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Quel massacro laicista degli armeni

di Massimo Introvigne (il Giornale, 1 ottobre 2005)

pashaQuando si chiede conto alla Turchia dei massacri degli armeni non ci si riferisce soprattutto a quelli del 1895-1896. L'episodio veramente cruciale è la deportazione delle popolazioni armene verso la Mesopotamia avviata nel 1915, che si trasforma in una strage che fa, secondo stime accademiche recenti (ma pur sempre controverse, dal momento che gli storici armeni non scendono sotto il milione e mezzo di vittime), fra seicentomila e ottocentomila morti.

Due temi avvelenano da anni le relazioni fra Turchia e Armenia: se l'ordine diretto del massacro sia venuto o meno dal regime autoritario dei Giovani Turchi al potere a Istanbul - in particolare da uno dei suoi tre «uomini forti», Talat Pasha, poi assassinato nel 1921 a Berlino da un attivista armeno - e se le testimonianze in questo senso prodotte da alcuni storici siano attendibili, e se si tratti di «genocidio» secondo le varie definizioni giuridiche correnti del termine.

Le emozioni non sono meno forti in Occidente. Il più eminente storico della Turchia, Bernard Lewis, è stato condannato il 21 giugno 1995 dal Tribunale di Grande Istanza di Parigi a risarcire un cartello di associazioni armene per avere definito in un'intervista rilasciata il 16 novembre 1993 a Le Monde l'espressione «genocidio» applicata ai fatti del 1915, come mera «versione armena di questa storia». Il Tribunale ha peraltro limitato la condanna dello storico al risarcimento di un solo franco simbolico, e si è interrogato sui possibili rischi che la sentenza che pure ha ritenuto di dovere emettere può far correre alla libertà accademica in Francia.

Negli Stati Uniti si rischia di assistere ora a un «secondo tempo» dell'affaire Lewis con la prossima pubblicazione da parte di una casa editrice accademica di un volume del discusso storico Guenter Lewy il quale sostiene che molti documenti relativi ai massacri e la cui autenticità è stata data a lungo per scontata sono invece falsi.

Due fatti sono certi. Il primo è che lo sterminio degli Armeni, come molti intellettuali e uomini politici turchi oggi riconoscono, è stato uno dei più brutali massacri di un secolo, il XX, che pure ne ha conosciuti parecchi. Un riconoscimento pubblico turco favorirebbe la necessaria purificazione della memoria. Il secondo è che - nonostante l'occasionale utilizzo di slogan religiosi - è difficile, comunque si valutino i fatti, imputare quanto è avvenuto nel 1915 all'«islam turco» o ai suoi eredi politici di oggi. Talat Pasha era stato dal 1909 al 1912 Gran Maestro del Grande Oriente Ottomano della massoneria, un'obbedienza legata al laicissimo Grande Oriente di Francia, e in tutti i gradi della catena di comando del regime giovane-turco durante la Prima guerra mondiale dominava una corrente massonica di impronta positivista e anti-religiosa. Quello dei Giovani Turchi è stato definito dallo storico francese Zarcone come «uno Stato massonico».

Mentre organizzano (secondo gli Armeni) o comunque non impediscono (secondo i loro difensori) il massacro, Talat Pasha e i suoi compagni di regime e di loggia fanno impiccare i rappresentanti dell'islam politico e di qualunque opposizione al regime motivata dalla religione.

L'Armenia, rendendo omaggio alla verità, ha sostituito in diversi documenti la formula «vittime della Turchia» con quella «vittime del regime dei Giovani Turchi». Un regime ultra-laico, di cui lo stesso Kemal Atatürk, pure anch'egli laicista, condannerà l'avventurismo nazionalista responsabile di più di una tragedia.