo di Israele) permane ciò significa che la convocazione è ancora in atto”. Dunque – al contrario di quanto pensava la “teologia della sostituzione” – il Patto che Dio ha stipulato con gli Ebrei è irrevocabile, non è stato revocato e permane nella storia. Israele e la Chiesa avanzano nella storia secondo tempi cronologicamente paralleli ma qualitativamente diversi.

La continuità con Wojtyla

Qualcuno avrebbe potuto pensare a idee personali di Giovanni Paolo II, un Papa che aveva condiviso con gli ebrei polacchi la resistenza al nazismo. Ma sappiamo che alla loro formulazione teologica non era estraneo il cardinale Joseph Ratzinger, il quale divenuto Benedetto XVI nella stessa Messa del 24 aprile per l’inizio del pontificato volle rivolgersi ai “fratelli del popolo ebraico” ricordando lo speciale legame con la Chiesa che nasce dalle “irrevocabili promesse di Dio”. A Colonia il Papa ha parlato di una “fiaccola della speranza che da Dio è stata data agli ebrei come ai cristiani” e che in entrambe le comunità gli adulti devono trasmettere ancora oggi ai giovani perché il Male non prevalga. Se la fiaccola che Dio consegnò un giorno agli Ebrei può essere trasmessa ancora oggi, questo significa – ancora una volta – che il Patto permane nella storia. Nella posizione di Ratzinger, naturalmente, non c’è nessun relativismo. Per la Chiesa il compimento della legge che i “fratelli maggiori” ebrei testimoniano nel tempo può trovarsi soltanto in Gesù Cristo. Ha detto ancora  il Papa a Colonia che il “dialogo, se vuole essere sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle”.

In questo dialogo molto resta ancora da fare: ma ostacoli teologici antichi e pesanti sono ora gradualmente rimossi.